“Il capro espiatorio”, stupefacente romanzo di Daphne Du Maurier, è una variazione sul tema del doppio. Tutto nasce da uno scambio di identità in un albergo: da una parte John, annoiato professore di letteratura francese, dall’altra il conte Jean de Gué, un giovane nobile oppresso dal peso dei doveri e dei rapporti familiari. John è il capro espiatorio venuto al castello per sanare vecchie ferite, anche se solo per una settimana…
Il tema del doppio è da sempre centrale nella letteratura moderna, soprattutto a partire dall’Ottocento, quando l’avvento del positivismo porterà al progresso delle conoscenze scientifiche che nel campo delle scienze umane troverà la massima espressione nella nascita della psicanalisi e il fiorire di concetti come inconscio, io, rimozione, dai quali tanta letteratura e arte tout court attingeranno a piene mani
In letteratura su tutti spicca il Dottor Jeckyll e Mr Hyde di Stevenson per non parlare dell’intera opera di autori quali Borges, Kafka, Cortázar (la lista sarebbe lunghissima) e sotto altre forme e occorrenze come non menzionare il Doctor Faustus di Thomas Mann, calco del Faust goethiano, nel quale il protagonista vende l’anima al diavolo, proiezione delle aspirazioni del protagonista per il successo della sua arte musicale. Un diavolo tentatore, come nel Vangelo di Matteo: «Tutto queste cose io ti darò, se prostrandoti mi adorerai».
Lo scambio d’identità
Il romanzo del 1957 di Daphne Du Maurier dal titolo Il Capro espiatorio (378 pagine, 11 euro) edito da Il Saggiatore con traduzione di Bruno Oddera (dal quale è stato tratto il film del 1959 dal titolo The Scapegoat fra i cui interpreti figura Bette Davis), non è forse l’opera più conosciuta della scrittrice inglese della quale molti titoli sono editi sempre da Il Saggiatore. L’autrice deve la sua notorietà anche ad alcuni adattamenti cinematografici di sue opere nientemeno che da parte di Alfred Hitchcock, come con Rebecca la prima moglie, la sua opera più celebre, e con Uccelli, il racconto contenuto nella raccolta Gli uccelli e altri racconti (Il Saggiatore 2008) e uscito singolarmente grazie a Else Edizioni nel 2007 in edizione speciale in un volume stampato in serigrafia a tiratura limitata.
Il capro espiatorio del romanzo della Du Maurier ha poco a che vedere con il Malaussène creato da Daniel Pennac con il suo personaggio “capro espiatorio di professione” del celebre ciclo dell’autore francese. Nel romanzo della Du Maurier il doppio del protagonista, John, un mediocre e insoddisfatto professore inglese di letteratura francese in vacanza in Francia, si presenta a lui sottoforma di uomo incontrato per caso in strada al quale rassomiglia in maniera sorprendente. I due iniziano una conversazione che prosegue in una stanza di albergo dove con la complicità dell’alcool che ha reso tutto confuso avviene lo scambio di identità.
La via del thriller psicologico
La mattina successiva John si sveglia stordito, nudo e derubato di tutto. A suo fianco solo gli effetti personali del sosia e Doppelgänger che è sparito nel nulla, il conte Jean de Gué, un giovane nobile oppresso dal peso dei doveri e dei complessi e oscuri rapporti familiari dai quali cercherà di fuggire, il cinico alter ego negativo del protagonista, il quale ora si avvierà verso la sua nuova vita e identità nella quale si è trovato immerso «scambiato con un altro come in uno spettacolino di teatro», un uomo del quale John così parlerà:
«il cui corpo non era il mio, la cui mente non era la mia, i cui pensieri e le cui azioni si trovavano a una distanza infinita da me, ma la cui sostanza interiore, nonostante ciò, faceva parte della mia natura, faceva parte del mio io».
Il dado è tratto, l’espediente narrativo che permetterà anche di conoscere due vite in una è attuato. A questo punto ogni autore prenderebbe il percorso che più gli aggrada: il comico, il farsesco, il drammatico. Il thriller psicologico è quello che sceglie l’autrice e accompagna John verso il castello di St.-Gilles, la dimora della famiglia del conte perduta nelle campagne francesi, dove il protagonista si troverà a fare i conti con la sua nuova identità.
Tra comico (sfumato) e drammatico
Qui il “nuovo” conte entrerà in contatto con la sua nuova famiglia, con la vecchia madre, una contessa anaffettiva e morfinomane, con la figlia devotissima al padre, la cui estrema sensibilità e fede religiosa sfocia quasi nel misticismo, con la sorella il cui mutismo cela i risvolti di un tragico evento di quindici anni prima, con la moglie verso la quale il disamore è collegato a oscure questioni ereditarie, con l’amante alla quale reca delle occasionali visite nel paese poco distante. Quella del conte è una famiglia in rovina che ha in sé qualcosa di misterioso e inquietante: controverse vicende familiari, segreti e problemi finanziari legati all’azienda di famiglia, una vetreria destinata al fallimento che lo pseudo conte si ostina ora nell’improbabile opera di salvataggio. John decide di stare al gioco e lentamente cerca di capire quali siano le dinamiche all’interno della famiglia e che tipo di uomo sia davvero il suo doppio.
Gli effetti comici ovviamente non possono mancare. Interessante come la natura stessa dell’espediente narrativo riesca a mantenere il racconto su due registri, quello comico, benché sfumato, e quello drammatico, quando il sedicente conte arriva al castello e deve decifrare (non conoscendola ancora) la vera vita del personaggio che si trova a dover interpretare.
Messinscena con scricchiolii
Lo scambio di persona con le sue conseguenze, non prescinde dall’inganno che il protagonista è costretto ad attuare e sembra volerci dire che la vita stessa è inganno. Il contratto che avrebbe dovuto salvare la famiglia del conte e che Jean de Gué non è riuscito e non ha voluto a portare in porto, viene millantato da John di fronte alla famiglia creando dei cortocircuiti da commedia degli equivoci.
Il falso conte messo alle strette con le inevitabili complicazioni dovute alla sua falsa identità, il dover organizzare una battuta di caccia della quale non sa niente, gli inevitabili ostacoli che si sarebbero presentati con i conseguenti dubbi degli attori in scena, sembrano non scoraggiarlo nel procrastinare la sua messinscena, perché dal passato di quella famiglia che lentamente affiora pare ci sia per lui qualcosa che lo attrae, lo affascina e lo trasforma:
«Seppi a un tratto, con convinzione profonda, che non era stata la curiosità dell’estraneo a spingermi verso di loro, non un’attrazione sentimentale verso il pittoresco, ma qualcosa di più profondo, di più intimo, un interessamento così intenso al loro benessere e al loro avvenire che, per quanto vicino all’amore, somigliava alla sofferenza».
Vivere e sentire le vite altrui
Emerge nella figura di John progressivamente un sentimento e un attitudine: la capacità di vivere e sentire le vite altrui, anche questo fa la letteratura (o dovrebbe fare), e trova espressione nelle parole del professore che si troverà ad osservare il castello in un’algida mattina. Un controcanto al cinismo del conte Jean De Gué che dirà nella conversazione con John prima dello scambio d’identità:
«La vita mi ha insegnato una cosa: l’unico movente della natura umana è la cupidigia. L’unica soluzione è appagare l’avidità, dare agli uomini quello che vogliono, il guaio è che non sono mai soddisfatti».
Il conte, con quello scambio di persona nella stanza d’albergo sembra aver voluto dare al protagonista quello che lui stesso aveva sempre chiesto, la possibilità di essere accettato, perché anche John in qualche modo vive le stesse contraddizioni del suo Doppelgänger, una persona identica, ma allo stesso tempo anche profondamente diversa, un’immagine allo specchio che appartiene un po’ a tutti, che è il nostro rovescio e che può portarci a dire che forse sarebbe “diabolicamente” bello “provarsi” nella vita di qualcun altro. «Non sarete il demonio per caso?» chiede infatti il protagonista al conte Jean de Gué, per nascondere l’infelicità della propria, lasciando a sua volta la propria a qualcuno con uno scambio, salvo accorgersi che anche l’altra vita (come nel caso di quella del conte De Gué) non è scevra e al riparo da problemi e complicazioni, tanto da far dire a John: «Jean de Gué era un fallito. Era ancora più fallito di me».
La felicità altrui
Il capro espiatorio di Daphne Du Maurier sembra volersi dedicare alla felicità degli altri, un capro espiatorio venuto al castello per mettere a posto le cose, per sanare vecchie ferite, anche se solo per una settimana, tale è la durata dello scambio, periodo durante il quale succederanno molte cose, fino ai tre capitoli finali con l’inevitabile colpo di scena che segna lo scioglimento della vicenda con la poetica e stupefacente chiusura che ha il sapore di un’epifania, dove a trionfare è qualcosa che come sempre è nascosto a uno sguardo superficiale e che potrà essere scoperto solo leggendo lo stupefacente e bellissimo romanzo di Daphne Du Maurier.
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