Inettitudine e violenza, il “testamento” di Mozzi

Il primo romanzo di Giulio Mozzi, “Le ripetizioni”, è stato scritto nell’arco di vent’anni: un concentrato di digressioni, divagazioni e tantissima violenza gratuita. Ci sono dentro almeno quattro vite del protagonista, che apparentemente somiglia all’autore. È il libro di una vita. che riassume forme espressive e varie esperienze letterarie del Novecento

La retorica costante, quasi uno sport nazionalpopolare negli ultimi tempi, ha portato tanti, tantissimi, tutti a raccontare questa storia di Giulio Mozzi il debuttante. Scrolliamoci tutto ciò di dosso. Sebbene tante pagine tutte assieme non le avesse mai prodotte, Mozzi ha affinità e familiarità col mondo delle lettere, s’è formato per decenni sulle proprie opere, narrativa breve, e sulle tantissime altrui che ha contribuito (l’età dell’oro ai tempi di Sironi) a far pubblicare: non sono pochi gli scrittori che hanno iniziato e proseguito la propria carriera grazie a questo sessantenne veneto che ha un’abnegazione certosina per le parole che diventano storie. Le ripetizioni (358 pagine, 17 euro), accolto da Chiara Valerio e pubblicato da Marsilio, è il primo e, per molti, leggendario romanzo di Giulio Mozzi, che lo ha concepito, scritto e riscritto in un arco temporale di oltre vent’anni, un “testamento”, il romanzo di una vita, sacrificata sull’altare della letteratura.

Stile impeccabile, emozioni… algide

Stilisticamente impeccabile, l’oggetto narrativo di Mozzi (da quasi un trentennio sul campo, a cominciare dagli albori dei racconti di Questo è il giardino per Theoria) è postmoderno e metaletterario, oltre che abbastanza algido sul piano squisitamente emozionale, antisentimentale, e per lo più inquietante come lo sguardo della figura ritratta in copertina, un gentiluomo disegnato dalla bottega del Giorgione. Ma chi conosce Mozzi sa che questa “freddezza” e questa inquietudine sono marchi di fabbrica, un po’ catarsi, un po’ rigore interiore e lessicale: la prosa sa essere asettica, e lo è principalmente, ma anche ironica, surreale, precisa nel suo realismo, ma pure allusiva, e comunque sempre senza passioni. Le voci narranti si sovrappongono, le frasi sgorgano senza sbavature, le parole sono allineate in modo esatto, e pazienza se il coinvolgimento autoriale è molto ben camuffato. Chi legge si gode un gran spettacolo.

Quel 17 giugno…

L’andamento del romanzo di Giulio Mozzi, volutamente imperfetto e inevitabilmente incompiuto, è caotico e frammentario, con alcune linee narrative e personaggi (di nessuna evoluzione interiore, che non cambiano qualsiasi cosa gli accada) che tornano, in un montaggio sfalsato e contradditorio, che segue varie strade e figure, in “quadretti” in cui è quasi sempre il 17 giugno (fra l’altro compleanno dello stesso Mozzi). È chiaro come, tra digressioni e divagazioni, quella che quasi tutti chiamiamo trama sia abbastanza secondaria nella testa dello scrittore che condivide col personaggio principale de Le ripetizioni, Mario, parecchie caratteristiche anagrafiche e professionali: scrittore di racconti, operatore culturale con più di una casa editrice, vive a Padova e, per lavoro, raggiunge parecchie città italiane.

Male, dubbio, memoria. E tante vite…

Le ripetizioni è un romanzo sul male, sul dubbio (a cominciare da quello sul senso stesso dell’esistenza, sull’insensatezza delle umane cose), sulla memoria (poco affidabile), sulla realtà come moltiplicarsi di vite. Mario ne ha tante, la sua esistenza contiene in sé varie contradditorie anime, quella che ricorda Lucia, il primo amore, morta troppo presto, quella che a intermittenza ha a che fare con Bianca (donna che ha parecchi problemi di natura mentale), con cui Mario ha forse avuto una figlia, Agnese, quella con la fidanzata Viola (che a sua volta cela una seconda perversa vita). La tanta abiezione, la tantissima violenza gratuita (reale? immaginata? sognata?) che emerge da queste pagine di Mozzi (fino all’ultimissima, con un orrore estremo e raccapricciante sintetizzato in due pagine) fa il paio con la passività nel sesso, a cominciare dal rapporto di sottomissione fisica e psicologica che Mario ha nei confronti del diabolico e sadico Santiago. È passivo Mario, dimesso, poco visibile, un inetto senza qualità che non rassicura e non è rassicurato dal mondo che ha attorno: riassume vertiginosamente il ventesimo secolo, un po’ come fa lo stile eterogeneo di Mozzi che richiama tante forme espressive e varie esperienze letterarie del Novecento. Un enorme ripetizione delle cose più belle che sono state scritte e che abbiamo letto nella nostra vita.

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