Di nuovo in libreria “Le morte” dello scrittore messicano Jorge Ibargüengoitia: un’efferata vicenda di cronaca che ha come protagoniste negative le due tenutarie di un bordello. Corruzioni, collusioni e complicità, in un microcosmo crudele che s’espande a una società tutt’altro che modello, sono i veri protagonisti del romanzo. Tra umorismo nero, grottesco e critica sociale
In Messico vide la luce nel 1977. La prima edizione italiana è datata 1979, proposta dall’editore La Rosa, poi, nel 1989, una seconda vita editoriale, sotto il titolo Il caso delle donne morte, e il libro fu pubblicato da Einaudi. Quindici anni dopo è stata la volta de Le morte, sotto le insegne di Sellerio. Adesso tocca a La Nuova Frontiera riproporre uno dei libri più belli dell’ultimo quarto di Novecento, ancora col titolo Le morte (176 pagine, 15 euro). L’autore è Jorge Ibargüengoitia, scrittore messicano poliedrico e originale – scomparso a soli cinquantacinque anni in un incidente aereo – capace come pochi di riempire le sue pagine di umorismo, critica sociale, squarci noir e dettagli iperrealisti (e truculenti). Non ci sono più scuse per non leggerlo: la cura e la traduzione, come per le precedenti edizioni, sono di Angelo Morino, ispanista di grido scomparso troppo presto, consulente e scout, abile a scovare il meglio della letteratura in lingua spagnola. In 2666 Roberto Bolaño – di cui Morino ha tradotto parecchi titoli per Sellerio – l’ha trasfigurato nel personaggio di Piero Morini, traduttore di Benno Von Arcimboldi.
Umorismo nero e critica dei perbenismi
Le morte è probabilmente il romanzo più famoso di Jorge Ibargüengoitia che, allievo negli anni Cinquanta di Usigli, noto drammaturgo messicano, si dedicò dapprima alla stesura di opere teatrali di buon successo, per passare – dopo anni difficili, di mestieri temporanei, precari e non particolarmente remunerativi – al romanzo. Le morte è quasi certamente il frutto più succoso: rielaborazione lunga (una decina d’anni) e immaginaria di uno dei più cruenti fatti di cronaca della storia messicana, concentrato di umorismo nero, critica a muso duro di apparenze e perbenismi, un racconto realistico in cui è iniettata una gran dose di grottesco, un intreccio di voci, punti di vista, congetture, testimonianze, opinioni e materiali (anche stralci di quotidiani, rapporti di polizia, deposizioni e carte processuali) presentati in modo apparentemente confuso e frammentario, e tutto sommato asettico.
La sparatoria, l’inizio della fine
Una sparatoria senza sangue ha conseguenze che conducono su strade efferate e portano alla rovina due donne che erano riuscite a mettersi alle spalle la miseria. Si apre così Le morte, la miccia è il primo capitolo (che è possibile leggere qui): chi indaga collega protagonisti attivi e passivi della sparatoria a cadaveri occultati senza troppi problemi. Sono quelli, si scoprirà, di alcune prostitute, vittime di un sistema perverso. Simón Corona scampa ai proiettili di Serafina Beladro, sua ex, accompagnata da alcuni sgherri in una panetteria. Ma è l’inizio della fine di una storia atroce, impastata di violenza e ironia che potrebbe diventare un ottimo film di Quentin Tarantino.
Riti sull’altare dell’ignoranza e della povertà
La vicenda che emerge – con personaggi immaginari inseriti in un contesto reale – è quella di vittime senza scampo, ragazze di vita rapite o comperate, segregate, seviziate, costrette ad abortire e gettate via quando considerate inutili e vecchie. Situazione che diviene ancor più grave nel momento in cui la prostituzione viene messa al bando e l’attività è costretta a cessare: le donne diventano un peso senza alcun valore aggiunto e finiscono per ritrovarsi in una specie di prigione, dove le torture e la schiavitù sono una condizione permanente. Le ipocrisie sono all’ordine del giorno, fra clienti che sono soggetti irreprensibili lontani dalla casa d’appuntamenti, giornali che pescano nel marcio, lettori che agognano ancora più sangue del tanto già versato, in quelli che sembrano riti sacrificali sull’altare dell’ignoranza e della povertà. Le tenutarie, le sorelle Serafina e Arcangela, fanno quadrare i conti, senza complimenti o sottigliezze nei riguardi del capitale umano, carne che è merce da comperare e vendere. Corruzioni, collusioni e complicità di chi deve vigilare, in un microcosmo crudele che s’espande a una società tutt’altro che modello, sono i veri protagonisti del romanzo di Jorge Ibargüengoitia, che si sforza d’apparire distaccato e asettico, nella ricostruzione di un poliziotto che è tutt’altro che un eroe infallibile.
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