Un romanzo con un unico antagonista, l’Alzheimer. È “Adesso che sei qui” di Mariapia Veladiano, ininterrotta lezione di umanità: la nipote e le amiche che si stringono attorno a zia Camilla, consumata lentamente dalla malattia neurodegenerativa, ci insegnano come il male si possa affrontare a viso aperto e come si possa imparare anche dal dolore che provoca
Se è vero che la letteratura è passione e viscere, inafferrabile tortura e ferocia, odio e amore, vendetta e tragedia, è pur vero che, in certi casi, è possibile farne a meno; ma sono pochi, pochissimi a saper scrivere di buoni sentimenti senza risultare irrimediabilmente caramellosi e lasciando qualcosa a chi legge. È il caso del più recente romanzo della vicentina Maria Pia Veladiano, teologa, già insegnante e preside, narratrice tardivamente rivelatasi al grande pubblico, grazie al premio Calvino, circa una decina d’anni fa. In Adesso che sei qui (265 pagine, 18 euro), pubblicato dalla casa editrice Guanda, leggiamo un romanzo senza antagonisti, antieroi o cattivi, senza contrasti. O meglio, l’antagonista è una malattia infida, l’Alzheimer, che si manifesta lentamente, attaccando zia Camilla, una delle due protagoniste di questo libro, ispirata a una storia vera. L’altra è Andreina, nipote amata di Camilla, che decide di prendersene cura e non sarà la sola (tra ascolto, premure e calore umano), in una rete in cui la condivisione ha la meglio su qualsiasi fatica, in un contesto ideale di welfare, quello del Trentino, scenario della vicenda nelle sue terre più prossime al lago di Garda.
Zia Camilla non è guarita dalla malattia, ma ha vissuto anche nella malattia. E ha distribuito allegria e gioia.
Solidarietà contro desolazione e abbrutimenti
La scelta di Veladiano è di mitigare, se non bandire, desolazioni e abbrutimenti legati a un male come l’Alzheimer, che colpisce un’anziana davanti agli occhi di tutto il paese, in una calda giornata d’agosto: l’evidenza implacabile sta nell’abbigliamento decisamente fuori stagione. Zia Camilla – zia senza figli, genitrice putativa, assieme al marito Guidangelo scomparso da cinque anni, di quella nipote che era una «figlia di troppo» per la sorella – e la rete di solidarietà che si stringe attorno a lei sprigionano felicità e sorpresa, la degenerazione del corpo e della mente è inevitabile e c’è, ma non ha il sopravvento e Adesso che sei qui sembra trasformarsi in un inno alla fiducia. Andreina, che è un’insegnante, si trasferisce a casa di Camilla per accudirla. È il primo anello di una rete, che comprende vecchie amiche, assistenti familiari immigrate (con le ferite che si portano addosso…) e volontarie del progetto Alzheimer del Trentino. Tutte impegnate ad affiancare Camilla in un percorso complicatissimo: starle vicino senza ferirla, aiutarla evitando vergogne e mortificazioni. Con leggerezza, condividendo ricordi, giocando a carte, ballando e cantando, provando a modellare sempre il tempo in funzione delle esigenze di Camilla, in una ininterrotta lezione di umanità e di instancabile solidarietà, nitide come la scrittura di Veladiano, che sembra raccomandarci come il male si possa affrontare a viso aperto e imparare anche dal dolore che provoca.
Con zia Camilla ci prendevamo tutto il tempo ma nello stesso momento sapevo di dover sbrigarmi a darle quel che potevo e a prendere quel che lei poteva darmi. Niente di diverso da come si dovrebbe vivere la vita che c’è, è preziosa ma se ne va.
Appigli che restano
La mente, nella malattia invisibile, inquietante e degenerativa che è l’Alzheimer, si smarrisce decisamente prima dei legami e dei sentimenti, ci fa capire Veladiano. C’è qualcosa che, inspiegabilmente, o forse con una spiegazione, resta, appigli veri.
Bisognerebbe fare uno studio sulla memoria delle preghiere nelle persone malate di Alzheimer. Lei ricordava non solo le principali preghiere, ma le ricordava sia in italiano che in latino, e ricordava intere parti della messa, il Credo, la Sequenza dello Spirito Santo, il Magnificat, il Nunc dimittis. Una meraviglia. Appartenevano al mondo della memoria affettiva e restavano. Parole di culla.
Un bivio
Il lento perdersi di quel che resta, le sempre più frequenti amnesie della zia conducono a un bivio e a una scelta di campo, fatta di devozione e gratuità.
Si cerca di riportare il malato alla realtà ma è un errore, un dolore per i malati. Oppure si impara a lasciarsi portare nella loro realtà, a dire un mare di bugie, buone bugie, che fanno bene.
È una diversa normalità, normalità perché comunque c’è una vita possibile per chi è malato, bella e piena, anche se diversa.
L’insegnante che è Andreina (voce narrante lungo tutti i capitoli) impara tanto da questa esperienza estrema e prova a trasmetterlo agli alunni in un contesto scolastico, che nel libro non di rado è affiancato, per varie ragioni, al mondo della malattia.
Tutto quello che ancora non avete vissuto, ho detto un giorno a una classe sfiduciata, non lo avete ancora sbagliato, non ancora sprecato. È ancora tutto nelle vostre mani e nelle vostre parole. Gli errori non ancora fatti. Le male parole non ancora dette. Le omissioni non ancora omesse.
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