Area 22. Dalla memoria all’epopea, firmato Jodorowsky

“Quando Teresa si arrabbiò con Dio” di Alejandro Jodorowsky, ripercorrendo il proprio albero genealogico combina letteratura yiddish e realismo magico latinoamericano. Sulle tracce dei suoi avi, esuli ebreo-ucraini, lo scrittore cileno sprigiona una poetica della dismisura e della necessità, che rende esemplari i personaggi ed epocali gli avvenimenti, trasformando i ricordi in mito

La famiglia può rappresentare allo stesso modo un tesoro e un tranello.

Quello che possiamo fare, innanzitutto, è tentare di prenderne coscienza.

Questo è ciò che ha fatto anche Alejandro Jodorowsky raccontando la storia della sua famiglia di esuli ebreo-ucraini in Quando Teresa si arrabbiò con Dio (331 pagine, 9,90 euro), pubblicato da Feltrinelli nella traduzione di Gianni Guadalupi.

L’inizio del racconto coincide con lo scoppio dell’ira di Teresa, sua nonna paterna, nei confronti di Dio, che ha lasciato morire il suo figlio prediletto nell’inondazione del fiume Dnepr senza intervenire. Lui, che ha salvato il suo popolo dividendo i flutti del Mar Rosso, che ha precipitato nel mare l’esercito del Faraone, non ha voluto salvare quella piccola vita.

L’ira, la debolezza, l’amore

La rabbia di Teresa, feroce, distruttiva, estrema sino a trasformarsi nel più scontato nichilismo, è la costante del suo personaggio: dall’inizio fino quasi alla fine della sua vita sarà causa e motore delle sua azioni e delle sue reazioni.

Per suo marito, Alessandro Levi, la morte del figlio invece non è che l’ennesimo brutto colpo. Il fatto di essere da sempre abituato a subire stoicamente le sventure della sua esistenza, così come ci informa l’autore, potrebbe indurci a giudicare la sua reazione come rassegnazione, almeno è così che la interpreta sua moglie. E in effetti, il punto di vista di Teresa è talmente umano, e il suo grido di dolore così acuto e condivisibile, che anche il lettore all’inizio è spinto a vedere il mondo con i suoi occhi. Alessandro non sa far valere la propria personalità e si rifugia da sempre dietro quella del Rabbi che gli parla dall’Intramondo, ed è dunque un uomo debole, una “vittima di professione”.

Se, da parte paterna, fu Teresa ad arrabbiarsi con Dio, fu Dio ad arrabbiarsi invece con la nonna materna, Jashe, colpevole di essersi innamorata di un goj: tale Alessandro Prullansky, primo ballerino del Balletto Imperiale Russo. Ma il loro amore fu talmente travolgente e assoluto da annullare tutti gli ostacoli, dall’ostilità della famiglia di lei fino alle angherie della prima ballerina a cui ogni mese Alessandro doveva concedersi come da contratto.

Due famiglie in viaggio

Entrambe le famiglie, mosse da necessità differenti, intraprendono un viaggio.

La famiglia Levi è spinta dal desiderio di Teresa di cambiare vita, di tagliare una volta e per sempre quelle radici che la legano a un Dio sordo e cieco e che le rinnovano costantemente il ricordo del suo dolore. Per questo rinnegheranno il loro nome, chiamandosi d’ora in avanti Jodorowsky. La loro meta sarebbe stata gli Stati Uniti; arriveranno in Cile.

Il viaggio della famiglia Prullansky li condurrà in Argentina. Subito dopo essere arrivati a destinazione, dovranno fare i conti con le difficoltà del cambiamento e della sopravvivenza.

Il problema dell’identità

Tutti i personaggi affrontano il problema dell’identità, sia essa considerata come appartenenza a un popolo, sia essa considerata in senso individuale, come nel caso del nonno materno, Alessandro Prullansky, che appena giunto a Buenos Aires, senza più il suo lavoro da primo ballerino, si interroga su ciò che la danza ha da sempre rappresentato per lui e attraverso di lui, e su ciò che da quel momento in poi vuole che essa esprima fino alle estreme conseguenze.

Molte volte le descrizioni sono iperboliche e oltremodo dettagliate: ad esempio, la forza espressa da ogni atto sessuale è tale da far crollare letti e capovolgere stanze, tale da attraversare il tempo e lo spazio per permettere all’autore di nascere proprio da quel padre e da quella madre.

L’occhio del lettore, che all’inizio è abbagliato e disorientato da questo iper-realismo, deve pian piano abituarsi, come di fronte a un fascio di luce che sopraggiunga dopo la penombra. Spesso inoltre tanto più il significato è letterale, tanto più è difficile coglierlo. Allora, procedendo nella lettura, vedrà il troppo amore dietro la rabbia di Teresa, e la forza d’animo nella mitezza di Alessandro, che non si rassegna, ma accetta il suo destino; e allo stesso modo vedrà la passività di Jashe, quando si rende conto che inizialmente la condizione di Alessandro nei confronti della prima ballerina non si può cambiare, o di Sara Felicità, che accetta di mettere a tacere il suo canto.

Una voce interiore, una fedeltà a se stessi

Ciascuno dei personaggi, principali o secondari che siano, rivelano una tenace fedeltà a se stessi e alla propria vocazione, da cui riescono sempre a farsi guidare. Tutti rispondono a una voce interiore che li fa agire in modo sempre autentico.

Più in generale, ogni elemento narrativo risponde a questa poetica della dismisura e della necessità, che però ha la funzione di presentare come epocali gli avvenimenti e di tipizzare i personaggi, rendendoli esemplari, e di trasformare insomma la memoria in mito.

Come rivela la madre a Jashe, la nonna materna: «Il passato non è fisso e inalterabile. Con fede e volontà lo possiamo cambiare, non cancellando l’oscurità, ma aggiungendo luce». Ed è proprio questo l’intento del romanzo, in cui il portato della letteratura yiddish (basti pensare per esempio al racconto Gioia di I.B. Singer, con cui ha molti elementi narrativi di contatto) si combina con la ricca tradizione del realismo magico latinoamericano, dando vita a un mondo iperbolico e poetico in cui peraltro si ritrovano molti temi cari al resto della produzione non solo letteraria di Jodorowsky. Ma questo romanzo è anche e soprattutto il risultato di un lavoro di recupero e di trasformazione della propria memoria in epopea, attraverso la forza più grande e ardua di tutte: il perdono, perché per quanto possiamo rinnegare, subire o combattere contro le nostre origini, «un uccello canta meglio sul proprio albero genealogico».

È possibile ordinare questo e altri libri presso Dadabio, qui i contatti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *