A trentasette anni dalla scomparsa un ritratto di Julio Cortázar, scrittore cruciale del Novecento. Inclassificabile la sua opera o, meglio, imperniata sul fantastico che deriva da quella stessa realtà e vita con la quale il testo instaura una fraterna lotta, sia esso un romanzo o un racconto…
In Come va, López, uno dei quadretti che compongono Storie di cronopios e di famas (Einaudi), la raccolta di racconti di Julio Cortázar uscita originalmente nel 1962, vi è questa breve interpolazione:
“Quando le scarpe stringono buon segno. C’è qualcosa che cambia, qualcosa che ci mostra, che sordamente ci pone, ci imposta. Per questo i mostri sono tanto popolari e i giornali vanno in estasi per un vitello bicefalo. Quale opportunità, quale abbozzo di gran salto verso l’altro!”
Forse ben più di una dichiarazione poetica. Poeta, saggista,romanziere, “raccontista”, conferenziere, traduttore, Cronopio, Fama, in quanti modi possiamo definire Julio Cortázar? Ogni termine che sceglieremo sarebbe limitativo, come lo sarebbe incasellare la sua opera nel genere fantastico, nel senso classico del termine, nel realismo magico di scuola sudamericana, perché Cortázar è un unicum nel panorama letterario del Novecento ed anche all‘interno di quel genere fantastico al quale pure fa riferimento la poetica dei suoi racconti e romanzi.
Senza fantasmi, il fantastico non gotico
É lo stesso autore argentino nato a Bruxelles nel 1914, rientrato nella madre patria con la famiglia alla tenera età di quattro anni ed esule per scelta a Parigi nel 1951 a spiegare in due suoi saggi i suoi “sentimenti” riguardo la scrittura: quello del non-esserci-del-tutto e quello del fantastico. Scrive Cortázar: «Scrivo per dislocamento, scrivo da un interstizio» e parlando del fantastico si serve di un passo di Victor Hugo: «Nessuno ignora cosa sia il punto velico di una nave; luogo di convergenza, punto di intersezione misterioso perfino per il costruttore della nave, in cui si sommano le forze disperse su tutto il velame spiegato». Il fantastico di Cortázar è senza fantasmi, non si serve del classico armamentario gotico alla maniera di Lovecraft o dello stesso Edgar Allan Poe del quale Cortázar è stato traduttore, non ci sono castelli infestati, catene che strascicano, pozzi, botole o orribili creature, ma la «sospensione dell’incredulità», in ossequio alla «feconda scoperta di Alfred Jarry» (così la definirà Cortázar in una conferenza tenuta a L’ Havana nel 1962), per il quale il vero studio della realtà non risiedeva nelle leggi bensì nelle eccezioni a tali leggi, il fantastico quindi deriva da quella stessa realtà e vita con la quale il testo instaura una fraterna lotta, sia esso un romanzo o un racconto, perché Cortázar è soprattutto un grande scrittore di racconti, benché Rayuela o Il gioco del mondo (Einaudi) sia il romanzo della sua consacrazione internazionale.
Il controromanzo
La stessa opera sperimentale del 1963, salutata come, «cronaca di una follia», «il buco nero di un enorme imbuto», «una specie di bomba atomica», «grido di allerta», «un appello al disordine necessario», e tale da essere assimilata all’Ulysse di Joyce o ai Detective Selvaggi di Bolaňo, è un sunto delle categorie letterarie e di tempo e spazio che Cortázar si diverte a scardinare come il protagonista Horacio Oliveira il quale si muove attraverso Parigi e l’esistenza come attraverso le caselle “del gioco del mondo”, mentre per la stessa fruizione (lettura) di questo “contro-romanzo”, il “Cronopio” Cortázar alla normale modalità di lettura sequenziale suggerisce letture alternative tramite una tavola di orientamento partendo da punti diversi del volume.
Come nei racconti il tempo e lo spazio sono dimensioni che contengono significati inafferrabili dalla nostra cronologica prospettiva quotidiana, “ponti” verso qualcosa di parallelo che non è possibile definire, quindi infrazione anche minima alla quotidianità piuttosto che epifania del soprannaturale. Questo è il miracolo della scrittura novellistica (così aggettiverebbero le sue raccolte di racconti nella Francia che lo ha adottato) o romanzistica di Julio Cortázar. Un evento, reale o fittizio che sia deve avere quella misteriosa proprietà di irradiare qualcosa oltre se stesso, quella favolosa apertura del piccolo verso il grande.
Il racconto, energia spirituale
Il racconto, del quale Cortázar deve essere annoverato fra i grandi maestri, e lo scrittore argentino definisce, «chiocciola del linguaggio, fratello misterioso della poesia in un’altra dimensione del tempo letterario» è difficile da incasellare in una precettista teorica come avviene per il romanzo, ed è da lui assimilato a un’esplosione di energia spirituale come nelle fotografie di Cartier-Bresson o di Brassaï, quella “resa” fotografica che è spesso usata da Cortázar come metafora e definizione per analogia del racconto breve. In esso significazione, intensità, tensione, sono le caratteristiche e gli strumenti del mestiere che permetteranno allo scrittore, come ci dice, di «sequestrare momentaneamente il lettore», come hanno fatto nelle loro scritture brevi alcuni dei suoi numi tutelari, da Kafka a Joseph Conrad, da Poe a Maupassant fino ai più a lui vicini geograficamente, Onetti, Horacio Quiroga, da non perdere la sua antologia di racconti dal titolo Tigre per sempre. Racconti (1917-1935) (Einaudi), per non dimenticare anche se con inclinazioni diverse il connazionale Borges. É un’intensità che si esercita nel modo in cui l’autore ci avvicina lentamente al narrato, una tensione che senza far ricorso a effetti speciali o diavolerie sovrannaturali farà sì che il racconto si conficchi nella memoria del lettore, e questo può farlo solo lo stile.
Sono tutte tematiche già presenti in Bestiario (Einaudi), la prima raccolta di racconti pubblicata nel 1951, stesso anno dell’inizio del suo volontario esilio parigino, il suo esordio al racconto nel quale in Casa occupata nessuno in realtà scaccia i due fratelli dall’abitazione o in Omnibus nessuno dei passeggeri è in realtà minacciato, mentre in Lettera a una signorina a Parigi il protagonista vomita dei coniglietti.
Esule dei due mondi
Leggere Cortázar, come qualsiasi altro autore, dovrebbe prescindere da qualsiasi riferimento biografico e teorico sulla sua opera e sulle sue fonti, perché l’autore non esiste, esistono le sue opere anche se tali stampelle in alcuni casi sono necessarie e non possono in molti altri che fare da moltiplicatore alla bellezza. Questo è particolarmente vero nel caso dello scrittore argentino, esule nel secondo dopoguerra, da Buenos Aires a Parigi, abitatore di due mondi, quasi un fantasma come dirà lui stesso in un paese nel quale contrariamente a quanto stava avvenendo nella letteratura sudamericana il raccontare breve era stigmatizzato e senza vigore, un autore che ha incontrato l’avanguardia letteraria del suo periodo, che ha aderito alle istanze rivoluzionarie dell’America latina, come con il suo appoggio alla guerriglia Sandinista, uno scrittore che ancor prima di esordire è stato capace di scrivere un profilo critico su John Keats di 546 cartelle senza decidersi a pubblicarlo, lo stesso autore che ancora sconosciuto nella Buenos Aires dei secondi anni Quaranta del secolo scorso faceva il traduttore pubblico traducendo la posta delle prostitute del porto che gli portavano le lettere dei loro marinai inviate da tutti gli angoli del globo e che ancora prima di consegnare al mondo sue opere aveva tradotto dal francese e dall’inglese autori quali Jean Giono, Marguerite Yourcenar, Chesteron e Defoe, uno che aveva collaborato a una rivista diretta da Jorge Luis Borges (Los Anales de Buenos Aires) e che ancor prima, a nove anni, aveva scritto il suo primo romanzo.
La creazione più felice e assoluta
Chissà come si sarebbe definito Cortázar stesso, se Cronopio, Fama o Speranza. Questi i tre appellativi che il nostro affibbia ai tre personaggi che dirà “hanno fatto irruzione nella mia coscienza senza sapere da dove siano venuti”, una sera che si trovava al Théâtre des Champs-Elysées a Parigi, durante l’intervallo di un concerto, quando ha visto fluttuare nella sala quasi deserta degli oggetti di colore verde, gonfiati come piccoli palloni, o come rospi, o animali del genere e che si è sentito di battezzare appunto Cronopios. A questi, come contrappunto si è sentito di opporre i Famas e come intermediari le Speranze (forse il super-io?). Chissà se per i quadretti contenuti in Storie di Cronopios e di Famas (Einaudi 2014 pp.150) e per tutti gli orologi mostri contenuti in queste pagine dell’esule argentino (in Cortázar i sogni della ragione producono orologi ci dice Italo Calvino nella sua nota introduttiva all’edizione Einaudi del 2014 di questo strano oggetto pubblicato per la prima volta nel 1962), chissà se serva davvero un manuale di istruzioni come quello della prima parte del volume, con istruzioni su varie comunissime cose come ad esempio piangere, salire le scale, caricare l’orologio e altre più bizzarre come ammazzare le formiche a Roma, tutti quadretti esilaranti e sublimi che ricordano per certi versi le istruzioni di Carlo Emilio Gadda su come fare un buon risotto alla Milanese. La struttura di questo volume e dei personaggi che lo abitano, e che lo stesso Calvino definirà «la creazione più felice e assoluta di Cortázar» è quadripartita e prosegue con le Occupazioni insolite della seconda parte fra le quali quella di costruire un patibolo in giardino, come recuperare un capello caduto nel buco del lavandino o come combattere il pragmatismo e l’orribile tendenza al conseguimento di fini utili, (vera e propria dichiarazione poetica e di vocazione letteraria), fino alla creazione di uno strano marchingegno denominato il Fissatigre, e molte altre contenute nella terza parte denominata Materiale plastico, fra le quali scrivere una lettera al Ministro degli Esteri mettendo nella busta la zampa di un ragno e inducendo in questo modo il Ministro alle dimissioni, esaminando una strana trappola per mosche, parlando in Cammello dichiarato Indesiderabile in modo poetico e straziante di temi drammaticamente attuali come quelli dell’immigrazione, esaltando in Virtù di una poltrona le specifiche qualità di una poltrona che serve per morire, una poltrona che è come tutte le altre tranne avere una stellina d’argento al centro dello schienale, per arrivare al vero compendio delle storie dei Cronopios e dei Famas della quarta parte che a pensarci bene sono contenute in tutte le altre narrazioni, forse solo preliminari alla loro debordante entrata in scena che ci parla dell’asse del mondo che si è spostato in La fotografia è venuta mossa o dei Disservizi dei servizi pubblici che porta, chissà perché, direttori della radio nazionale argentina a trasmettere in lingua rumena.
Refusi e parole
Alla fine sembra un po’ di conoscerli questi esseri verdi e squamosi, come ci sembrerà di conoscere il Lucas della collezione di istantanee che è Un certo Lucas (Sur, nella sempre impeccabile traduzione di Ilide Carmignani). Il Lucas, personaggio pluricefalo che dà il titolo a questo inclassificabile volume pubblicato nel 1979 nel quale il Cronopio, Fama o Speranza in questione che si voglia definire, forse solo l’eccentrico alter ego di Julio Cortazar, si trova alle prese con i suoi refusi e con le parole che come se fossero animate rischiano di sfilacciarsi se tirate, facendo fisicamente crollare la struttura e le vite che hanno composto, oppure si trova a incontrare nel bel mezzo della pampa dove è rimasto bloccato con l’auto in panne un due misteriosi individui che avrebbero potuto soccorrerlo se non che all’interno dell’auto vi è un inquietante copilota, o ancora semplicemente (si fa per dire) la narrazione di un ricovero in ospedale.
Un’ampia scelta
Insomma il materiale disponibile su Julio Cortázar fortunatamente non manca, sempre da Sur da ricordare Il Giro del giorno in ottanta mondi (ne abbiamo scritto qui), titolo che è un’inversione nonché esplicito riferimento al celebre libro di Jules Verne, il che dice già molto su quest’altro pazzesco collage narrativo uscito in nuova edizione in occasione del cinquantenario dell’uscita originale grazie alla casa editrice romana specializzata in letteratura sudamericana, lo stesso editore che ha pubblicato Ultimo round, altro collage che racchiude tutte le più grandi passioni di Cortázar, dal jazz ai gatti, dalla letteratura francese alla boxe, altre piccole grandi perle come Correzione di bozze in alta Provenza, un immersione nella vita di uno scrittore faccia a faccia con la propria opera e sempre rimanendo a Sur da non dimenticare Componibile 62, il romanzo pubblicato nel 1968 che deve essere considerato il seguito o meglio l’interpolazione di Rayuela, mentre l’ultima uscita cortazariana in ordine cronologico ad opera di Sur sono gli otto racconti di Disincontri. Servirà tornare ad Einaudi invece per una delle ultime fantastiche fatiche letterarie di Cortázar, nel 1982, due anni prima della sua morte, per Gli autonauti della cosmostrada ovvero un viaggio atemporale Parigi-Marsiglia, cronaca o romanzo, surreale, grottesco, drammatico e tragico a posteriori per le vicende che riguarderanno i due autori. Si tratta infatti di una narrazione a quattro mani, quella di Cortázar, nella fattispecie “il Lupo” e della sua ultima compagna Carol Dunlop, nella fattispecie “l’Orsetta”, la quale morirà alla fine di quello stesso anno, racconto dei trentatré giorni trascorsi dai due sull’autostrada Parigi-Marsiglia.
Dovremo quindi semplicemente scegliere da dove partire (o ritornare) per scoprire (o riscoprire) i racconti, tramite le diverse raccolte disseminate fra Einaudi (da non dimenticare oltre a quelle citate nel presente articolo Ottaedro, Tutti i fuochi il fuoco), Sur, ma non solo, o più semplicemente affidarsi per questi alla raccolta completa dal titolo I racconti uscita proprio per Einaudi nel 2014, stessa cosa da fare per i suoi romanzi, magari partendo proprio dal più celebre Rayuela, quel gioco del mondo che è il fantastico mondo letterario di Julio Cortázar, per il quale Pablo Neruda si è sentito di dover dire: «Chi non legge Cortázar è spacciato. Non leggerlo è una malattia molto seria e invisibile, che col tempo può avere conseguenze terribili».