Con “Luis Sepulveda. Il ribelle, il sognatore” Bruno Arpaia, grande amico dello scrittore cileno, tratteggia un ricordo di grande onestà intellettuale. Emergono vivide l’idea di letteratura, le passioni e certe leggende metropolitane che Sepulveda stesso sfatava…
Bruno Arpaia, come sanno i più, non è “solo” il commissario di un racconto di Luis Sepulveda, Jacaré, ma è un uomo in carne e ossa, traduttore di lunghissimo corso (fra i tanti e non solo, Cercas, Aramburu, Ovejero, Vilas, Zafon, Perez-Reverte), amico di Lucho e narratore in proprio (con almeno un paio di titoli più che notevoli, su tutti l’ultimo, Il fantasma dei fatti di cui abbiamo scritto qui). Arpaia ha conosciuto molto bene Sepulveda, scomparso lo scorso aprile, e gli rende omaggio con Luis Sepulveda. Il ribelle, il sognatore (168 pagine, 14 euro). Uno splendido modo per ricordare uno scrittore che credeva alla letteratura come alla «più dolce delle menzogne». Nei ricordi dell’amico si stagliano il sogno e l’audacia di Sepulveda, la sua concezione della vita come qualcosa di estremamente serio, da annaffiare però con ironia e autoironia. E una sua definizione della letteratura che magari potrà fare storcere il naso a qualcuno, ma è coerente e onesta.
Diciamo che la letteratura propone una bugia innocente per rispondere alla grande truffa dell’interpretazione della verità che ci offre il potere. La letteratura si basa sulla finzione, sulla menzogna: è un mondo che non esiste, fatto di personaggi inventati perfino quando si riferiscono a persone reali. Eppure è una menzogna che arricchisce, che apre grandi varchi di verità.
Vita, opere e passioni
Non una biografia in senso stretto, anche se tra le pagine c’è il racconto della vita dello scrittore cileno (poco amato in patria dall’establishment letterario), non un’introduzione alle sue opere, anche se su tante (romanzi, racconti, favole) Arpaia si sofferma, raccontandone anche gli antefatti, il più delle volte personalissimi per Sepulveda. Un libro di grande onestà intellettuale e di estrema sincerità sulla figura dell’autore cileno, che ne scorre passioni e amari disincanti, ispirazioni e debiti ideali, su tutti quelli con Soriano e Cortazar:
Perché poi, in fondo, ciò che interessava davvero a Lucho, e che i suoi personaggi gridavano a gran voce, era ancora una volta racchiuso in una frase di Cortazar: dare alla letteratura lo stesso vigore morale con il quale affrontiamo la vita, e dare alla vita la ricchezza di possibilità estetiche con la quale affrontiamo la letteratura.
Il sacro principio dell’amicizia
Nessuna agiografia, né un resoconto tassonomico. Arpaia si guarda indietro felice di ciò che è stato e consapevole che quella dei ricordi non è una scienza esatta.
La mia memoria, invece, è particolarmente vaga, confusa: cancella, sovrappone, impasta, manipola, confonde più di quanto normalmente succeda ad altre persone.
Sepulveda, in questo libro, è un uomo che si prende meno sul serio di quanto non si possa pensare o di quanto non facessero o non facciano altri. Un individuo fedele al sacro principio dell’amicizia, ma che andava ben oltre i cliché che in tanti gli avevano affibbiato. Arpaia sfata la mitologia su Sepulveda che non piaceva allo stesso scrittore. Non una Avventuriero, non un Ambientalista da macchietta (certo con una coscienza ecologica e declinando i problemi ecologici in chiave politico-economica), non un leggendario Viaggiatore, piuttosto un esiliato, un nomade che aveva girato il mondo per necessità, per lavoro, a volte per salvarsi la pelle, non certo per pura vocazione. Probabilmente nemmeno un rivoluzionario, a dispetto del titolo di questo volume, ma «un riformista radicale coerente, con una forte carica etica e un grande senso della giustizia, capace di accettare i necessari compromessi della Realpolitik».
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