“Fuori di testo” è un curioso, documentato e accattivante saggio di Valentina Notarberardino, dedicato proprio agli elementi del libro esterni al testo, ma di fatto sue porte di accesso. Tra aneddoti, retroscena del mondo editoriale e confessioni di noti scrittori
Lui faceva il libraio. Il libraio indipendente, gli avevano detto. No, non di quelli appassionati, colti, bibliofili, un po’ terapeuti e un po’ sacerdoti. Nulla di tutto questo. Lui la febbre, la febbre dei libri, non l’aveva mai contratta. E manco leggere gli piaceva. Si stancava gli occhi, diceva fin da bambino. Alla maestra, quella stronza. Ma alla fine si era ritrovato lì, dietro il bancone, o meglio dietro il plexiglas, per questioni ereditarie. Il padre, in tempi diversi, aveva animato con successo un’elegante e moderna libreria di provincia. Che a sua volta aveva fondato un nonno cartolaio con il fiuto per gli affari. A lui tutta quella storia fregava poco. In principio aveva tentato altre strade, che non ricordava nemmeno più. Poi, quando i capelli avevano cominciato via via a sparire, si era rassegnato: alla calvizie e a fare il libraio controvoglia. E per giunta all’epoca di internet, dell’e-commerce, di Amazon & co. Il fitto lo pagava con i libri di ricette e la saga di Harry Potter (anche le corna della De Lellis avevano aiutato).
A pensarci bene però c’era una cosa del suo lavoro che gli piaceva. E anche molto. Forse era l’unico motivo che lo faceva alzare al mattino per aprire quella serranda ormai da sostituire. Sì. Ebbene sì: praticava con convinzione il fascetta-shifting, e pure con una certa destrezza. Tutto era partito da un blog, conosciuto per caso googlando “faccetta nera” su richiesta di un cliente “nostalgico”. Inavvertitamente, o forse no, al posto della “c” aveva digitato una“s”, ed ecco comparire Fascetta nera, uno spazio virtuale a lui ancora sconosciuto. Ideato dallo scrittore e giornalista Alberto Forni. E da lì l’ispirazione: spostare quegli impicci chiamati fascette da un libro all’altro, nello spirito di Robin Hood. Un Robin Hood dei libri: rubare “ai ricchi” per regalare autostima ai volumi che ne erano privi. Aveva iniziato timidamente per farsi via via sempre più audace, regalando centinaia di migliaia di copie vendute a edizioni destinate sicuramente al macero. Oppure scegliendo di benedire urbi et orbi un esordiente locale con un blurb di Baricco. Certo, era una passione inconfessabile, da praticare in solitaria. Ma dopotutto lui, social, non lo era mai stato. Destinatari? I suoi polli. I polli di libreria, sopportati e poco amati. Che però non se ne sono mai accorti di quegli scambi. Nessuno è tornato. Nessuno ha recriminato. Proprio nessuno.
Verosimile? Poco importa. Sta di fatto che la fascetta «spesso colorata di rosso o giallo e scivolosa come un’anguilla, ci intralcia mentre tentiamo di sfogliare il libro e non vediamo l’ora di buttarla appena usciti dalla libreria». Lo conferma Valentina Notarberardino nel suo Fuori di testo. Titoli, copertine, fascette e altre diavolerie (336 pagine, 18,50), edito da Ponte alle Grazie. Questa la fine quasi certa di quelle strisce di carta più o meno sottili che avvolgono la parte inferiore dei libri. Sì. Le fascette le abbiamo gettate un po’ tutti, così come sicuramente i polli dell’improbabile libraio. E come ha fatto anch’io con quella del curioso, documentato e accattivante saggio di Notarberardino, dedicato proprio a tutti quegli elementi del libro esterni al testo, ma di fatto le sue vere e proprie porte di accesso. Fondamentali nella confezione di un’opera e strategici per la sua riuscita editoriale. Non solo fascette però. La categoria include pure risvolti, dediche, note biografiche, foto dell’autore, epigrafi, prefazioni, postfazioni, ringraziamenti e indici. Insomma, tutto quello che Gérard Genette, nume tutelare dei margini libreschi, denominava paratesto. Nessuna parolaccia, avverte l’autrice. Sono «le ‘soglie’ della lettura, quelle che presentano e al tempo stesso ‘rendono presente’ il libro». Ora però non temere: il suo non è uno di quei libri che parlano di libri spesso accademici e noiosissimi. Tutt’altro.
Tra gli anni Duemila… e quelli d’oro
Senza tecnicismi, ma con l’accuratezza di chi conosce il mestiere, Notarberardino concentra la sua indagine sui margini testuali della narrativa italiana degli anni Duemila, con qualche incursione negli anni d’oro dell’editoria italiana (Calvino e Vittorini, Moravia e Maraini, Pasolini e altri ancora). Non mancano poi riferimenti ai grandi classici internazionali. Arricchisce la trattazione una vasta aneddotica, in cui l’autrice svela segreti, curiosità e retroscena del lavoro editoriale, grazie soprattutto alle confessioni inedite di molti tra gli scrittori più noti del nostro paese: da Albinati a De Silva (l’abbiamo intervistato qui), Gramellini e Lagioia, Mazzucco e Saviano. L’invito di Notarberardino è quello di leggere i vari capitoli, dedicati ciascuno a un paratesto, nell’ordine in cui si preferisce. E così ho fatto, seguendo nella lettura lo stesso ordine che prediligo quando ispeziono “le soglie” di un volume prima di acquistarlo. E in libreria, ovviamente. (Sempre che sia possibile, data la tendenza attuale a cellofanare quasi tutto). Verrebbe allora da dire: paratesti efficaci quelli di Fuori di testo, se poi è stato acquistato e pure letto. Ma sono solo strategie di marketing a guidare le scelte della confezione editoriale da parte degli addetti ai lavori? Non sempre e non solo, argomenterà l’autrice. Puntigli d’autore, volontà di editor e redattori, trovate di grafici o art director e molto altro. Non resta allora che iniziare con qualche assaggio.
In primis, sempre la copertina. L’abito che fa il monaco
Don’t judge the book by its cover, recita un celebre motto anglosassone citato da Notarberadino. Sarà davvero così? È ormai storia la lettera spedita nel 1915 da Franz Kafka al suo editore Kurt Wollf, in cui intimava: «L’insetto non può essere disegnato». Nessun scarafaggio quindi sulla copertina della Metamorfosi per il suo autore. E fu accontentato. Ma nelle innumerevoli edizioni successive, in Germania e in tutto il mondo, la blatta in copertina non si è potuta evitare.
In secundis, le note biografiche. Vite da copertina
Dopo i contenuti di base (informazioni anagrafiche, professione, titoli dei libri pubblicati) il resto è pura narrazione. Un vero e proprio genere letterario, come ricorda l’autrice con le parole del giornalista e conduttore Edoardo Camurri: «Sono una forma di letteratura involontaria». Ecco allora piovere aneddoti, segreti inconfessabili, abitudini stravaganti. E pur vero però, per dirla con Oscar Wilde, che chi è capace di confessare la propria età è capace di tutto.
Uno sguardo alle epigrafi. Parole in prestito
Secondo lo scrittore Nicola Lagioia, l’epigrafe non è un paratesto. Fa già parte del testo in quanto scelta dell’autore. A maggior ragione allora, per tutti coloro che decidono di utilizzare le parole di un altro per introdurre le proprie, non resta che seguire il suggerimento di Notarberardino. Munirsi preventivamente del libro Chi (non) l’ha detto. Dizionario delle citazioni sbagliate, di Stefano Lorenzetto (Marsilio 2019). Scopriremo che «Eppur si muove» non l’ha detto Galilei. Ed eviteremo spiacevoli gaffe.
Non dimenticare i ringraziamenti. Gratitudine d’autore
Si sa, ringraziare fa bene alla salute. Ed ecco la diffusa tendenza di molti scrittori italiani contemporanei a compilare righe e righe di omaggi alla fine dei propri libri. Per lo scrittore Sandro Veronesi tale pratica perlomeno smentisce il topos dello scrittore solitario. Così al termine di Caos Calmo, corredato di una lunga carrellata di ringraziamenti, la chiosa: «E poi dicono che quando si scrive si è soli».
E infine… scrittori all’indice
Sì, c’è anche il National Index Day. Notarberardino ci informa che è stato istituito nel 2017 a Manchester, dove ha pure sede la Society of Indexers, dedicata esclusivamente alla complessa e articolata arte di scrivere sommari. Pare sia stato Cicerone il primo ad usare la parola index per riferirsi a quelle righe schematiche che fotografano la scrittura di un testo. C’è però anche chi pratica l’astinenza. Da indici, ovviamente, e in nome di una maggiore libertà al lettore. Come Jean Genet, che ammonì l’ editore del suo La galère con un perentorio: «Niente indice».
Solo un assaggio, si diceva. Ma sufficiente, si spera, a procurare la giusta acquolina. Non resta allora che calarsi nel testo di Fuori di testo. Anche se, poco prima degli utilissimi Consigli di lettura (sempre ottima strategia d’uscita), affiora una domanda. Nell’epoca di e-book, e-reader, e-commerce, e chi ne ha più ne metta, cosa ne è stato delle soglie liminari? Sopravvivono? E come cambiano? Forse Notarberardino potrebbe raccontarcelo, con verve e accuratezza, in un sequel dall’indicibile titolo: #Fuoriditesto2.0 (o forse è già 3.0?).