Trasformare le nostre città in una nicchia ecologica che possa sopravvivere? È possibile, lo sostiene Stefano Mancuso ne “La pianta del mondo”, in cui immagina che il verde non sia più marginale negli agglomerati urbani. Tra romanticismo e consapevolezza
Nella banalità di un pensiero, la nostra sopravvivenza: siamo ospiti su questa terra. Abbiamo asfaltato, eretto muri e palazzi, ristretto l’orizzonte in una visuale sempre più verticale, sprechiamo più risorse di quante effettivamente ci servirebbero, e adesso – direbbe Stefano Mancuso, autore del libro La pianta del mondo (200 pagine, 18 euro) per Laterza – la natura ci presenta il conto. E contro di Lei, questa forza impetuosa, non possiamo combattere, né vincere. Quale soluzione? Le piante.
Abbiamo guardato la terra da lontano quella volta in cui abbiamo oltrepassato i suoi confini per raggiungere la luna: l’abbiamo osservata, quella sfera blu e verde, come qualcosa che ci appartiene, come se in fondo come in quadro, ci fosse una firma, “Uomo”.
Le risorse del pianeta
In realtà, quando si riesce a guardare il mondo senza vederlo semplicemente come il campo di gioco dell’uomo, ci si accorge che «all’inizio di ogni storia, c’è una pianta», anche nella nostra. Attraverso aneddoti, esperimenti ed episodi curiosi, Mancuso intende solleticare il nostro senso di colpa verso un’insensata ingordigia. Stiamo abusando di un «pianeta finito che non ha risorse infinite».
Se pensiamo che enormi estensioni di foreste sono scomparse per fare spazio all’agricoltura, ci si può rendere conto di quanto l’azione dell’uomo stia avendo – ormai non più tanto lentamente – un impatto significativo sulle nostre possibilità di sopravvivenza.
Necessariamente, si ritorna su un problema di portata mondiale. Lo conosciamo, ma forse non troppo bene, il riscaldamento globale. Un fenomeno nemico sentito e risentito, di cui si racconta, si scrive, si girano film, ma che sentiamo forse troppo lontano dal nostro microcosmo. Ciò che ancora non sappiamo è però quali conseguenze avrà effettivamente sul nostro vivere quotidiano.
Una giungla urbana
L’idea rivoluzionaria che sta alla base del libro di Mancuso scorre lungo le radici di vecchie teorie, di storie e aneddoti che rintracciano negli alberi, nelle piante, nella cooperazione tra natura e uomo, una relazione che abbiamo dimenticato, accantonato, in favore di una tendenza patologica all’urbanizzazione. Una città diversa si può immaginare, anche realizzare: una giungla urbana in cui l’ambiente naturale coesiste con le esigenze dell’uomo, fino a trasformare le nostre città in una nicchia ecologica che possa sopravvivere; riconoscere gli enormi benefici di una forma di coesistenza tra piante e uomo, quindi portare il verde in luoghi non necessariamente preposti come parchi o giardini, non ai margini della città ma al loro interno.
La scoperta de La pianta del mondo, nel lettore la cui passione per l’argomento era soltanto sopita, può facilmente dare il via a letture affini e suggerire un approfondimento sul potere e sulla vita segreta delle piante. D’altronde, già anni fa Mancuso (qui un’intervista) era citato come una delle personalità italiane in grado di cambiarci la vita (Annamaria Testa scrive su Internazionale un interessante articolo sull’intelligenza silenziosa delle piante).
Appunti su Mancuso
Cose su cui riflettere e spunti da approfondire? Tantissimi. Mancuso con La pianta del mondo srotola una mappa del tesoro di informazioni: dal legno usato per gli strumenti di Stradivari, agli esperimenti sulla scivolosità della buccia di banana (sì, proprio così), alle teorie di biologi e filosofi come Geddes e Kropotkin con il suo “mutuo appoggio”, fino al discorso sugli alberi di Evelyn con il suo “Sylva” che, a proposito, è inspiegabilmente non tradotto in Italia.
Nel suo “Sylva o un discorso sugli alberi forestali” del 1664, primo libro in assoluto pubblicato dall’allora neonata Royal Society, Evelyn utilizza ogni mezzo per convincere i suoi lettori della necessità di piantare più alberi. Ogni argomento sembra essere utile se comporta un aumento della consapevolezza dell’importanza degli alberi. Da qui, la riflessione di Mancuso sull’immagine una città completamente ricoperta di piante: un sogno macchiato di eccessivo romanticismo o una rivoluzione del pensiero che può tradursi in azione e consapevolezza?