McDaniel, pure schegge di vite selvagge

Il realismo cruento dei libri di Tiffany McDaniel e le sue storie dolci e amare, tenebrose e ricche di amore? Vite al limite, raccontate senza nascondere nulla e con le donne – tra paure, regole e lotte – come filo conduttore

Parlare di Tiffany McDaniel e dei suoi libri penso sia la cosa più difficile che io possa fare.
Perché non è semplice riassumere il vulcano di sentimenti, di emozioni e tutte le vite – innumerevoli vite disgraziate – che la sua penna ha portato alla luce.

I suoi tre romanzi e la sua raccolta di poesie – tutti pubblicati in Italia da edizioni Atlantide – sono permeati di un cupo vivido realismo che si miscela con la fantasia di una narratrice che altro non offre che pure – intatte – schegge di vita. Così per come sono: vite selvagge. Al limite.

L’essere donna

Un unico filo conduttore, tra le storie che passano dall’essere dolci e amare, tenebrose e ricche di amore, solitarie e piene di ricordi di giorni bellissimi – quelli d’infanzia, nel focolare domestico: l’essere donna.

E la donna di Tiffany McDaniel è una bambina-ragazza-madre-nonna molto semplice. Ci sussurra, in ogni pagina: sono donna, sono oppressa dal dolore e dalla gioia, dall’amore e dall’abbandono; lotto per sopravvivere e ho bisogno di un abbraccio. Ho sofferto la fame, e lo racconto senza vergogna. Ho subito abusi, e lo racconto senza vergogna. Ho ucciso, alle volte, e ho tradito e sono stata tradita. Lo racconto, senza nascondere nulla.

È la vita. Dopotutto.

È realismo crudo, e forse la narrazione più vera – concreta senza esasperazioni e ostentazioni – dell’essere donna.

L’estate che sciolse ogni cosa

Invece della mia famiglia e dei miei amici al tavolo da pranzo, cerco di ammonticchiare sulle sedie i panni da lavare, per evitare di vederle vuote.

È il suo romanzo di esordio e anche il primo suo lavoro letto e portato con me in spiaggia. La stagione calda che sentivo sulla pelle si fondeva con il racconto di quelle pagine che parlavano di un ragazzino afro convinto di essere il diavolo. Si presenta a casa di un avvocato che proprio il diavolo aveva voluto sfidare, invitandolo nella sua città con un annuncio pubblicato sul giornale locale.
Con l’occulto e il satanismo questo libro non ha nulla da spartire. Perché il vero diavolo è l’uomo, e l’inferno è la nostra Terra.
Tiffany McDaniel entra nella vita della famiglia che accoglie in casa il giovane ragazzo – e il suo essere afro sarà una caratteristica non indifferente. Entra nelle dinamiche familiari, nella vita silenziosa della moglie, nell’adolescenza dei figli, nella scoperta dell’omosessualità, nei ricordi di uno dei fratelli che, da adulto, ricorderà quei giorni andati – felici. Quei crimini che affliggevano la sua città, e la fine della serenità per la sua famiglia quando il diavolo, quello vero, devasterà le vite altrui.

Il caos da cui veniamo

Ho il cuore fatto di vetro. E se mai perderò il tuo amore, si frantumerà in un dolore così grande che non basterà l’eternità a ripararlo.

Tiffany McDaniel diventa ancor di più scrittrice realista trasportandoci nel passato dei suoi nonni.
Apre la porta e ci fa entrare nella casa in cui è cresciuta la madre, tra la miseria, la mancanza di pasti caldi e figli in lotta costante – contro il mondo – per sopravvivere.
Con lei ci affacciamo alla soglia della cucina e vedremo bambini seduti per terra, intorno a una madre che finge di creare dello zucchero filato. In realtà, anche quel giorno, non avranno nulla da mettere nello stomaco.
Ci fa andare nella stanzetta di sua madre, ci farà aprire il suo armadio per trovare dentro qualcuno che ama perdersi – di nascosto, al buio – dentro i tessuti degli abiti di donne.
Ci farà conoscere il fratello maggiore e la sua violenza fisica e mentale.
Ci farà conoscere la sorella maggiore e il suo amore per un figlio che no, non dovrebbe partorire. Ma che stavolta non si farà portare via – come la volta precedente – con il ramo di un albero infilzato nella carne.
Ci farà crescere accanto a chi l’ha generata.
E forse dopo aver letto questo libro, dopo aver conosciuto storie incredibili, ma così reali e per questo così cruente, capiremo cosa voglia dire realmente soffrire. Patire la fame. Reprimere i propri sentimenti. Essere un outsider. Volere figli che non si possono allevare. E, non appena finito questo romanzo – vi assicuro – si sentirà la mancanza di quella famiglia un po’ pazza e un po’ disgraziata, ma pur sempre famiglia.

Sul lato selvaggio

Quando il lato selvaggio supera il limite, prendete un ago e rimettete dentro i fili.

Altra famiglia, altre ragazzine che crescono nell’abbandono di una madre arida. Aridità compensata dall’amore immenso di una nonna che sarà tutrice, madre e custode dell’infanzia di chi – un’infanzia – se l’è vista negata. È un libro in cui la droga, quella che circola tra i personaggi del libro, senti di averla intorno anche tu. Le crisi di astinenza, la disperazione nella ricerca di una nuova dose, l’aggrapparsi a uomini pericolosi pur di averne ancora, e ancora.
Nel frattempo, la vita che continua a frantumarsi e sotto le coperte, prima di dormire, si sogna un amore vero, il podio di una gara di nuoto, o semplicemente una porzione di patatine fritte da non dover dividere – almeno per una volta – con qualcuno. O ancora, delle scarpette nuove. O ancora, delle unghie finalmente pulite. Perché per chi vive nel lato selvaggio le unghie sono sempre sporche.

Queste voci mi battono viva

È la raccolta di poesie di McDaniel che accompagna Sul lato selvaggio e che racchiude le voci di tutte le donne protagoniste – e non – dei libri di Tiffany.

Più che recensirlo, penso sia meglio riportare la poesia che più rispecchia – o sintetizza – la donna di Tiffany McDaniel con le sue lotte, le sue paure e la regole rigide e dolorose che le sono imposte per poter sopravvivere in questo mondo.

Una ragazza diventa donna davanti al coltello.
Deve imparare a conoscerne la lama,
a sanguinare come se fosse dannata o in difetto.
Fucsia.
Magenta.
Rosa antico.
Questi sono i colori che le è permesso essere.
Un giorno verrà sventrata.
Questi sono i segreti che condividiamo.
Da madre a figlia,
da sorella a sorella.
Un’aquila che vola in alto non è un segno di Dio.
È il perché delle lacrime di madri e sorelle.
Più avanti, forse, saremo felici.
Ma oggi mettiamo fuori dei fiori per chi siamo state un tempo.
Siamo ragazze che hanno appena realizzato
di aver pregato nel modo sbagliato per tutto questo tempo
che voi siete stati dentro di noi.

 

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