Antonino Cicero con “La devozione di Turi” trascina il lettore, con l’eleganza della parola poetica e col fascino della fabula, fra il Cinquecento e il Seicento. Protagonista un uomo puro e saggio, forte dell’amore per Maria Vergine e per Maria, donna promessa a un altro uomo…
La devozione di Turi (90 pagine, 10 euro) di Antonino Cicero, per i tipi di edizioni Arianna, è un romanzo piccolo e intenso che rinvia alla grande letteratura del XIX secolo, a Manzoni e Verga giusto per citare qualche nome, per i temi e per la lingua.
Cicero, fine poeta, premiato con riconoscimenti prestigiosi e giornalista, dalla penna sottile e civile, scrive in una lingua aulica e dotta che sa essere essenziale, filosofica e tagliente, quando serve. Una lingua che fotografa la storia e la vita di Turi, un contadino come tanti, cresciuto a pane, zappa, sudore, solitudine e fede. Turi lavora la terra di un prete, Padre Vincenzo, che come tanti uomini di chiesa la sa più lunga degli umili.
Un vinto
Il protagonista appare come un vinto o meglio potrebbe rappresentarne uno dei tanti che la Storia ha sepolto nel ventre delle Madonie (territorio di origine dello scrittore e da cui trae ispirazione), come in altri ventri di terre di mezzo. Così scrive l’autore, nel Prologo:
… in quell’isola, in quei secoli di mezzo, dove la terra, quella seminata e ammazzata, fu sistema e ricchezza, gola e culo, povertà e chianto; dove il signore paria sentenza e il povero, poveraccio, poverazzo contadino condannato e nulla più; in quell’isola e, giù giù, in quella contea che fu uguale a tante altre tra le valli che gli arabi nominarono di Noto, di Mazara, Demone; in quella contea che stava al nord – uguale a tante altre a l’oriente e pure al mezzogiorno e a l’occidente – e che fu terra di parrini, chiese, conventi e notari, congregazioni, allevatori, facchini, piritolli e avvocati, soldati e argentieri, campanari e mastri di ceramica; in quella contea, come anche in tante altre, uguali uguali, vi furono il mistero, li spettacoli e la terra appizzata al tempo che pagò il fio, infeudato e infiorato. Tempi bui e nivuri furono quelli che Turi e compari vissero…..
Umili e potenti
La vicenda narrata fa eco a tante storie cuntate in queste terre di mezzo, in cui l’ingiustizia, dell’homo homini lupus, ha fatto vittime tra gli umili, senza diritti, ostaggi delle angherie perverse di parenti e padroni potenti e prepotenti. La narrazione trascina il lettore, con l’eleganza della parola poetica e col fascino della fabula che, come un canto dolce, avvolge e libera dall’ingiustizia il protagonista. La trama avvincente e intrigante si colora perfino di mistero e di magia, con la truvatura. La potenza della parola coinvolge il lettore e lo rende partecipe di pietà umana e di riflessione su ciò che è stato e sul destino degli umili che trovano conforto nella fede e sollievo nell’azione giusta.
Sentimento civile
Emerge il sentimento civile che caratterizza la scrittura di Cicero poeta, giornalista e uomo. La postfazione è firmata da Giuseppe Oddo, studioso delle tradizioni della storia siciliana dei movimenti sindacali e delle lotte contadine. In copertina l’illustrazione di Marcella Brancaforte. Dal prologo, agli intermezzi, all’appendice, il lettore è trascinato dentro la notte dei tempi di mezzo, fra il ‘500 e il’600 e dentro la storia universale, spesso attuale, divenendone un tutt’uno, attraverso Turi, uomo puro, mite e saggio, forte dell’amore per Maria Vergine e per Maria, donna promessa ad un altro uomo, vile e truce. Trionferà l’Amore? Lo scoprirete leggendo.
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