Un realismo che si carica di metafore, uno sguardo su ciò che lo circonda ma per spiegare qualcosa di più, un contesto critico-gnoseologico entro cui ci si interroga sulla temi della verità, della giustizia, della libertà, del Potere e della Storia. Ragionando su Leonardo Sciascia a cento anni dalla sua nascita
Non c’è nulla che mi infastidisca quanto l’essere considerato un esperto di mafia o, come oggi si usa dire, un mafiologo. Sono semplicemente uno che è nato, è vissuto e vive in un paese della Sicilia occidentale e ha sempre cercato di capire la realtà che lo circonda, gli avvenimenti, le persone. Sono un esperto di mafia così come lo sono in fatto di agricoltura, di emigrazione, di tradizioni popolari, di zolfara: a livello delle cose viste e sentite, delle cose vissute e in parte sofferte. [1]
Scrive così Leonardo Sciascia e da queste sue parole si può già percepire come lo scrittore racalmutese sia legato alla realtà che lo circonda e che influenzerà molto le sue opere, i suoi personaggi e, soprattutto, determinerà quello che è il suo indiscusso impegno nella lotta al sistema mafioso tramite la sua posizione di intellettuale e anche interprete del suo tempo – e anche “profeta”. Tale legame con la sua realtà ha spinto molti a domandarsi – e a comprendere – se e in che misura le sue opere possano essere collocate all’interno della corrente realista. L’analisi prende il via dalla sua prima opera, Le parrocchie di Regalpetra.
Quotidianità, banalità e fondo oscuro
Il romanzo ha – secondo alcuni critici – il suo nucleo originario in Cronache scolastiche, un libretto che «riesce tanto più persuasivo, in quanto l’autore non ci viene a raccontare nulla di propriamente raccapricciante, nessuna enormità. Solo cose di tutti i giorni, consuete e banali. Ma dall’apparente banalità, egli non si lascia ingannare, il suo occhio non stenta a scorgere il fondo oscuro e mostruoso». [2]
Il fondo oscuro è ombroso è senz’altro rappresentato dal sistema mafioso. Tale rappresentazione, quindi, viene riportata ne Le parrocchie di Regalpetra, che diventa una indiscutibile metafora del mondo. Perché?
«T’accorgi che bisogna cominciare da lì, da Regalpetra, per risalire le vie di una Nazione distante e lontana, di un’Europa ancora più lontana, avvolta nelle nebbie del cosmopolitismo. Sciascia sa che si è veramente europei nella misura in cui si è meridionalisti, lo sa come scrittore, come poeta e come uomo moderno. Regalpetra è l’Italia, è l’Europa». [3]
Il suo primo lavoro, quindi, si carica di metafora.
«Sciascia non compilò un resoconto giornalistico della realtà nella quale aveva vissuto fino ad allora: il gusto per la metafora gli era ben presente e ogni descrizione si presta almeno a due livelli di lettura». [4]
Non una semplice fotografia
Le Parrocchie risultano quindi lontane dal neorealismo perché il libro non offre una semplice fotografia di una società, ma cerca di rappresentare qualcosa di più: un contesto critico – gnoseologico entro cui ci si interroga sulla temi della verità, della giustizia, della libertà, del Potere e della Storia. E soprattutto con le Parrocchie Sciascia si schiera indiscutibilmente al fianco dei vinti, dai sopraffatti da una Storia e da un Potere mal gestiti e spesso corrotti.
In sintesi, quindi, Sciascia avrebbe «attinto dal neorealismo prendendo in prestito alcuni modi, sia pure approssimativi, per rappresentare la realtà e, senza ombra di dubbio, ne ha seguito l’impegno morale e sociale» [5]
Ma non tutti la pensano così: c’è chi vede invece «un raro esempio di letteratura scaturita da una posizione neorealistica equilibrata, strettamente legata alla storia, ma attraverso una intima indipendenza morale dello scrittore, ancora prima che artistica». [6] È neorealista perché indaga e parla dei problemi di fondo della realtà: la miseria, l’analfabetismo, l’isolamento culturale, la mafia, il fascismo e la Resistenza.
Il giallo che nasce dalla realtà
Passiamo adesso Il giorno della civetta, l’esempio eccellente del romanzo giallo sciasciano. Anche qui i rapporti con la realtà sono evidenti e indiscutibili, e anche intorno a questo essemplo sulla mafia nascono tesi diverse circa la categorizzazione all’interno del neorealismo.
«Pur non distaccandosi completamente da temi ancora vivi nella problematica siciliana degli anni Cinquanta Sciascia, con un racconto di taglio poliziesco, prende le distanze dal neorealismo che nelle espressioni politiche e dogmatiche ripeteva argomenti ormai stereotipati, con una monotonia che non lasciava spazio ai nuovi problemi della società italiana». [7] Al di là della distanza che Il giorno della civetta possa assumere nei confronti della corrente del neorealismo, resta il fatto che comunque questo è un romanzo giallo che nasce direttamente dalla realtà.
«I canoni di fondo del realismo condizionano assai profondamente i caratteri di questo romanzo di Sciascia. In esso ritroviamo, sensibilizzato dall’arte e dalla fantasia, il rispecchiamento di fenomeni attinti dalla vita quotidiana». [8] Il realismo di questo essemplo sulla mafia lo si ritrova anche nella capacità dello scrittore di parlare di argomenti del genere senza doversi appellare troppo alla fantasia e all’immaginazione, dando ai suoi lettori un’opera «che ricostruisce la realtà per fornire una complessa chiave di lettura, non piuttosto un romanzo che fugge la realtà costruendo un mondo immaginario parallelo a quello reale». [9]
Le previsioni sulla mafia
Tutto ciò è possibile grazie alla analisi della realtà, sempre più precisa: Sciascia scava dentro i particolari per rintracciare i veri perché degli avvenimenti. Questa sua attitudine lo anche a farsi profeta di ciò che saranno l’Italia e la mafia negli anni successivi. Profezie spesso criticate, ritenute infondate e per niente credibili, a cui non prestare attenzione. Però, gli anni, hanno dato ragione a Sciascia. «Una lungimiranza che gli veniva non da doti profetiche, ma dalla sua capacità – e voglia – di guardare in faccia la realtà e di dedurne – razionalmente, cristianamente – gli sbocchi possibili. Per questo, puntualmente, i fatti gli hanno dato ragione». [10]
Un esempio? Sciascia diceva che se la mafia «dal latifondo riuscirà a migrare e a consolidarsi nella città, se riuscirà ad accagliarsi intorno alla burocrazia regionale, se riuscirà ad infiltrarsi nel processo di industrializzazione dell’isola, ci sarà ancora da parlare, e per molti anni, di questo problema» [11]
Come ben si può constatare, si tratta di previsione più che mai vera.
«Questo è proprio del suo scrivere e del suo pensare: la penetrazione della realtà sino ad antivederne gli svolgimenti. […] Come lui stesso sapeva, allorchè annotava: bisogna sempre aspettare, tra la realtà e la poesia, che l’equazione si compia» [12]
Note
[1] L. Scascia, Corriere della Sera, 19 settembre 1982
[2] G. Trombatore, L’Unità, 16 giugno 1956.
[3] V. Fiore, Regalpetra come Europa, pp. 161 – 172.
[4] N. Fano, Come leggere “Il giorno della civetta” di Leonardo Sciascia, Mursia, Milano, 1993, p. 25.
[5] G. Ghetti Abruzzi, Leonardo Sciascia e la Sicilia, Bulzoni, Roma, 1974, p. 73
[6] G. Ghetti Abruzzi, op. cit., p. 11
[7] Ghetti Abruzzi, op. cit., p. 72.
[8] G.Ghetti Abruzzi, op. cit. p. 41.
[9] G. Ghetti Abruzzi, op. cit., p. 33
[10] Introduzione di M. Collura in La memoria, il futuro, Bompiani, Milano, 1999, p. 7.
[11] M. Onofri, Tutti a cena da Don Mariano, letteratura e mafia nella Sicilia della nuova Italia, Bompiani, Miano, 1996, p. 199.
[12] N. Mineo, Letteratura in Sicilia, Tringale, Catania, 1988, p. 70.