Con “Un cuore sleale. Un caso per Manrico Spinori” torna il signorile detective del magistrato scrittore Giancarlo De Cataldo. Il credo è rigoroso: non esiste esperienza umana – delitto incluso – che non sia già stata raccontata da un’opera lirica; bisogna individuarla
Roma. Dicembre 2018. Il 9 dicembre di ogni anno i maschi Proietti trascorrono giornata e notte in yacht. Quel giorno ricorre sia il matrimonio dei genitori che la morte della madre. Il marito e padre Ademaro, palazzinaro di successo, tifoso laziale, i figli gemelli Tommaso e Umberto e il più piccolo Renzo si trovano sul lussuoso Chiwi, governato dal capitano e da un marinaio, accompagnati da Brian, marito dell’unica figlia femmina, Sofia. Da Ostia partono per Ponza: battuta di pesca, partita a carte, chiacchiere, rientro all’alba.
Il mare riconsegna un cadavere
Questa volta, al risveglio non rintracciano più Ademaro e presto il mare ne riconsegna il cadavere, forse caduto perché colpito alla nuca. Si precipitano sul posto quattro Pm con i relativi poliziotti o carabinieri, non si capisce bene di chi sia la competenza territoriale: Roma, Velletri, Latina, Civitavecchia. Fra di loro c’è il contino Manrico Spinori che non esclude possa trattarsi di omicidio, sulla base delle prime valutazioni, risultanze e scambi di competenti opinioni. La sua squadra alla cittadella giudiziaria di piazzale Clodio è fatta di donne: tre poliziotte, la gentile coordinatrice 40enne Sandra, sposata col 45enne Nico, materna all’apparenza, feroce all’occorrenza, intuitiva per vocazione, meticolosa per scelta (però ora distratta da guai di coppia); la bassa sarda Gavina, sempre concentrata e corrucciata (col caschetto), imbattibile al computer, legata al 32enne professor Filippo; la nuova bella “fascista” romanaccia Deborah, un metro e ottanta di tatuaggi e muscolatura da karateka, legata all’ispettore testa di cuoio Diego; infine l’efficiente sospirosa segretaria Brunella. Interrogano i familiari, Ademaro aveva sfruttato gli ebrei, ora c’erano problemi di successione, la giovane amministratrice delegata delle aziende sembra brava, ma era stata amante di Ademaro e ora è convivente del terzo lento figlio. Al cadavere manca anche un prezioso orologio. Insomma, il problema è individuare l’opera lirica di riferimento!
Il melodramma della realtà
Il bravo magistrato e grande scrittore Giancarlo De Cataldo (Taranto, 1956) non è un melomane di gioventù, a un certo punto ha riscoperto l’impatto emozionante dell’opera lirica che gli ha scombussolato la vita e, ora, anche l’identità letteraria. Con Un cuore sleale. Un caso per Manrico Spinori (245 pagine, 17 euro), edito da Einaudi, siamo già alla seconda avventura della nuova serie di noir: il signorile melomane Manrico (dal “Trovatore”) è un gran bel personaggio, perfetto per mescolare l’esperienza professionale e la passione musicale di De Cataldo con due differenti generi narrativi. Il credo è rigoroso: «non esiste esperienza umana – delitto incluso – che non sia già stata raccontata da un’opera lirica. Bisogna individuarla. E rimettere al centro della scena il melodramma della realtà».
Un solo cuore sleale…
Si comincia con il morto, come da copione giallo. Seguono tutti i riti dell’investigazione, sia letterari che istituzionali. La narrazione è in terza (quasi) fissa al passato. Manrico va alle prime, cita opere, ascolta lirica e classica, studia analogie emotive col caso, è caparbio, si concentra sulla slealtà (da cui il titolo): «Se c’era una verità che aveva appreso, in tanti anni di indagini, era che, negli esseri umani, verità e menzogna, lealtà e cupidigia, spesso si mescolano… Un solo cuore sleale poteva inquinare un esercito di valorosi». L’ispirazione verrà da Un ballo in maschera di Verdi, ma non sarà immediata. Manrico è tentato pure di scappare dalle furbizie magistrali dell’amministrazione della giustizia, dai vizi mediatici (che si manifestano alla grande) e dalle frequenti cafonaggini di taluni ricchi. Siamo nell’èra della suscettibilità, incombono le festività, è proprio dura: la madre Elena si salva solo giocando al casinò di Venezia, il figlio musicista Alex preferisce New York, Maria Giulia non si fa amare facilmente. Comunque dolci fanciulle lo vedono alto e bello, ne subiscono il fascino frivolo ma riservato. Fra l’altro, fuori dall’ufficio incrocia pure Valentina Poli, trentaquattro anni, vivace e bella marchigiana di Macerata, pubblico ministero appena trasferita da Palmi a Roma. L’apericena da Piero a Prati non ha conseguenze (per ora). Però, l’ultimo dell’anno si trova a suonare al piano Alabama Song di Bertold Brecht e Kurt Weil, diventa irresistibile. Gaudenti vino rosso, cocktail (Hugo) e liquori (whisky).
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