Nel mondo di Zerocalcare non ci sono apparenze da preservare: ci sono semplicemente esseri umani, impreparati, goffi, che cercano di rimanere a galla. Gli si vuole bene perché, a conti fatti, è l’unico eroe che questo presente traballante può offrirci…
È un tempo confuso, questo nostro XXI secolo: sempre più incerto, disorientante, lontano dalle grandi narrazioni e dalle grandi destinazioni che erano ancora possibili soltanto qualche decennio fa. Lo descriveremmo, forse, come il tempo dei social networks, delle apparenze esibite, della sensazione netta e costante di essere inadeguati: mai troppo alla moda, mai troppo coinvolti. Ci raccontiamo continuamente, eppure forse non ci raccontiamo mai davvero, così come siamo, perché, in fondo, è troppo pericoloso – che ne sai, poi, cosa pensano gli altri?
Un cantuccio da cui raccontare l’umanità
Non è un mondo di eroi: forse non sono più possibili. Non c’è molto da salvare, né valori da rivendicare: ci siamo solo noi, uomini e donne, a volte un po’ impauriti, a volte un po’ spavaldi, che cerchiamo di tenerci a galla in questo oceano di parole che rischia di sommergerci ogni giorno. Eppure, di eroi ne abbiamo bisogno anche noi, proprio come ne avevano bisogno in passato. Eroi al rovescio, ovviamente, talvolta un po’ impacciati. Qualcuno che si ritagli un cantuccio da cui raccontare questa umanità senza regole e mete precise, completamente allo sbando, certa di non avere altro che incertezze.
In equilibrio su un mondo traballante
Zerocalcare, per l’anagrafe Michele Rech, è uno di loro. Gracilino, un po’ instabile, si racconta nei suoi tentativi goffi di sintonizzarsi con il mondo circostante. Non ci riesce sempre – anzi: quasi mai – eppure continua ugualmente, barcamenandosi tra le aspettative, l’ansia sociale, gli istinti e la paranoia. Da quando ha esordito con Bao Publishing, nel lontano 2011, si è fatto sempre più spazio nel cuore dei suoi lettori. Li ha conquistati con la sua sincerità: con quella capacità, sorprendente, di mostrare tutto quello che nessuno di noi avrebbe mai avuto il coraggio di raccontare. L’ansia da prestazione, per esempio; la paura del futuro, delle relazioni, della vita di ogni giorno. O, ancora, quel terrore paralizzante che precede qualsiasi azione, anche la più piccola. Zerocalcare è uno di noi: uno che deve tenersi in piedi e non è poi mica tanto convinto di riuscirci. E allora finisce col prendersi in giro, continuamente, perché forse, in questo tempo così confuso, è l’unica cosa che gli rimane da fare.
Scheletri nascosti nell’armadio
Qualche mese fa è uscito in libreria il suo penultimo lavoro (prima del nuovissimo A babbo morto). Si intitola Scheletri (240 pagine, 21 euro) e racconta la storia di un ragazzo, maggiorenne, che ogni giorno prende la metro fingendo di andare all’università. Ovviamente, non ci va: ma questo la madre non lo sa e non deve saperlo. Il racconto inizia così, con un non detto – e si chiude, circolarmente, con molti altri non detti. Perché Scheletri, come anticipa il titolo, è la storia delle cose che nascondiamo sotto al tappeto, nella convinzione che nessuno mai ci scoprirà. È la storia delle mezze verità, dei patti segreti, di certi amori complicati e spigolosi che crescono, selvatici, senza averli programmati. Un racconto di formazione, in sostanza, che ritrae vividamente tutto il mondo di Rebibbia: i soprusi, le ingiustizie, la vita per le strade, i pomeriggi passati nella sala giochi. E il tempo, il tempo che passa, che ci cambia e ci stravolge – per poi bussare, un giorno qualsiasi, alla nostra porta, e sorprenderci lì: sempre noi, sempre uguali, con le stesse paure soffocate di quando avevamo diciotto anni.
Leggerlo, come tornare a casa
Leggere Zerocalcare è un po’ come tornare a casa, al nucleo più vero dell’essere umani. Si ride tanto, a volte si piange anche, ma la sensazione, arrivati alla fine dei suoi libri, è sempre la stessa: quella di aver perso la nostra più sincera controfigura. Nel suo mondo non ci sono apparenze da preservare: ci sono semplicemente esseri umani, impreparati, goffi, che cercano di rimanere a galla, ciascuno come può. E alla fine, se uno ci pensa, è tutto qui il senso del nostro tempo inquieto: in questa storia che scriviamo ogni giorno, a tentoni nel buio, tra qualche sbavatura e mille errori. Non è strano, allora, che a Zerocalcare finiamo col volergli bene: perché, a conti fatti, è l’unico eroe che questo presente traballante può offrirci. Un eroe al rovescio, ovviamente – ma pur sempre un eroe.