La scomparsa di un bimbo sordo, la ricerca dopo quasi vent’anni della sorella, una famiglia incrinata. “La forma del silenzio” di Stefano Corbetta è una riflessione sul dolore, sulle perdite e sui vuoti, scuote il lettore e lo cattura. Non un giallo classico, ma una storia di infanzia rubata, colma di speranze tardive e pathos
Stefano Corbetta è un cinquantenne poco reclamizzato, che non farà parte di conventicole letterarie. Uno di quelli che stanno alla periferia della Galassia Gutenburg ma meriterebbero più attenzione. Il suo terzo romanzo, dedicato a Luigi Spagnol ed edito da Ponte alle Grazie, è La forma del silenzio (240 pagine, 16 euro) e ha come protagonista una donna, Anna, psicologa e insegnante della lingua dei segni, che dopo quasi vent’anni fa i conti con le fragilità dei genitori e, soprattutto, con la scomparsa del fratello; affetto da sordità bilaterale, il piccolo Leo, allontanatosi a sei anni dal collegio in cui studiava, una scuola frequentata malvolentieri, perché era vietata la lingua dei segni, e perso nel nulla, nella neve o nel buio. Dal dicembre 1964 si passerà al 1983, un viaggio senza suoni.
Dolcezza e tensione
Se dopo tanto tempo la sorella, ormai donna, torna a sperare di sapere qualcosa è perché un coetaneo del fratello si fa vivo: Michele, compagno di scuola di Leo, l’avrebbe visto allontanarsi in compagnia di un insegnante d’arte, Giordano Ripoli. Tenendo solo su di sè la tensione e il dolore di queste notizie vaghe, Anna – alla lunga personaggio principale, scalzando il fratello assente – rischiando proverà a indagare i tasselli mancanti della storia. È un romanzo di assoluta dolcezza (specie nei flash-back che hanno come protagonista il giovanissimo Leo), avvolto dalla grazia, eppure di grande tensione. Il mistero del lunghissimo silenzio, misto alla rassegnazione e a una generale riflessione sul dolore, sulle perdite e sui vuoti, scuote il lettore e lo cattura.
Il silenzio ulteriore
La ricerca che Corbetta affida alla sua Anna è colma dei sensi di colpa di una ragazza (quattordicenne ai tempi della scomparsa del fratello) divenuta donna: l’unico tramite di Leo con il mondo, colei che lo comprendeva nonostante il silenzio e aveva captato il malessere del bimbo nei confronti di quel pure rinomato microcosmo scolastico; reticenze, mezze verità e bugie fanno capolino lungo le pagine di un romanzo veloce, in cui coesistono riflessioni, dinamiche psicologiche, scrittura evidentemente, eminentemente, visiva e pura trama. C’è anche un silenzio ulteriore, quello di Anna, che decide di non coinvolgere nessuno nella ricerca della verità, non Stella, la migliore amica, non la madre Elsa. Cercare il fratello è un estremo atto d’amore, una strada che decide di percorrere da sola.
Tre reazioni
Corbetta scrive dei suoi personaggi con sensibilità e rispetto, sembra condividerne le ferite, di sicuro ne ascolta i silenzi. La famiglia che mette a fuoco, in un andirivieni cronologico, si incrina: Anna attende impotente, la madre Elsa, che ha un negozio di fiori, si nasconde dietro un cieco ottimismo, il padre Vittorio, tassista, scivola in una depressione senza soluzione. Assolutamente non un giallo classico, ma una storia di infanzia rubata, di un presunto rapimento, fra cicatrici riaperte, rimorsi, disagi, speranze tardive e pathos.
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