A Parigi c’è il centro del mondo per chi ama leggere, la libreria indipendente più famosa, che sta superano le difficoltà post-lockdown, grazie a una gara di solidarietà. Tutto ebbe inizio, negli anni Cinquanta, grazie a un eccentrico soldato americano, che però si rifece a una più antica attività, avviata 101 anni fa da una giovane connazionale: nell’originale Shakespeare and Company lasciarono il segno anche Fitzgerald e Hemingway…
Improvvisamente due mani cingono una vita, la tua. E piove un bacio sul collo. Per un istante, una frazione di secondo, speri nel “fidanzato”. (Quello che… per tutti le altre era single e la domenica “sì, sai, sono ancora di turno”). Ma lui, quello del bacio, fidanzato lo era veramente. Con lei: più bionda, più giovane, più carina e che stava tre scaffali più in là. Si sa, gli uomini non ci azzeccano mai… con le tinte per capelli. E così, tra imbarazzatissime scuse di lui e sacrosante imprecazioni di lei, te la sei svignata. Colpevole per non aver commesso il fatto. O forse sì: abbandonare il libro lasciato a metà.
No, non è l’incipit di un racconto (scritto male). Ma la dimostrazione che qualsiasi frequentatore più o meno assiduo di una libreria ha sicuramente un aneddoto da raccontare. Lo sanno bene i registi. Reali o immaginarie poco importa: l’intimità che si respira, la loro natura di microcosmo protetto ne fanno luoghi in cui aumentano notevolmente le possibilità di contatto (mascherina permettendo). E l’innamoramento in libreria diventa un topos cinematografico (oltre che letterario): da Cenerentola a Parigi a Notting Hill, passando per C’è posta per te, e continuando con una lunga lista di altri titoli non citati.
Ma noi, ex-ragazze X-generation, cresciute a pane e Dead poets society, non potevamo che seguire in Francia il giovane Ethan Hawke, divenuto scrittore (nella finzione e nella vita). E perdutamente innamorate incontrarlo “per caso”, appena Before Sunset, in quel luogo leggendario in cui tutti gli autori anglofoni presentano i loro libri a Parigi: la celebre Shakespeare and Company.
L’appello per sopravvivere
Di Shakespeare and Company in questi giorni si fa un gran parlare, ma per ben altre ragioni. Piegata dal lockdown, la più famosa e iconica (sì, anche turistica) libreria indipendente al mondo ha rischiato il fallimento. A dichiararlo Sylvia “Beach” Whitman, attuale proprietaria, che a fine ottobre ha lanciato un appello, fortunatamente ascoltato. Già oltre 5.000 le prenotazioni di libri online. E Shakespeare and Company per ora continuerà a vivere (non così però per molte delle sue sorelle meno note), sperando di tornare presto quell’angolo di mondo caotico e festoso al 37 di rue de la Bûcherie.
Ma la sua storia, la conosciamo? Per molti di noi Shakespeare and Company è sinonimo di anni ‘60, di beat generation, di Gregory Corso, Lawrence Ferlinghetti, Allen Ginsberg e di tutti gli altri che si sono incontrati e hanno lasciato la loro impronta in questo antico edificio, forse un monastero, sulla Rive Gauche. E infatti è stato così. O meglio… anche così. Qui nel 1951, George Whitman, un eccentrico soldato americano, aprì con i soldi del congedo la Mistral, per rinominarla nel 1964 Shakespeare and Company, in onore del quattrocentesimo compleanno di Shakespeare e in ricordo dell’omonima libreria (l’originale), quella in rue de l’Odéon.
Le origini e la lost generation
L’originale? Sì, ma allora partiamo da lontano. Era il 19 novembre 1919 quando Sylvia Beach, giovane americana che aveva desiderato una libreria francese a New York, finì invece con l’aprire una libreria inglese a Parigi, prima all’8 di rue Dupuytren, poi al 12 di rue de l’Odéon. Erano gli anni Venti, in America c’era il proibizionismo, e la vita a Parigi era decisamente più facile e felice: quella città era decisamente “il posto migliore dove essere giovani”, il luogo ideale “per vivere da geni”. E nel negozio di Beach si darà ben presto appuntamento un’intera generazione: la cosidetta lost generation, ma non solo. Hemingway e Fitzgerald, e poi Pound e Eliot, Faulkner e Auden, Gertudre Stein e tanti altri. Tra cui lui, James Joyce, in cerca di un editore per il monumentale romanzo che stava terminando: l’Ulisse. Beach, intuendo di avere tra le mani uno dei capolavori indiscussi del Novecento, rischiò il tutto e per tutto. A un solo anno dall’apertura, nel 1920, si fece carico della pubblicazione. Sì, proprio quell’Ulysses che nessuno sino ad allora era disposto a pubblicare perché incomprensibile e osceno.
Da Shakespeare and Company però più che venderli, i libri si prestavano. Chi non poteva permettersi di acquistare volumi importati (ed erano in tanti sulla Rive Gauche) si abbonava a una sorta di biblioteca circolante. Riceveva una tessera che dava diritto a uno o due libri alla volta per quindici giorni. Ma come tutte le regole, venne spesso infranta: Hemingway se ne portava via mezze dozzine. Joyce sporte intere, restituendoli dopo anni.
Incontri e relazioni, le memorie della fondatrice
L’intera vicenda della libreria parigina più famosa al mondo è narrata con brio dalla viva voce della stessa protagonista nelle sue memorie, uscite nel 1959 e riproposte anche da Neri Pozza nel 2018. Il racconto si conclude nel 1944 con le jeep delle truppe alleate che liberano l’intera via, per correre veloci al Ritz “a liberare le cantine”. C’è anche il soldato Hemingway.
Quella di Shakespeare and Company è soprattutto una storia di incontri (e che incontri), a ulteriore conferma che le librerie sono luoghi di passaggio, di scoperte, di conversazioni, di intense relazioni. Come quella decisiva che Beach avrà con Adrienne Monnier, compagna, amante, sorella, amica, a cui dedicherà il suo memoir. Anche lei libraia, oltre che scrittrice e poeta, animatrice de “La Maison des Amis des Livres”, affacciata su quella mitica strada, rue de l’Odéon, pochi numeri più in là.
E così, per caso o per destino, accade che le menti migliori di un’epoca si incontrino in un unico luogo, facendolo diventare il centro del mondo. Ai posteri… la lettura!
Per approfondire:
Sylvia Beach, Shakespeare and Company, Vicenza, Neri Pozza, 2018
Adrienne Monnier, Rue de l’Odéon, Palermo, Duepunti, 2009