“Favola del castello senza tempo” è un quasi inedito pubblicato in occasione dei cento anni della nascita di Gesualdo Bufalino. Di certe ricorrenze lo scrittore comisano aveva timore e speranze timorose. La vera festa sarà sempre continuare a leggerlo…
Quasi un inedito, per festeggiare i 100 anni dalla nascita. Pubblicato già postumo, nel 1998, con una copertina colorata e una raccomandazione… anagrafica: dai 9 anni. L’ormai introvabile edizione Cartedit, specializzata nella letteratura per l’infanzia all’interno del fu gruppo Rusconi, è stata sostituita con un volume raffinato, illustrato da Lucia Scuderi e introdotto da Nadia Terranova, la scrittrice siciliana del momento, che ha sempre indicato in Bufalino uno dei suoi numi tutelari. Ecco come è rinato il racconto Favola del castello senza tempo (61 pagine, 12 euro) di Gesualdo Bufalino, pubblicato da Bompiani, la casa editrice che, con Elisabetta Sgarbi, strappò lo scrittore comisano a Elvira Sellerio, e che lo mantiene vivo editorialmente in seno al gruppo Giunti.
I condannati all’immortalità
Protagonisti della favola, un ragazzo, Dino, e una farfalla, Atropo, che possono cambiare il corso del destino a «una processione di creature di straordinaria statura», gli abitanti di un castello, che da esso non possono uscire, ma solo limitarsi a percorrere corridoi e a guardare «contro i vetri ciechi delle finestre», condannati all’eternità, all’immortalità, ma senza emozioni e senza sentimenti.
Sapessi cosa non daremmo per una spina di passione, un amore, un odio, uno strazio, una malattia!
Contro il silenzio, contro la cenere
La dolce (o no?) condanna all’immortalità di tutti gli artisti non era tra i pensieri di Dino Bufalino, che scriveva per tante ragioni, ma la vanità, che c’era, ça va sans dire, era fra le ultime. In un articolo del 1991, dedicato alla ricorrenza del secolo dall’Esposizione Universale di Palermo, raccolto poi ne Il fiele ibleo, edito da Avagliano, Bufalino confessava un timore e una speranza, screziata di ulteriore timore:
Io non mi fido troppo dei centenari: scadenze liturgiche che pretendono di giudicare un evento o un personaggio secondo le futili imposizioni del calendario; e che, mentre ostantano un distacco e un’equità falsamente definitivi, sbagliano le più volte nei due sensi opposti dell’enfasi celebrativa o del pregiudizio revisionista […] Si danno casi frequenti in cui una festa di centenario giova a scuotere un giudizio mummificato, a sollevare qualche lastra sepolcrale per guardarci sotto fruttuosamente. Peccato che, cessata la circostanza, spento il provvisorio clamore, tutto torni al silenzio, alla cenere di prima.
Adesso, con il centenario toccato a lui (festeggiato on line dalla Fondazione Bufalino, a causa dell’emergenza Coronavirus), non avrebbe cambiato idea. La vera festa, contro il silenzio, contro la cenere, sarà sempre continuare a leggerlo, lasciarsi incantare dalle sue storie, che sono la lingua in cui sono scritte, e da una scrittura che per cultura e umanità rompe gli argini di qualsiasi fiume, dalla sua favola, la favola dello scrittore senza età.