Ne “La natura è innocente” Walter Siti trasforma in letteratura due vite, dagli esiti opposti, già passate tra le mani di cantastorie televisive, Francesca Leosini e Barbara D’Urso. Una conversione, quella alla biografia romanzata, che segna l’abilità dell’autore di rinnovarsi anche in quello che considera «il finale di carriera di un romanziere»
Dinanzi all’indiscrezione sfuggita all’autore in una delle note dell’epilogo: «questo probabilmente sarà il mio ultimo romanzo», mi è salito un rigurgito di horror vacui. Pochi gli scrittori all’altezza di colmare il vuoto che si prospetterebbe per la letteratura italiana nella malaugurata ipotesi. Chi indagherebbe il contemporaneo, nella sua accezione individuale e nell’altra collettiva, con l’intelligenza e la limpidezza a cui ci ha abituato?
L’addio annunciato un vezzo?
Mi apro alla speranza che sia solo una battuta, un vezzo narcisistico, una velleitaria esca lanciata ai fan affinché lo si preghi in ginocchio di rivedere il proposito.
Cosa aggiungere sul suo libro edito da Rizzoli, La natura è innocente. Due vite quasi vere (352 pagine, 20 euro), che non abbia scritto Siti stesso nel prologo, nell’epilogo e nella nota e ringraziamenti finali? Questi tre momenti del romanzo in cui, con la puntualità che gli è tipica, ha lucidamente sezionato il lavoro fatto, analizzato elementi stilistici, struttura, lingua (uso del dialetto compreso), potenzialità e motivazioni, svelandone anche «i dietro le quinte», da soli valgono – volendo dirla prosaicamente – «il costo del biglietto».
Difendere la letteratura
Mi inserisco nel solco del già detto per focalizzare con maggiore insistenza uno di tali dettagli: il passaggio qui compiuto dall’autofiction alla biofiction, così giustificato: «Se un tempo scrivevo per salvarmi la vita, ora la consapevolezza privata non è che un sottoprodotto marginale; ora scrivo per scrivere, per difendere la letteratura da chi la vorrebbe morta (o mutilata, o asservita). Una conversione, quella alla biografia romanzata sul tipo dei biopic del cinema, sulla quale mi piace ritornare per evidenziare la volontà e l’abilità dell’autore di rinnovarsi anche in quello che in cuor suo considera – almeno nel momento in cui scrive – «il finale di carriera di un romanziere»..
Voyeurismo antropologico e sociale
Eppure l’estro artistico è perenne gioco di bilanciamenti tra le cose consuete da tenere e quelle da lasciare andare. Ottimo che il Professore non abbia rinunciato ai sui tratti tipici più veraci. Resta immutata, infatti, l’inconfondibile ed esplicita propensione ad un certo voyeurismo antropologico e sociale anche in questo caso utilizzato al meglio. Disinnescatene le componenti di turpitudine e volgarità si conferma efficace prisma attraverso cui riflettere sulle attitudini di certi tipi umani moderni.
Non ho ancora accennato alle trame, che procedono parallele in un’alternanza di quattro capitoli ciascuno.
Il naufragio e il riscatto
Walter Siti sceglie due vite già passate tra le mani di valentissime cantastorie televisive, due indiscusse icone pop nei rispettivi segmenti di pubblico: Francesca Leosini e Barbara D’Urso.
Filippo Addamo, catanese, protagonista di una puntata di “Storie maledette” in qualità di assassino della madre, Rosa Montalto, è il primo ad entrare in scena.
A seguire Ruggero Freddi, romano, classe 1976, divo del porno gay con lo pseudonimo di Carlo Masi e professore di matematica, che ha, invece, furoreggiato a più riprese nel salotto di Pomeriggio sul Cinque, arrivando a formalizzare, in quella sede, la proposta di matrimonio al suo compagno.
Gli inizi delle loro storie simili. Nascono entrambi in contesti familiari e sociali modesti culturalmente ed economicamente. Gli esiti diversi. Una pena da scontare per un delitto d’onore, che resta un anacronismo indigeribile, erode la giovinezza di Filippo, depauperandolo di ogni altra possibilità a più lungo termine. Ruggero invece lambisce punte di popolarità con entrambi i suoi lavori, quello con il corpo e quello di cervello. Assecondato per queste vie, forse, il suo edonismo, manca tuttavia l’obiettivo del riscatto pieno e definitivo.
Il modulo pop delle narrazioni di Leusini e D’Urso viene acquisito al letterario piuttosto che dalla penna di Walter Siti, dalla robusta gomma cancellante di cui egli si arma per lavorare di sottrazione sul materiale accumulato. Corretta l’enfasi barocca del registro leusiniano e rimosso il glitter rosa confetto che la Barbara nazionale sparge con eccessiva generosità sui suoi soggetti, vengono alla luce due pregiatissime storie “quasi vere”, attraverso le quali Siti ci aiuta nuovamente nella decodifica dei tempi e marginalmente ci parla ancora un po’ di sé.
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