In “Qui pro quo” un giallo senza soluzione apparente: Bufalino allo stato puro, che sa intrattenere e andare in profondità, oltre i generi, oltre la ragione e la giustizia che trionfano, che trionferebbero, se Bufalino non fosse il maestro di giochi di specchi che è…
Un poliziesco che è un trucco, un intreccio giallo che è una burla, tragicomica, un elegantissimo gioco letterario. Un libro che torna attuale nel presente, oggi che vanno di moda “professionisti del giallo” di ogni latitudine (in Scandinavia, negli Stati Uniti, nel Belpaese), in certi casi spacciati per campioni di stile, ma che ripetono – con qualche eccezione – solo una stanca formula dal fiato corto, storie più d’effetto che di contenuti, possibilmente con personaggi improponibili, raccontando, semplicemente, un mistero sciapo e insignificante e la sua soluzione. Troppo poco.
Non uno di quei polizieschi dimenticabili
Per chi non ha tempo da perdere con odierni narratori seriali di storie dimenticabili, o per chi vuole disintossicarsene, la lettura dell’antigiallo di Gesualdo Bufalino, Qui pro quo (175 pagine, 10 euro), disponibile nei tascabili Bompiani, potrebbe essere balsamo per le ferite. Potesse rileggerlo adesso, lo rileggerebbe anche Bufalino che amava i meccanismi a orologeria di Sciascia (che già avvertiva «una decadenza di questo genere di racconto, il suo estenuarsi e ripetersi» e invocava una rinascita della formula, con un passaggio di mano, da autori di genere a scrittori tout court) e di certi gialli più o meno classici, Leroux, Chandler, Durrenmatt. E che si sarà divertito un mondo a scriverlo.
Tripudio di malintesi
Esther Scamporrino, alias Agatha Sotheby, è la voce narrante di Qui pro quo, stesso titolo di un romanzo che proprio lei ha scritto. C’è più umorismo che tragedia, pirandellianamente, nel dipanarsi delle indagini sull’omicidio dell’editore Medardo Aquila (di cui Esther è segretaria) nella casa dove trascorre le vacanze e conclude l’ultimo dei suoi giorni (omicidio? suicidio?) con la testa fracassata. È un giallo (impreziosito da pitture, stampe e disegni) senza soluzione o con una soluzione apparente, un in-conclusione tutt’altro che tradizionale, che si fa beffe di tutto il corollario del genere, mosse, contromosse, intrighi, risentimenti, depistaggi, deviazioni improvvise del destino. Un generale qui pro quo che coinvolge tutte le marionette (dirigenti editoriali, belle donne e artisti di ogni foggia) mosse dal “puparo” Bufalino, in un intersecarsi di misunderstanding, tripudio di malintesi. Le certezze stanno a zero, le risposte sono sbilenche, la struttura del classico poliziesco è scardinata, le citazioni più o meno nascoste abbondano, a cominciare dai nomi.
La zitella, il commissario e le lettere
In un luogo di mare la zitella «brutta, bruttastra, bruttina» Ester Scamporrino indaga, assieme al commissario Currò (disilluso, personaggio sciasciano è stato definito dai più, cinquantenne di ottime letture, che nel tempo libero legge un tascabile dalla copertina blu, evidente omaggio alla casa editrice degli esordi, la Sellerio), aiutata e/o sabotata da alcune lettere che Medardo ha lasciato, sospettando l’approssimarsi della morte. Bufalino allo stato puro, che sa intrattenere e andare in profondità, oltre i generi, oltre la ragione e la giustizia che trionfano, che trionferebbero, se Bufalino non fosse Bufalino, maestro di giochi di specchi.