Essere poeti non è qualcosa di troppo lontano e difficile, vivere da poeti è vivere da uomini. Si legge in “Abitare poeticamente il mondo” di Christian Bobin, libro difficile da classificare per genere, ma che di sicuro invita a cambiare prospettiva e punto di vista, modo di stare al mondo. Per scoprire chi e che cosa lo popola senza l’assillo di dover cercare o prendere o possedere o fare…
Dove siamo adesso. Ce lo stiamo chiedendo, e questa domanda si sente nell’aria e ci coglie quando siamo sovrappensiero e abbassiamo la guardia.
Dove siamo?
Abitare poeticamente il mondo (80 pagine, 10 euro), Il piccolo libro di Bobin, pubblicato nel 2019 dalla casa editrice AnimaMundi di Otranto, può farci da bussola.
Il presupposto da cui parte la riflessione dell’autore, come abbiamo letto, è la presa di coscienza dell’allontanamento dall’autenticità della vita e la predominanza delle macchine sull’uomo.
Questo è ciò che Bobin definisce «abitare tecnicamente il mondo».
La produttività misura del mondo
La tecnica è una grande conquista e rende indubbiamente più semplice la vita. Ma chi ha detto che le cose debbano essere semplici? Chi ha detto che debbano essere necessariamente utili perché se ne riconosca il valore? Viviamo nella convinzione che solo ciò che assolve a una funzione pratica possa essere considerato degno di riconoscimento, che solo la produttività abbia davvero importanza, e questo approccio regola tutti i livelli del nostro stare al mondo.
Ben quarant’anni fa Adriana Zarri ha scritto che la vera cultura alternativa risiede nella contemplazione e nella gratuità, perché, a ben riflettere, nulla che ci sostanzi in quanto esseri umani in fondo serve: persino pregare è «un bel mazzo di fiori che mettiamo sul tavolo»; sorridere, addirittura, non serve a nulla perché la bocca è fatta per mangiare e per dare istruzioni, mentre il sorriso è accessorio.
Ma l’uomo non è una macchina. Aver reso la produttività il principale, se non l’unico, discrimine per interpretare il mondo, ha cambiato radicalmente il nostro modo di abitarlo. E poiché la parola è la cosa, e dunque il modo in cui parliamo descrive e circoscrive il nostro mondo, è necessario ripopolare innanzitutto il nostro linguaggio, raccogliendo quelle «cose poverissime e inutili»che troviamo per la strada.
Gli occhi del poeta
Per abitare nuovamente il mondo occorrerà però qualcosa di più radicale e rivoluzionario: occorrerà tornare ad abitarlo poeticamente.
Quella di Bobin è un’accorata esortazione a guardare il mondo con gli occhi del poeta, di colui che non agisce ma osserva, che si ferma a contemplare ciò che lo circonda, e che si commuove perché nella contemplazione perde la cognizione di ciò che è fuori e di ciò che è dentro di sé.
Dunque, il lettore viene chiamato alla più nobile e ardua creazione possibile oggigiorno: cambiare prospettiva e punto di vista, cambiare lo sguardo e di conseguenza la presenza, il modo di stare al mondo; ricreare il mondo, e scoprire chi e che cosa lo popola senza l’assillo di dover cercare o prendere o possedere o fare.
La duplice fedeltà
Scopriremo sorprendentemente che essere poeti non è però qualcosa di troppo lontano e difficile, perché anche “un imbianchino che fischietta come un merlo in una stanza vuota” – da cui il titolo originale: le plâtrier siffleur, l’imbianchino merlo – può essere considerato tale, anche una madre che rimbocca il lenzuolo del figlio che dorme. La poesia è infatti intimamente legata alla nostra realtà: «la poesia del fornaio è il suo pane», scrive Bobin, e non a caso il termine poesia deriva dal verbo greco ποιέω, che significa fare, costruire. Il poeta allora è colui che rivela una fedeltà duplice: alla meraviglia da cui scaturisce il moto continuo del suo poetare e alle cose nella loro essenza, nella loro dimensione primigenia. Peraltro, Abitare poeticamente il mondo riprende un verso misterioso attribuito a Holderlin: «Poeticamente abita l’uomo su questa terra…» che così procede: «Ciò che l’uomo opera e produce è acquisito col proprio sforzo, e meritato, ma ciò non tocca il fondo dell’esistenza umana: questa è, nel suo fondo, poetica».
Quello che Bobin chiede all’uomo non è allora qualcosa di eccezionale, perché infatti anche lui ribadisce che «abitare poeticamente il mondo o abitare umanamente il mondo sono in fondo la stessa cosa» e ciò significa che l’uomo è – oseremo dire – ontologicamente poeta, però nel suo cammino verso il progresso ha smarrito la direzione. Ma nonostante tutto l’Uomo è un essere meraviglioso e il ritorno all’essenza di sé e delle cose è una certezza. Occorrerà tempo, certamente, tuttavia attraverso il recupero della dimensione simbolica e del linguaggio propri dell’attitudine poetica, potrà tornare a partecipare e a riconciliarsi con il divino che è già in sé.
Bellezza, semplicità e frugalità
Questo è uno di quei libri difficili da definire riguardo al genere, e difficile da definire riguardo alla scrittura. Non è infatti un saggio per come siamo abituati a conoscerlo, perché è totalmente pervaso da una dimensione immaginifica che attinge al poetico e mimeticamente ricalca il flusso del pensiero anche attraverso la struttura per piccoli paragrafi. È dunque una riflessione che, in perfetta corrispondenza con lo stile, sembra prendere spunto da un evento casuale e personale come l’imbattersi in un passo di Jünger dal quale Bobin trae le linee guida di questo necessario cammino di riappropriazione: bellezza, semplicità, frugalità.
Chi conosce l’autore sa, e chi lo leggerà scoprirà, che questo è il suo stile ed è ciò che lo rende peculiare e meravigliosamente indefinibile: i suoi libri non sono diari, non sono saggi, non sono romanzi, ma dimostrano ciascuno di essi cosa significhi abitare poeticamente il mondo.
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