Gunzig, due esistenze desolate e il lusso di sentirsi bene

È una commedia leggera, dura, metaletteraria e sociale “Feel good” di Thomas Gunzig, che si insinua lì dove le storie prendono vita, nel fondo della realtà che non ha smesso di credere in un futuro migliore. Mescolando grottesco, denuncia ed empatia, lo scrittore franco-belga utilizza le magiche leve della scrittura, con due protagonisti outsider: un ex commessa single con un figlio e uno scrittore fallito, che mettono mano a un best-seller

Raramente un romanzo riesce a mescolare insieme registro ironico, grottesco, denuncia sociale e profonda empatia. Feel good (364 pagine, 18 euro), il nuovo libro del franco-belga Thomas Gunzig (già sceneggiatore di Dio esiste e vive a Bruxelles), portato in Italia da Marcos y Marcos e tradotto da Francesco Bruno, ha trovato la formula perfetta per mescolare tutti questi ingredienti e dare vita a una commedia che è insieme leggera e dura, sognante e calata nella realtà più feroce. Come ha fatto? Forse utilizzando le leve magiche della scrittura, come sembra suggerire la cornice metaletteraria che accompagna questa storia e come conferma il successo che ha accompagnato il libro in Francia.

Il best seller che salva la vita

Alice e Tom: due esistenze fallite, due conti in rosso, due famiglie azzoppate e davanti la sfida impossibile della quotidianità sempre più difficile, sprezzante e offensiva per povere esistenze come le loro. Qualcosa si rompe all’improvviso nel regolare scorrere delle giornate dei due personaggi, entra in scena il grottesco e impossibile e prende vita un piano che ha del comico e del disperato insieme. Come risalire la china, come rimpinguare il portafoglio e ritrovare dignità potendo pagare le bollette e far mangiare adeguatamente i bambini? Con un romanzo, anzi con un best seller. Il genere? Ovviamente un feel good, un romanzo in cui sentirsi bene.

Ed è così che una ex commessa single con un figlio e una bambina rapita e uno scrittore fallito intrecciano le loro esistenze tra un intoppo e l’altro, mentre il processo quasi magico e ipnotico della scrittura cresce, prende forza, conquista la possibilità del riscatto sociale e di una vita intera. Mettere su carta un mondo inventato, venato tuttavia di tasselli modificati di realtà: un’alchimia portentosa e trascinante che, come solo sa fare la scrittura profonda e appassionata, solleva Alice dai suoi drammi e la porta lontano, nel mondo delle lettere e delle parole. Una consolazione, un sentirsi bene: un feel good, appunto.

Tristi solitudini in un mondo inceppato

Feel good è indubbiamente una commedia, ma è anche un libro dal forte carattere sociale. Tema sociale e scrittura: verrebbe quasi da pensare a un romanzo di impegno, una scrittura difficile, corposa, così realistica di risultare impegnativa. Nella comicità un po’ nera di questa storia non manca a ben vedere uno scavo consapevole in due esistenze desolate e insoddisfatte: la solitudine di Alice e Tom è costruita con maestria nella prima parte del romanzo, ripercorrendo le vite e le vicende non sempre felici di entrambi. La precarietà di una società e di un mercato che le si lega con i suoi ingranaggi distorti e spietati non è uno sfondo pittorico ma una denuncia pungente, mandante delle azioni che metteranno in moto questo romanzo dolce e amaro insieme

Ed è questa la specialità unica di Feel good: una doppia anima che, in fede al titolo, riesce a incarnare l’anima di un feel good – un romanzo “dove sentirsi bene” – che mantiene sempre venature di amarezza e realismo per ancorarsi a terra. Esattamente come il romanzo che uscirà dalle dita di Alice sulla tastiera, con quel tanto di emozione, passione e difficoltà tale da renderlo una lettura avvincente, consolante, da far emergere empatia dalle pagine dense di scrittura e vita.

Dall’infanzia alle pagine: una dolcezza venata di amaro

C’è un filo rosso che accompagna le vicende a tratti surreali, disperate e in fondo eroiche di Alice e Tom, ed è lo sguardo dell’infanzia. Imparare a usare il punto di vista dei bambini forse è una soluzione: ed è proprio in virtù della loro ingenuità totalmente gratuita che alcune idee di Alice e Tom prendono corpo. Truffe clamorose, bugie gonfiate, risposte di pancia a desideri fisici e mentali. La libertà sfrenata dell’infanzia è viatico e insieme nostalgia sempre presente. È il tempo perduto della felicità inconsapevole, del “tutto va bene”, del “basta poco” per sorridere. Vedere le piramidi, avere un buon pasto, il sogno del futuro o la guarigione da una brutta malattia.

“Va tutto bene” è il messaggio che Alice ripete silenziosamente ai suoi bambini attraverso gesti e omissioni, ed è anche la linfa che le concede la forza di provarci e riprovarci tra un lavoretto precario e l’altro, nella disperata conta dei soldi per arrivare a fine mese con un tetto sulla testa. Un “va tutto bene” che prende la forma della rassegnazione in Tom, la testa sempre un po’ svagata nella disattenzione tipica dello scrittore, abituato a pensare realtà finzionali e a non vivere la propria. Forse perché la propria non è come la si voleva, non è quella promessa di successo sussurrata in ogni giornata dell’infanzia: il futuro non è stato all’altezza della visione più ottimista e felice di noi, proprio quella che avevamo da bambini.

Potere della scrittura

Non è un caso che questa storia abbia al centro la piccola Agathe, bambina di pochi mesi atterrata nella vita di Alice per disperazione e forse per un fortuito segnale anonimo dall’alto di una volontà superiore. Osservarla, prendersene cura e salvaguardarne la salute e l’incolumità: non è forse una cura dell’infanzia a salvare in parte Alice e Tom dai loro stessi piani criminali e geniali insieme, e dal fondo del lago della loro solitaria disperazione? E cos’è la scrittura se non una dolcissima possibilità di evasione dal male del proprio mondo? Feel good si insinua lì dove le storie prendono vita, nel fondo della realtà che non ha smesso di credere in un futuro migliore, di sentirsi bene davanti al sorriso di un bambino.

Così come la vita, anche il mondo editoriale è in fondo una foresta di insidie e ingiustizie sociali che emergono nel quadro tragicomico dipinto dall’autore: c’è chi passa avanti, c’è chi per essere considerato e assicurarsi una lettura – una considerazione – deve ricorrere alla truffa, alla falsità. Non c’è scissione tra le due dimensioni, è questo in fondo il messaggio – uno dei messaggi  – che Gunzig ci comunica: vita e scrittura si fondono nel bene e nel male. Conforto della scrittura e conforto di un sorriso di bambina, così come sconforto per meccanismi editoriali schiaccianti e sconforto delle urgenze economiche che la precarietà del mondo lavorativo non aiuta a compensare. Una complessità che non dichiara vinti né vincitori, ma dentro alla quale, semplicemente, tenere il passo, concedendosi il lusso, ogni tanto, di sentirsi bene senza troppi progetti per il futuro.

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