Il linguaggio gergale, una narrazione poetica e struggente, un bambino musulmano saggio e intelligente, allevato da una prostituta ebrea scampata al lager. E prossimamente una versione cinematografica, con Sophia Loren. “La vita davanti a sé” di Romain Gary (Emile Ajar) è un piccolo capolavoro…
Non scrivo di tutti i libri che leggo.
Alcuni preferisco chiuderli a doppia mandata nel cuore senza farne parola, lasciando che sedimentino attraverso un silenzio meditativo.
L’imminente uscita del film La vita davanti a sè, interpretato da Sofia Loren per la regia del figlio Edoardo Ponti, mi ha sollecitato tuttavia una deroga alla consuetudine. Dedico doverosamente, dunque, qualche riga al piccolo capolavoro (214 pagine, 9,90 euro), edito in Italia nel 2009 da Neri Pozza, per la traduzione di Giovanni Bagliolo, da cui la pellicola è tratta, e alle vicende di Emile Ajar, l’autore.
La scoperta postuma
In breve il ragguaglio biografico, storia di pseudonimi, eteronimi e della capacità della letteratura di creare narrazioni che sembrano vere e proprie autofiction e della vita di compiersi come pagine di letteratura: Emile Ajar, autore di ben quattro libri, è in realtà Romain Gary. La Francia scopre la circostanza a suicidio consumato. Gary infatti si è tolto la vita qualche tempo prima. Dopo aver indossato una vestaglia rossa che mimetizzi il sangue – gesto di riguardo verso i soccorritori – si spara alla testa, precisando, in un estremo messaggio, che non vi è relazione tra il suo atto e quello analogo compiuto l’anno prima dalla ex moglie Jean Seberg.
Utilizzando i nomi Gary e Ajar – che significano rispettivamente “brucia” e “brace” in russo – è stato l’unico autore capace di bissare il premio Gouncourt con Le radici del cielo e La vita davanti a sé, appunto .
Un ultimo
Altrettanto brevemente il libro. Protagonista è Momo, bambino di fede musulmana allevato in un appartamento di Belleville, Parigi, da Madame Rosa, ex prostituta scampata ad Auschwitz. La vita di Momo è come quella di tanti altri “ultimi”, simile a quella di molti altri bimbi immigrati anche ai nostri giorni in Europa senza famiglia e destinati a crescere sperimentando il volto più crudo dell’esistenza.
Il registro che usa Emile Ajar è di una narrazione struggente e poetica. Il linguaggio, per nulla forbito, si assesta su un gergale al limite del rozzo totalmente appropriato, mai in ogni caso gratuitamente triviale o irrispettoso verso il lettore. Il libro è tutto un susseguirsi di massime di saggezza crude ma di un’acume che lascia ammutoliti. Il più perspicace, profondo – in una parola – immenso tra tutti i personaggi è Momo, a cui una sensibilità e un’intelligenza precocissime consentono di comprendere verità che ad altri esseri umani sfuggono persino alla fine dell’intero percorso sulla terra.
Momo ad un certo punto dirà: «Una cosa che mi è sempre sembrata strana è che le lacrime sono state previste nel programma. Vuol dire che era previsto che noi piangessimo. Bisognava pensarci. Un costruttore che si rispetti non avrebbe mai fatto una cosa simile».
E allora pensateci: leggete questo libro e sappiate che il suggeritore – che sarei io – ha previsto le lacrime, ma anche tanti sorrisi.
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