Area 22. Gioele Dix ride di Dio insieme a Lui

Non c’è modo più bello di essere profeti: guardare in faccia Colui al quale presti la tua voce, scorgendo in mezzo a tanta barba bianca un antico sorriso che ti dice «Amico mio». anche Dio si sbellicherebbe compiaciuto leggendo “La Bibbia ha (quasi) sempre ragione” di Gioele Dix, protagonista della nuova puntata della rubrica Area 22

Quando dalla televisione si arriva ad un libro, ciò accade soprattutto perché si è visto un film e poi, soddisfatti o quantomeno incuriositi, se ne va a cercare la matrice letteraria. Ma può anche capitare che si assista allo spettacolo di un attore, magari in una sua performance comica, e se ne rimanga così divertiti ed entusiasti che poi, terminato lo spettacolo, si vada a cercare altra roba sua su Youtube, ed altra ancora, fino ad esaurimento. Poi è il turno di Wikipedia, dove vai alla ricerca degli elementi sufficienti che ti spieghino chi è, dove è nato, cosa ha fatto e cosa ancora c’è di interessante da sapere su di lui. È scopri che è anche uno scrittore. A quel punto il gioco è fatto. Sì, perché dopo aver appurato che quella qualifica – scrittore – non è solo la strategia mediatica di uno tra i tanti che, a tempo perso, si è cercato il suo ghostwriter, ma la qualifica di chi è capace di scrivere davvero, allora a quel punto mandi a ritirare uno dei suoi libri. Già, soprattutto dopo averne letto i titoli. Proprio così sono arrivato a questo: La Bibbia ha (quasi) sempre ragione, edito dalla Claudiana (194 pagine, 19 euro).

Un pregiudizio buono

La curiosità è stata la prima musa. L’attore è bravo a farti ridere e a farti riflettere: cosa sarà capace di fare mentre lo leggi? E poi, ancora, scopro che Gioele Dix si chiama in realtà David Ottolenghi e che è “anche” ebreo (dico “anche” perché, sul dato letterario, questo elemento rappresenta una giustapposizione interessante) per cui, a quel punto, faccio uno più uno e capisco che l’ironia di Gioele Dix non è certo una conquista da accademia teatrale (del resto, mica si può imparare ad essere ironici… sarebbe come imparare ad essere intelligenti!) ma una qualità, per così dire, “organolettica”. Beh, sì, insomma: se è ebreo “deve” essere anche ironico! Questo è quello che ho pensato.

Sì, ok, lo so. È un pregiudizio, come ce ne sono tanti: un’autentica ed assurda precomprensione, una temeraria sentenza aprioristica. Mi si perdoni il fatto che, almeno, sia un pregiudizio buono! Di quelli che, in fin dei conti, ti fanno comprare un libro perché sai che, in una maniera come nell’altra, ci troverai un mucchio di cose interessanti! E sapete perché? Perché in questo testo – come ci suggerisce lo stesso titolo – si parla della Bibbia, e a parlarne è un ebreo, da cui ci si aspetterebbe nei confronti del Libro la massima venerazione, e invece nel titolo c’è quel “quasi” che, come minimo, ti accende tutta una serie di domande! E poi, io sono anche prete… Insomma, ditemi voi come avrei potuto esimermi dal comprarne una copia!

E infatti non mi sono e… e… Mi ricordo adesso che non esiste il participio passato di “esimersi”. Mhhh… Bene. Non mi sono dispensato dal comprarlo. Insomma, l’ho comprato! E mi sono ricordato del grande Aristotele, che diceva: «Un uomo senza pregiudizi è una pianta». Io il pregiudizio (buono) ce l’avevo, mi sono fidato, ed è stato un bene! E infatti oggi, su Area22, c’è proprio Gioele Dix.

Cos’altro imparare? Altro…

Ma perché recensire questo libro?

Innanzitutto per fugare un altro pregiudizio (cattivo, questa volta): che tutti i libri che annoverano nel proprio titolo la parola “Bibbia” siano mattoni moralistici, o commentari infiniti, o complicati ed inaccessibili saggi esegetici. No, non sempre è così. Anzi, proprio per la sua anima essenzialmente universale, e particolarmente soggetta alle soluzioni ironiche, la Bibbia si presta moltissimo a qualunque tipo di riflessione. Cosicché se ne possono tirar fuori tanti di quei generi letterari da far invidia persino agli stessi Redattori sacri, che a saper mettere insieme generi letterari diversissimi erano già specializzati pionieri!

Ora, pare che Gioele Dix ami molto scrivere su ciò che ha letto. Beh, sì, in qualche modo egli stesso appartiene alla grande famiglia dei recensori, solo che lui lo fa esclusivamente quando qualcosa gli piace. E quando scrivi recensioni solo su ciò che ti piace, allora è perché non puoi farne a meno: devi per forza far conoscere agli altri cosa ti ha tenuto incollato alle pagine di un libro! Lo fai un po’ per una specie di necessità fisiologica (come quando qualcuno ti dice un segreto e non vedi l’ora si spifferarlo al tuo migliore amico) e un po’ per una forma di strana solidarietà sociale che ti spinge a condividere, con altri lettori come te, certi elementi che – pensi – potrebbero interessare e giovare anche agli altri.

Leggere Gioele Dix significa innanzitutto acquisire confidenza con queste due specifiche sensazioni: ti senti rivelare qualcosa all’orecchio e, contemporaneamente, percepisci anche l’intimo consiglio che lui ti dà: “fidati di me!”.

L’ho già fatto: ho comprato il suo libro.

E così cominci a leggere, su temi con i quali ti sei talmente tante volte intrattenuto che davvero ti chiedi cosa ancora potresti impararne. Conosciamo tutti questa tentazione, puntualmente smentita dal risultato finale, che è sempre un’aggiunta di esperienza a quella che avevi già.

Gioele parla della Bibbia, e neanche di tutta. Solo alcune parti, solo quelle che lo hanno colpito di più e che, secondo lui, vale la pena di condividere con gli altri. Come ne parla? Come si parla di una lettura amica, potendone dire tutto ciò che vuoi, tanto grande è il rispetto che ne hai! Un po’ come succede agli adoratori di Dostoevskij che, dopo aver innalzato un’ovazione alle pagine dell’intoccabile Maestro, subito dopo aggiungono: «Sì, però certe volte sono due palle così, e non vedi l’ora di finire!». Ecco, loro possono dirlo: perché lo amano, perché sanno che Dostoevskij capirebbe e magari darebbe loro anche un po’ di ragione.

No al rispetto formale, sì alla confidenza con Dio

Una cosa simile avviene con la Bibbia: se ne parli troppo bene, troppo educatamente, con fare eccessivamente devoto, rischi di far credere che in fondo non hai molta dimestichezza col suo Autore, il quale – pare – talvolta si diverta proprio ad essere confutato, smentito, e persino sconfessato dai fatti! Dio è così, non ci si può fare proprio nulla. Finché non ci litighi, non ci scherzi, e continui a prenderlo troppo sul serio, allora Lui pensa che non ti fidi di lui, e si inquieta. Se, al contrario, ti mostri talvolta irriverente, un po’ ribelle, e senza tutte le maschere di quella noiosissima fede borghese e protocollare, allora lui pensa che l’hai preso sul serio, perché ti sei tanto fidato di Lui da non aver avuto paura di poterci entrare in conflitto.

E una volta superati – rischiosamente – i limiti del solo rispetto formale, allora si accede davvero al Santo dei Santi: quella confidenza stupenda che si ha con l’Assoluto, dove lo scherzo non è mai scherno, e dove il conflitto non è mai odio, e dove talvolta la ribellione del pensiero diventa la forma più autentica di fedeltà! Dove, insomma, continui a nutrire un “timore” a cui mai, però, farai correre il rischio di diventare “paura”. Ti togli i sandali, scoprendo calzini con buchi imbarazzanti: quelli della tua umanità.

Gioele parla così di Dio e della Bibbia, con liberante confidenza, mostrandoci in fondo la stessa essenza di cui è fatta la vita di ogni grande Patriarca e di ogni Profeta che, se da un lato è persino capace di definire Dio come un fiume infido dalle acque impetuose, dall’altro è disposto a riconoscere che il Signore lo ha sedotto e lui si è lasciato sedurre.

Ed è proprio così che ci sentiamo raccontare episodi già noti, ma con un fare completamente diverso da quello che si incontra in un saggio o in un commentario; e non si tratta neanche di un testo comico (a quello ci ha pensato il grande Giobbe Covatta), per quanto in alcuni passi la risata sia d’obbligo. È semplicemente una raccolta di appunti su alcuni passi della Scrittura che “andavano” discussi con un pubblico più vasto, chiacchierati insieme a chi – animato da una fanciullesca curiosità – magari voleva sentirsi raccontare niente più che una storia. E Gioele Dix sa farlo, con grande spessore da ribalta e con grandissima umiltà, aiutandoti a visualizzare ciò che dice, incarnando esempi efficacissimi e non facendoti mancare mai la battuta giusta al momento giusto, quella che serve a sdrammatizzare e – contemporaneamente – a mostrarti l’audacia narrativa di certi Autori sacri: un’ironia nascosta tra le righe, e neanche troppo bene dato che emerge dal testo biblico quasi ad ogni piè sospinto.

Zanzare e Klinghoffer

Ma sono certe confessioni, quasi poetiche, a darti la misura di Gioele Dix, e del suo modo di intendere la serietà del proprio oggetto: frasi che vengono fuori ad un certo punto, quando meno te l’aspetti, quando pensi che la sua linea sia solo quella di un facile spirito da palcoscenico. Ebbene, proprio lì, in un preciso momento, ecco un’espressione che ribalta il piano emotivo, e ti metti a pensare e a riflettere, e capisci che senza quella precisazione, buttata lì forse senza farci neanche troppo caso, vi è una delle più belle interpretazioni! Un esempio? Presto detto. Avete presente le prime righe della Bibbia, quando nella Genesi si parla della creazione? Ecco, lì ad un certo punto si dice che «la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque». Una frase letta e sentita tante volte. E Gioele Dix – udite! – aggiunge che quella condizione primordiale è simile alla confusione degli artisti, quando hanno già tutta la materia a disposizione e la loro anima la passa in rassegna nel momento immediatamente precedente la loro creazione! Personalmente dico: mai un commento mi aveva così bene raffigurato l’artista come esatta «immagine e somiglianza» del Creatore per eccellenza. O quando, ancora, parlando della creazione dell’uomo, e dello spirito di Dio insufflato nelle narici di Adamo, Gioele Dix ti dice come è bello che la vita dell’essere umano cominci così: «sniffando Dio!».

E si procede in questo modo, da questi poetici pensieri che arricchiscono il testo, a interi paragrafi consacrati allo sfogo comico, di quelli che anche Dio si sbellicherebbe compiaciuto, come quando Gioele Dix – facendosi drammatica voce di tutta l’umanità indignata – grida il suo perché circa la creazione delle fottutissime zanzare! E descrive sé stesso in piedi sul letto, di notte, con la ciabatta in mano, a dar guerra al dittero infame!

Vi è anche una parte, però, quando si parla del profeta Giona, in cui – all’interno di un gioco narrativo fatto di racconti e di memorie – sembra che qualcuno voglia farti ritornare in mente il dramma di Leon Klinghoffer, senza però nominartelo nemmeno una volta, lasciandoti libero di pensarci o meno. Ma forse è solo una suggestione. E in effetti cosa si chiede ad uno scrittore, se non che ti regali la possibilità di “creare” uno spazio di interpretazione, anche lì dove non ci fosse?

Libro da leggere per rifarsi un’idea pacifica di cosa sia l’arte dell’interpretazione (che prevede anche la passibilità di un “quasi”), e anche del racconto (senza il quale Dio non potrebbe forse rivelarsi così bene). Libro da leggere per convincersi che, come diceva Leopardi, l’uomo veramente libero è colui che è capace di ridere di tutto. E il punto è proprio questo: Gioele Dix riesce a ridere di Dio, senza smettere di farlo insieme a Lui. E penso che non ci sia modo più bello di essere profeti: guardare in faccia Colui al quale presti la tua voce, scorgendo in mezzo a tanta barba bianca un antico sorriso che ti dice «Amico mio».

È possibile ordinare questo e altri libri presso Dadabio, qui i contatti

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