“Donnafugata” è il diario romanzato della vita di un avo della ragusana Costanza Diquattro, che debutta nella narrativa, dopo l’exploit del memoir “La mia casa di Montalbano”. Politico ed erudito, il barone Corrado Arezzo De Spuches si muove tra epocali passaggi storici in Sicilia e immense sofferenze familiari. Un affresco ben riuscito, una riflessione sull’effimero…
Dimenticato dalle pieghe della storia, riscoperto dalla narrativa, il tempo non ha vinto, in qualche modo è stato sconfitto, assieme all’oblio totale. Nasce così l’omaggio a un protagonista della politica siciliana del diciannovesimo secolo, uomo di tanti pubblici successi e sconfitte private, il barone Corrado Arezzo De Spuches, ragusano come Costanza Diquattro che ha imperniato sulla sua figura un diario romanzato, suo secondo libro dopo il memoir con cui aveva esordito, ovvero La mia casa di Montalbano. Stavolta Diquattro propone un’opera di fantasia, non autobiografica, ma con fondate radici storiche e un po’ anche familiari, visto che il barone è un lontano avo. Il risultato è Donnafugata (208 pagine, 16 euro), pubblicato come il primo libro dalla casa editrice Baldini + Castoldi (e di cui abbiamo anticipato un capitolo, che è possibile leggere qui), con una prefazione di Giuseppina Torregrossa.
Settant’anni di eventi
Figura eminente, parlamentare, sindaco e prefetto di Ragusa, infine senatore del regno d’Italia, il barone è un personaggio – erudito imbevuto di ideali rivoluzionari – che cercava soltanto una penna capace di restituirne carisma e dolori.
Sono stanco. In settant’anni ho visto tramontare epoche e sorgere speranze. Mi sono illuso e sono rimasto deluso. Ho sperato nelle stelle, ho dato credito ai numeri, mi sono affidato a Dio. Ho vissuto, ho gioito, ho pianto, ho ingoiato lacrime e rassegnazione. Ora sono stanco.
Le donne della sua vita, protagoniste del romanzo di Costanza Diquattro lo precedono nell’aldilà con suo gran dolore, a dispetto del potere e della ricchezza. Palazzo Donnafugata, gioiello di Ibla che il Comune di Ragusa ha acquistato dagli eredi del barone, è il proscenio di amori infiniti e sofferenze immense, di epocali passaggi storici, di settant’anni di eventi concitati e ben evocati.
La riflessione sull’effimero
La prova è superata. Nel senso che la vena narrativa di Costanza Diquattro è fuori discussione. Proponendo una storia con la cronologia lineare messa a soqquadro, finisce per non correre alun rischio, nel senso che l’autrice maneggia con disinvoltura il congegno narrativo, col risultato di un’opera meditata e sostanzialmente felice, solida e compatta, la cui prosa in qualche passaggio era forse da levigare ulteriormente. L’affresco familiare è più riuscito di quello sociale (ma la Sicilia e quel tempo sono state oggetto di alcuni dei maggiori romanzi della letteratura italiana…), le figure principali (il barone, la moglie Concetta, la madre, l’unica amata figlia) molto meglio delineate caratterialmente di quelle secondarie (anche se Micheluzzo, il fedele servitore di tutta una vita, e amico vero del barone per sessant’anni, ha uno spessore che sopravanza quello di qualche protagonista; e l’amico dongiovanni, don Titta, sa essere spassoso). Su tutto si staglia la riflessione sull’effimero, sulla velocità del tempo, sul poco che resta tra le mani di tutti, potenti e poveri, senza sconti.
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