In libreria “Acqueforti spagnole”, raccolta di reportage del 1935 firmati Robert Arlt. Un racconto controcorrente di uomini e paesaggi in un Paese in fermento che presto dovrà fare i conti con un conflitto fratricida, una nazione che non c’è più e che ha avvolto lo scrittore argentino di stupore
Tra il febbraio del 1935 e il luglio del 1936, Roberto Arlt è in Europa, luogo in cui dice che «uno impara a stare zitto»; viaggia in Spagna realizzando alcuni reportage per il giornale El Mundo e solo poche settimane fa Del Vecchio editore, con la traduzione di Marino Magliani e Alberto Prunetti ha pubblicato Acqueforti spagnole (256 pagine, 18 euro) una selezione degli articoli scritti nel 1935. I reportage di Roberto Arlt sono una lente d’ingrandimento, un racconto controcorrente della Spagna di inizio Novecento, l’autore argentino sceglie come protagonisti: le donne e gli uomini che incontra personalmente, il paesaggio che ha richiami ancestrali, lo scenario di un Paese in fermento e che presto dovrà fare i conti con la Guerra Civile.
Cartoline dalla Galizia
L’obiettivo fotografico e la scrittura di Arlt ci restituiscono le voci di donne e uomini che «risuonano fuori dal tempo», si muove in una Galizia immobile, nella città di Vigo che lo fa sentire in imbarazzo per la troppa serietà della gente, ma allo stesso tempo incontra donne che camminano per strada trasportando cose sulla testa e che non accennano a timidezza quando lui le vuole fotografare. Sono le relazioni interpersonali che riesce a costruire nei suoi viaggi, a restituire al lettore lo spaccato intenso di una nazione che non c’è più e che ha avvolto l’autore di umano stupore:
…la moltitudine galiziana è silenziosa, calma. Passeggia, chiacchiera, ma lo fa con discrezione. Influenza della montagna? Non so. Nei caffè, nessuno alza la voce, ne se la canticchia. Sugli orli che costeggiano il mare gli operai che escono dalle fabbriche si fermano a conversare tra loro in galiziano, ma a voce bassa, come se il fatto di non schiamazzare fosse una regola estesa persino alla comprensione dei bambini.
La mente all’Argentina
C’è una sorta di malinconia che colpisce l’autore argentino quando osserva queste terre galiziane, la sua mente corre subito a Buenos Aires, quando incontra le donne di Vigo che si vestono eleganti come quelle di Buenos Aires, quando osserva dal molo la città di La Coruña e che «pare una fotografia del paseo Leandro Alem di Buenos Aires», il centro della città di Oviedo «quella zona della calle Ridavia compresa tra le trasversali di Rio de Janeiro e Caballito. Il parco portegno di Lezica corrisponde a quello di Pablo Iglesias, nella calle Uria, che a sua volta, per l’eleganza dei suoi moderni edifici, è la Rivadavia delle Asturie». E ancora il paesaggio galiziano è quasi un tormento per Arlt, lo emoziona «come un dolcissimo pianto. Il suo paesaggio è così puro che il cuore in esso si riposa. Le montagne non sono brutali, ma idilliache. E io sono quanto gli esseri umani che sono nati in montagna amano la montagna. È l’amore di tutta una vita». Sono vere acqueforti quelle che Arlt disegna, la sua penna è il “crayon” di fine incisione, è il tratto che delinea sulla lastra, l’impressione forte che trae da questo paesaggio senza tempo, in cui non mancano leggende e superstizioni, è un «paesaggio di stregoneria», lo definisce così, «di magia bianca, rossa e nera». Ma anche i «boschi di velluto oscuro e montagne di carta azzurra. Vallate che sono baie di mari rosati di nubi. Nebbioline azzurre che si spargono sui vigneti. Burroni verdi con oscurità verticali che ci ricordano Don Xigante. Alture rocciose con castelli di pietra nascosti nei boschetti». Foreste e asperità «dove la “dama Gelda” cerca le sue prede» e che continuamente gli riporta alla mente il teatro di Wagner, quello dell’opera del Parsifal o del Crepuscolo degli Dei.
Un orizzonte di industrie e diseguaglianze
Tuttavia l’espressione affascinata, colta nel suo ingenuo incanto, torna a farsi mordace e per niente intimorito quando, oltre ai rìas che delineano la costa, Arlt racconta l’orizzonte dettato dall’economia dei luoghi, l’industria conserviera che a Vigo «dà vita a trentacinque fabbriche, a tre imprese di stampa e imballaggio, e a una fabbrica di gomme per la chiusura ermetica delle casse, sei ghiacciaie, quattro corderie, otto magazzini di generi navali, nove cantieri, sette depositi di carbone, e quattromila donne lavorano nelle fabbriche dei dintorni». Un’economia che vede contrapposti il nord che vive «quasi nella prosperità» e il sud della Spagna che «si dibatte nella miseria». Genti costrette ad abbandonare la propria casa, il proprio paese ed espatriare (e qui torna ancora una volta, con il pensiero, ai galiziani di Buenos Aires) perchè «vivere senza speranza in città morte, dove non c’è niente da fare, il raccogliere eternamente da questi campi così divisi da coprire ormai superfici irrisorie, questa sofferenza del vivere malamente, tremando per la grandine, per la tempesta, per la siccità, e le inondazioni, l’angoscia continua di non trovare mai una possibilità di scappatoia al terribile problema economico (che in Europa è un problema secolare) ha modellato questo tipo di essere umano senza speranza». Come in Ciaula scopre la luna, la celebre novella di Luigi Pirandello in cui Ciaula, il giovane che lavora in una miniera di zolfo e che scopre l’immensità della Luna, infondergli calore nella notte infinitamente scura, che teme più dei cunicoli della miniera; così Arlt nel visitare una miniera nei pressi di Oviedo avverte le proprie orecchie ronzare «attorno la notte è più oscura della terra […] Il silenzio, una grande paralisi della vita, una sordità assoluta, la notte senza stelle, in cui si accendono solo, rasoterra, le nostre tenui lampade di bronzo».
Oviedo città militare
Ed è a Oviedo, che abbozza alcune acqueforti asturiane, racconti che provengono dalla città che solo un anno prima, il 1934, era stata occupata dalle forze di governo e bombardata per nove giorni. Ciò che trova di fronte a sè è una città militare «ogni cinque persone che al nostro lato attraversano la strada, tre sono militari». La città si riflette nello sguardo di Arlt che definisce le sue acqueforti, i suoi reportage da Oviedo, prive di una «epopea brillante: sono oscure e monotone». Tuttavia consapevole che la gente vuole sapere «come si viveva in quei frangenti», ancora una volta l’autore argentino racconterà quei giorni attraverso una rivoluzione della scrittura: saranno le voci dei commessi, dei piccoli commercianti, artigiani, portieri, che «a labbra strette», narreranno alla sua penna i tempi bui che purtroppo furono un’anticipazione di quella che di lì a poco sarebbe scoppiata: la Guerra Civile. «Nei caffè, nei cinema, dal barbiere, al cabaret o nelle taverne è impossibile tenere una conversazione senza la presenza di testimoni armati». Un lungo silenzio accompagna la lettura di questi reportage, la descrizione di un mondo ormai scomparso, di fronte al quale si avverte quasi la precarietà del momento, il mondo in via d’estinzione che Roberto Arlt ha voluto imprimere sul suo taccuino e attraverso l’obiettivo della propria macchina fotografica, un mondo destinato a non restare immutato per molto. C’è una sorta di avversione per il tempo, che lo scrittore argentino ha sentito marciare con un passo sinistro, lungo ogni confine europeo.
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