Con il suo ultimo libro tradotto in Italia, “La strada di casa” Kent Haruf si conferma maestro nel descrivere la provincia americana. Il ritorno di un truffatore nella comunità di Holt, dopo otto anni, rianima antichi livori mai sopiti. Un intreccio di storie in un crescendo, con un epilogo troppo freddo
Con La strada di casa (194 pagine, 18 euro), tradotto da Fabio Cremonesi ed edito da NNeditore, Kent Haruf ci regala l’ennesimo gioiellino letterario (la sua seconda opera, proposta per ultima in Italia) dove sciogliere i nostri sogni lungo le strade polverose di Holt. Anche con questo libro lo scrittore statunitense ha confermato la propria maestria nel descrivere le sonnolenti esperienze della grande provincia americana, dove però non mancano vicende capaci di scuotere la vita pigra di un’intera comunità.
La voce al direttore
Questa volta, attraverso le parole di Pat Arbuckle, direttore della testata locale, viene raccontata la storia di Jack Burdette, un corpulento, inaffidabile, pericoloso figlio di Holt. Un uomo, da sempre insofferente alle regole, il quale dopo mille guai con la giustizia, finisce addirittura per truffare l’intera cittadina. Il suo ritorno, dopo otto anni di assenza, riscuote le coscienze e rianima antichi livori mai sopiti, innescando una reazione decisa da parte dei suoi ex concittadini. In un crescendo che quasi ricorda il giallo, e mediante un intreccio di storie, Haruf ci descrive ogni singolo momento di questa vicenda in cui le fragilità degli uomini e delle donne, come spesso nelle sue opere, emergono forti e laconiche. Ciononostante, però, malgrado la consueta scrittura chirurgica ed estremamente evocativa, in questo caso assistiamo ad un calo di tensione proprio là dove invece ci si sarebbe aspettati un epilogo più corposo, più risolutivo.
Finale aperto e troppo sfumato
Dopo essere stati immersi nei quasi trent’anni lungo i quali si dipanano le storie dei protagonisti, ci si arresta davanti ad un epilogo troppo freddo, sbrigativo, come se ad un certo punto l’autore si fosse stancato di raccontare minuziosamente e avesse deliberato di interrompere il flusso narrativo in favore di un finale aperto e decisamente troppo sfumato. Una scelta letteraria? Forse sì, ma non efficace. Quantomeno non all’altezza del ritmo delle pagine precedenti. Una decisione che lascia l’amaro in bocca, ma che sembra però anche confermare una verità scomoda, però reale: le favole non esistono, la vita non sempre va come la si vorrebbe, talvolta è dura, spesso è crudele.
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