Il diavolo di Carnevali fa l’avvocato di Dio

Un po’ come certi musicisti che riuscivano a comporre arabeschi senza mai aver messo piede in Arabia, Davide Carnevali nei racconti de “Il diavolo innamorato”, parla del diavolo come se avesse vissuto cent’anni a Babilonia! Una raccolta di storie diverse per stile, movente narrativo, spazio culturale, con un diavolo che si impossessa dei tre monoteismi principali, e non certo per fini religiosi o ideologici…

Non capita spesso di leggere pagine che trasudino lo spasimo, il desiderio d’essere tramutate in voce! Non perché l’autore te lo chieda, ma perché sono le stesse parole a farlo quando, precipitando tra la pagina e l’immaginazione, come in un canyon, diventano immediatamente eco di qualcosa in più rispetto a ciò che avresti pensato!

L’anima di un drammaturgo

In questo modo, semplicemente, credo venga fuori da un testo l’anima di un drammaturgo: il richiamo soffocato da una quinta immaginaria che, però, riesci perfettamente a percepire quando i suoi personaggi li senti parlare proprio mentre li leggi, e senti il suono della loro voce e dei loro accenti.

Così il testo di Davide Carnevali: Il diavolo innamorato (132 pagine; 13 euro), edito da Fandango alla fine del 2019 perché il 2020 passasse più in fretta. Anche se, in verità, il libro si lascia leggere così velocemente da non darti nemmeno l’idea che sia riuscito ad ingannare il tempo. Però ha ingannato te, partecipando della natura del suo proprio oggetto: tentandoti, illudendoti con la promessa di una maggiore durata che poi, ahimè, non c’è stata.

A proposito, mi piace molto l’idea del titolo, preso in prestito da un’opera di Jacques Cazotte (scrittore francese che il diavolo finì con l’incontrarlo davvero nel 1792, sotto il riflesso veloce d’una ghigliottina). Sono quei prestiti/citazioni che non presuppongono un vacuo ideologico (tutt’altro!) ma un invito di senso! Come a dire: «Ci collochiamo sulla stessa via!», che potrebbe essere – appunto – quella di una “diavolità” (permettetemi il platonismo) più vulnerabile all’amore di quanto non si possa credere.

Racconti a tema

Il racconto di Cazotte, fumigante di atmosfere addirittura precorritrici il ben più noto Faust di Goethe, si riaffaccia dalle pagine di Carnevali con un’intenzione simile ma con una originalità dirompente e “proteica”, nel senso di Proteo, che riusciva a fare benissimo due cose: cambiar continuamente forma e predire il futuro! Un trickster mitologico che tanto somiglia al diavolo di Carnevali, anche se il diavolo di quest’ultimo predice il futuro nel modo dei poeti: parlando del presente, cioè, più di quanto il presente meriti! Facendo della bellezza stessa l’anticipazione di qualcosa che dovrà avvenire e che, in una maniera o nell’altra, finirà con l’essere vita. Quanto alle forme, beh, basta leggere il libro per accorgersene: il genere letterario è quello dei racconti a tema che si susseguono brevi, pagina dopo pagina, come rutilanti frutti di ciliegia (che guarda caso sono “belli a vedersi e buoni da mangiare”…), finché non le hai finiti tutti! Ma ognuno di questi racconti è diverso dagli altri, vuoi per lo stile (che passa dall’aneddotico al poetico, dall’onirico al midrashico), vuoi per il suo stesso movente narrativo che, di volta in volta, assume l’abito di un racconto diversamente collocato, posto cioè in spazi culturali distinti anche se assolutamente contigui.

Così, per esempio, si incontra talvolta un racconto ebraico, e sembra di leggere qualche vecchia storia talmudica; altre volte una narrazione musulmana, che ha tutta l’aria d’essere stata raccontata attorno al fuoco d’un accampamento beduino; e altre volte ancora, una storiella cristiana, così simile a quelle che vengono raccontate a bambini e grandi, con l’intento di addormentarli se sono bambini, e di tenerli vigili se sono grandi.

Un volo d’angelo (caduto)

Insomma, vestendo l’abito di scena di tagli narrativi così diversi, questo diavolo (che poi non è detto sia sempre lo stesso, o sia solo qualcosa di letterario) si impossessa – ed è proprio il caso di dirlo – dei tre monoteismi principali, e non certo per fini religiosi o ideologici, ma perché ci arrivino sapori diversi dell’unico argomento, così universalmente masticato dagli uomini nei secoli e nei millenni. Un volo d’angelo (caduto), diacronicamente pensato non solo per attraversare epoche e culture diverse, ma anche per raggiungere differenti sensibilità, con la scusa di un tema che – al di là delle sue originali connotazioni di contesto – nel suo raccontarsi attraverso il diavolo e il suo Antagonista divino, ottiene quasi quel solleticante effetto che si prova all’orecchio quando si incontrano due negazioni che affermano! Insomma, qualcosa che trasuda così tanto spirito romantico da non poter non affascinare!

Anche perché l’autore, tra un racconto e l’altro, ci spinge a interrogarci sul significato di certi segni ricorrenti come vapori di alchimie, certi oggetti ovali, certe parole di cui non ho voluto ancora cercare il significato misterioso, ma che evidentemente possono rappresentare confini di significato, tracce che rimangono a disposizione del lettore come parametri per poter decodificare tutte le storie secondo un’intenzione comune.

Una morale non moraleggiante

La particolare bravura di Carnevali, mi sembra, sia proprio quella di riuscire a conservare un linguaggio superbamente narrativo (che oggi è cosa sempre più rara) pur non rinunziando a quei rimandi di modernità che possono aiutare il lettore a comprendere come questo testo non sia avulso dalla realtà ma – certo, a modo suo – la presupponga senz’altro! Ecco perciò l’incrocio tra espressioni consone ad antiche tradizioni bibliche, ed altre senza dubbio legate al nostro linguaggio, al nostro modo di “essere” lingua oggi. E la cosa straordinaria è che se ne colga la differenza senza patire particolari contraddizioni, se non appunto quelle volute dall’autore stesso: contraddizioni che in effetti sono il sale di tutto il libro, perché obbligano a riflettere su come sia possibile parlare di “cose spirituali” senza necessariamente il bisogno di utilizzare categorie religiose. O meglio, certe categorie potrebbero anche essere religiose (Dio, il diavolo), ma è la modalità di linguaggio che conserva una sua verve spirituale senza per forza dover essere “lingua religiosa”, lingua “sacra” insomma, lingua “separata”. E mi viene da pensare che certi testi biblici sono stati avviliti proprio quando al loro linguaggio poetico (che era già spiritualmente altissimo) si è voluta giustapporre una patina di moralismo sacrale. Ecco la differenza: la poesia riesce ad essere morale senza necessità di moralismo, e questa mi sembra anche la caratteristica (una delle caratteristiche) di questo libro, dove tutto – in effetti – può diventare morale, come “la morale” alla fine delle fiabe per i bambini: una morale che insegna sapendo fare a meno di inutili “moraleggiamenti”.

E mentre Carnevali gioca a fare l’avvocato del diavolo, il suo diavolo gioca a fare l’avvocato di Dio! In un incastro che davvero richiama la più spassionata e antica narrativa sapienziale! Per chi non lo sapesse – aggiungo d’inciso – la parte testualmente più antica della Bibbia (il nucleo del Libro di Giobbe) parla proprio di una scommessa tra Dio e il diavolo, insomma… un soggetto letterario di una modernità incredibile! Ebbene, il libro di Davide Carnevali (che sa attingere meravigliosamente un po’ dappertutto) riprende le stesse atmosfere poetiche da un lato ed avvincenti dall’altro: spunti spirituali capaci di glissare il religioso propriamente detto, capaci cioè di non lasciarsi incastrare da qualsivoglia vincolo dottrinale o dogmatico.

Mimesi letteraria

Peraltro, questa caratteristica non appare come qualcosa di polemico (oggi è incredibilmente di moda parlar male di ciò che è religioso, fa tendenza!); al contrario, mi è sembrata una forma tutta artistica di rispetto: un sorvolare le credenze senza denigrarle o ignorarle, ma volendole guardare dall’alto, scorgendone tracce di poesia mitica che poi sono diventate ispirazione, cristallizzandosi in altre storie così ben scritte e presentate, dove persino la copertina non è pretenziosa ma meravigliosamente pop! Come il diavolo, appunto.

Carnevali non è solo una lettura piacevolissima, interessante e colta! È senz’altro anche l’occasione per imparare un po’ cosa significhi saper fare “letteratura” d’autore attraverso l’utilizzo sapiente di certe strategie che non sono propriamente casuali in chi prende una penna in mano; al contrario, la dicono lunga sulla capacità di saper fare il proprio mestiere. Nella fattispecie, Carnevali costituisce un bell’esempio di “mimesi letteraria”! Una sua capacità tutta propria, che è poi uno dei suoi punti di forza, consiste cioè nel riuscire a ricreare atmosfere narrative che, in teoria, non gli apparterrebbero secondo i canoni dei suoi confini culturali naturali. In altre parole, un po’ come certi musicisti che riuscivano a comporre arabeschi senza mai aver messo piede in Arabia, o flamenchi senza mai aver calcato un’arena spagnola, così il nostro Autore: parla del diavolo come se ne parlerebbe in un midrash ebraico, come se avesse vissuto cent’anni a Babilonia! Ed è così capace di ripresentare questo stile che tu, per un attimo, ti chiedi davvero se sia una storia tutta sua o non l’abbia presa in prestito da qualche parte! Il gioco dura poco, perché ti rendi conto che in effetti “scrivere” significa saper fare anche questo, e saper fare anche questo significa “scrivere bene”.

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