Consapevolezza dei mezzi e andamento evocativo caratterizzano “Nàccheras”, romanzo di esordio di Ilenia Zedda. Caterina e Francesco, due adolescenti solitari, insicuri e diversi dagli altri che si scoprono innamorati. Di mezzo ci sono anche l’arte tessile del bisso e un drammatico mistero…
Ci sono squarci di tradizione, ma è una Sardegna diversa da quella che ci hanno consegnato i principali scrittori dell’Isola, quella che si legge nell’esordio di Ilenia Zedda, sassarese trapiantata a Torino, copywriter che ha studiato alla scuola Holden e ha ricevuto elogi da Marco Missiroli. Il suo debutto molto interessante, edito da Dea Planeta libri, si intitola Nàccheras (239 pagine, 16 euro) e trascina in una Sardegna solo in parte arcaica, ma non aspra, leggendaria e remota (sebbene temporalmente fissata nel dopoguerra), una Sardegna di mare, nord-orientale.
La seta dorata del mare
Con una lingua solo apparentemente spoglia, ma preziosa nella sua semplicità, con scarni dialoghi Ilenia Zedda si affida a Francesco e Caterina, due tredicenni che quasi non si parlano, sebbene siano compagni di classe in un piccolo centro. L’estate li tiene lontani: lui, figlio di una stirpe di minatori, dà una mano alla madre vedova in un negozio, lei, orfana di madre, apprende dalla nonna, detta “su maistu”, il maestro, l’arte tessile del bisso, la cosiddetta seta dorata del mare, prodotta dai molluschi chiamati appunto nàccheras.
Quando nasci e vivi dentri l’arte, quello che diventi è arte, ma arte intesa come maestria, tu non sei artigiano, non sei artista, sei un maestro e ciò vuol dire che conservi per chi verrà quel che è già.
Nei brevi capitoli caratterizzati da una fine analisi psicologica, Zedda inquadra un figlio della terra e una figlia del mare che hanno tutto per completarsi, due solitudini che possono incontrarsi, anche in spregio a un mondo degli adulti lontano e il più delle volte incomprensibile.
Silenzi, imbarazzi, amore
Mentre tra le pagine spira odore di mare a Cala dei Mori Francesco affascinato spia Caterina che, al tramonto, esegue la sua «danza di solitudine», si immerge nelle acque marine per imparare a raccogliere il bisso, custodito in enormi conchiglie. C’è tanto non detto nel loro rapporto, un’attrazione che sembra non sbocciare. Lui la osserva, lei pensa a lui, soli, insicuri, diversi dagli altri. Certi silenzi e certi imbarazzi dei primi amori sono colti nella loro sincerità.
Francesco stava in silenzio, la osservava ormai da più di due mesi e conosceva a menadito i suoi movimenti. Ora si sarebbe tuffata. Francesco si chiese come facesse a rimanere in apnea così tanto o se dentro il mare ci fosse un posto dove si poteva respirare aria buona.
E quando la vita li metterà allo scoperto, l’uno con l’altra, dovranno fare i conti con un segreto che li unisce, un segreto drammatico. Sono personaggi di carta e, in qualche passaggio, restano tali, cioé si fa fatica a immedesimarsi nei loro panni. Restano personaggi di carta. Forse è un bene, forse è un male; è l’unico appunto che sento di muovere a un racconto scritto per il resto con andamento evocativo e con grande consapevolezza e padronanza dei propri mezzi da parte della debuttante Zedda, autrice dalla prosa smerigliata.
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