Mencarelli, quella settimana più significativa di un’esistenza

Un ragazzo, che si interroga sul senso della vita e sull’ingiustizia che ogni esistenza abbia una conclusione, è il protagonista di “Tutto chiede salvezza”, secondo romanzo di un’annunciata trilogia di Daniele Mencarelli. La convivenza forzata in un reparto psichiatrico durante un Tso con altri “fratelli” regala solidarietà, umanità, un luogo in cui mostrarsi per quel che si è, con la certezza di non essere giudicati

Daniele Mencarelli continua a togliere punti, anche se le ferite non sono del tutto suturate, a raccontare in modo autentico un ragazzo che non accetta che la vita, ogni vita, abbia una conclusione, a mostrare un poeta fra gli uomini, col suo carico di fardelli, di colpe e di virtù. E racconta una settimana che è più lunga e più significativa di un’esistenza intera. Mencarelli (l’abbiamo intervistato qui) lo fa nel suo volume più recente, Tutto chiede salvezza (204 pagine, 19 euro), edito da Mondadori, che segue Tempo circolare, la raccolta di oltre vent’anni di sue poesie stampata da Pequod, e il primo romanzo, La casa degli sguardi, sempre per Mondadori. Il suo nuovo romanzo biografico (secondo di un’annunciata trilogia) catapultato al premio Strega, s’è appuntato al petto la fascetta del premio assegnato dai giovani, ma soprattutto ha permesso d’allargare la platea degli estimatori dello scrittore romano. Una buona notizia per chi entra in una libreria e tra le pagine non cerca evasione, non vuole verità inconfutabili, non ha bisogno di smisurate passioni che si rivelano effimere…

La salvezza, non palliativi

La dolorosa urgenza di fare i conti con quello che non si comprende, e non si comprende da sempre, è insita nel ventenne Daniele, costretto a un Tso, alla vigilia dei Mondiali 1994. La furia della sera prima, una reazione spropositata che è quasi stata fatale al padre, l’ha condotto in un luogo che segna un prima e un dopo, inevitabilmente. E lo scaraventa ancora una volta – in quel momentaneo ricovero coatto in un reparto psichiatrico – dinanzi a un’ingiustizia, a un dubbio, di cui non è semplice sbarazzarsi, specie per lui che, in qualche modo, cerca una salvezza non estemporanea ma eterna, non palliativi per l’anima e per il corpo.

Che cura esiste per come è fatta la vita, voglio dì, è tutto senza senso, e se ti metti a parla’ di senso ti guardano male, ma è sbagliato cerca’ un significato? Perché devo avere bisogno di un significato? Sennò come spieghi tutto, come spieghi la morte? Come se fa ad affrontare la morte di chi ami? Se è tutto senza senso non lo accetto, allora vojo mori’.

L’interrogativo non molla Daniele nella stanza che condivide col catatonico Alessandro, con Madonnina, che solo una invocazione alla Vergine è in grado di articolare, con Gianluca, che ha un’anima femminile imprigionata nel corpo di un ragazzo, con Mario, il saggio che si preoccupa di un uccellino che vede dalla finestra e nasconde un poco onorevole segreto, e più tardi con Giorgio, segnato per sempre dalla morte della madre. Con loro la diffidenza si trasformerà in amicizia, il dolore in poesia. Decisamente più prosaici i contatti con medici – uno s’addormenterà durante un colloquio con Daniele – e infermieri, presi dai loro affanni e dalle loro quotidiane miserie, dagli straordinari da accumulare e da un mantra riassumibile in “vivi e lascia vivere”.

Un lungo grazie

Il microcosmo entro cui i personaggi di Mencarelli (qui il suo video per il nostro canale YouTube) si muovono è oscuro, maleodorante, poco accogliente. La convivenza è faticosa, in una caldissima stagione estiva e nella convinzione iniziale che chi circonda Daniele è il presagio di quel che lui sarà, di quel che lui diventerà. Ma quell’ospedale è un luogo di fratellanza, non di serenità, non di conforto, ma di umanità e solidarietà: un posto nel mondo dove mostrare la propria natura, senza timore di essere giudicato, d’essere considerato un malato da curare e guarire. Dove un bagnoschiuma condiviso può scatenare entusiasmo, e certi silenzi hanno significato davvero. Dove una partita vista in tv è un pezzetto di tepore e ristoro. Le anime perdute ricoverate – per eccesso di vita, o perché per loro è da considerarsi conclusa, la vita – fra quelle quattro mura finiscono per essere l’unico degno pubblico per la lettura di una poesia che Daniele ha scritto e regala non a critici letterari, ma a compagni consapevoli di cosa è l’accoglienza, e capaci di metterla in pratica. Quei versi e tutto intero questo romanzo e anche il precedente finiscono sembrano essere un lungo grazie a chi nella vita di Daniele, non solo e non semplice personaggio, ha contato, anche solo per poco tempo.

È possibile acquistare questo volume in libreria o qui

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