Certe frasi spietate e mancate redenzioni rimbomberanno a lungo nella mente di chi leggerà “Gli anni invisibili” di Rodrigo Hasbun. Un uomo e una donna si incontrano vent’anni dopo un episodio che ha segnato la loro adolescenza e quella dei loro compagni di liceo. La vita con i desideri infranti, gli imprevisti fatali, la gioventù marchiata a fuoco sulla pelle…
La Bolivia è uno scrigno letterario che si svela libro dopo libro, scrittore dopo scrittore. Edmundo Paz Soldan, Liliana Colanzi, Giovanna Rivero sono nomi noti, un assaggio importante, per l’Italia, è stata l’antologia di racconti Calles, pubblicata dall’editore Gran Via, ma se dovessimo indicare un solo nome rappresentativo sarebbe molto difficile non fare quello di Rodrigo Hasbun, sebbene in Italia siano disponibili appena due titoli, entrambi per merito delle edizioni Sur e della traduzione di Giulia Zavagna. Il romanzo più recente di Hasbun, come il precedente Andarsene, è piccolo solo nelle dimensioni. Per il resto potentissimo e trasognante, traboccante di sentimenti.
Lui e la prof, lei e l’aborto
Cochabamba (città natale, nella Bolivia centrale, del nemmeno quarantenne Hasbun) e Houston, in Texas, sono gli spazi in cui va in scena Gli anni invisibili (185 pagine, 16,50 euro). Il passato in Bolivia, il presente negli Usa, per alcuni personaggi che ritornano in entrambi i tempi: solo due in realtà, oggi il narratore, solo una comparsa nelle storie del passato che riemergono, e Andrea, protagonista di una delle due vicende principali (l’altra riguarda un amico del narratore, Ladislao, ribattezzato così, con un nome fittizio, come lo è Andrea; Ladislao è stato sedotto da un’insegnante di inglese, la “gringa” Joan), quella in cui giovanissima resta incinta dell’allora fidanzato Humbertito e decide di abortire. Sono loro due a incontrarsi e a raccontarsi quei pezzi di adolescenza, vissuti nel ventre di una classe medio-alta.
Vent’anni dopo
La morte violenta. L’amore effimero. I sogni di cui è meglio sbarazzarsi. Le illusioni. le giravolte repentine del destino. E un doloroso agghiacciante mistero finale, che segna la vita di tutti. I liceali protagonisti del romanzo di Rodrigo Hasbun fanno i conti con tutto questo. Ladislao sogna di diventare un famoso regista, alla Cassavetes, e gira video amatoriali. Andrea fa i conti con quello che considera un imprevisto molto più grande di lei, una gravidanza indesiderata. A distanza di oltre vent’anni si rivedono lei e Julian, amico della sua compagnia e in particolare di Ladislao, a tratti voce narrante e romanziere che sta scrivendo una storia su quegli anni dell’adolescenza, con qualche libertà romanzesca. Essenziale, ma ipnotica e poetica è la prosa di Hasbun, come già emergeva dalle pagine di Andarsene.
Quando qualcuno sta annegando chi cerca di salvarlo finisce per spingerlo verso il fondo, se non per annegare a sua volta. Gli annegati bisogna lasciarli annegare e i deboli lasciarli fuggire, sebbene fuggire non sia possibile.
Sono due annegati, due deboli in fuga anche loro due, quelli che nel libro sono ribattezzati Andrea e Julian. Sono due sconfitti che giungono a una conclusione, vivificata dai fatti: il passato non è l’eden, non è un tempo migliore, non ha in sé i semi della felicità, è un mito di cui si può fare a meno.
Tutti pensano che il passato sia meno incerto, che il passato sia una specie di rifugio dove possiamo tornare di corsa ogni volta che le cose vanno a finire male. Che idiozia.
Passano una notte a bere e a cercare di ricordare l’indicibile, il tragico evento che li legherà per sempre. Tornano a un’altra notte, a una festa in una villa senza genitori per il ritorno a casa di un’amica di Andrea. L’allegria, la musica grunge della band di Julian. E non solo.
Dopo il boom e dopo Bolaño
Rodrigo Hasbun è della stessa risma di Andres Neuman e Juan Gabriel Vazquez, Nona Fernandez e Alan Pauls, Alejandro Zambra e Laia Jufresa, Pedro Lemebel e Santiago Gamboa, Juan Villoro e Guadalupe Nettel, Anche se parlare di letteratura latinoamericana tout court non ha senso da molto tempo, o forse non ne ha mai avuto, in quella parte di mondo ci sono energie letterarie inesauribili e originali. Capaci di non voltarsi troppo indietro, di non restare pietrificati dinanzi all’importanza degli autori del boom, di non farsi influenzare, quantomeno negativamente, dal mito di Bolaño. Lo fa anche Hasbun. Si concede pathos e nostalgia, si confronta con dolori indelebili, cicatrici perenni. Racconta la scuola, le serate brave di alcuni giovani viziati, la spensieratezza e l’incanto, l’incanto spezzato.
Cuore e viscere
Difficile lasciarsi scivolare addosso questo romanzo, mollarne la presa. Certe frasi spietate e mancate redenzioni rimbomberanno a lungo nella mente di chi leggerà Gli anni invisibili. È un libro che può far male, niente narrativa rassicurante, niente letteratura alla camomilla. Hasbun prende il cuore e le viscere della vita, i segni del tempo, i desideri infranti, gli imprevisti fatali, la gioventù marchiata a fuoco sulla pelle e, senza sconti, ce li mette davanti agli occhi. Non è facile liberarsi dalle menzogne, degli inganni e della violenza. Sopravvivere non basta, non significa vivere.
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