Ruska Jorjoliani, georgiana e palermitana adottiva, torna in libreria a cinque anni dal debutto. Col nuovo romanzo “Tre vivi, tre morti” incastra due vicende, tra gli anni Trenta e i Cinquanta, col passato che chiede il conto bussando alle porte del presente. Un pezzo di bravura che culla il lettore con prosa elegante e musicale, lo confonde e lo sorprende
Gli aspiranti scrittori o anche quelli alle prime armi, prima di rivolgersi a corsi più o meno rinomati, a maestri più o meno cattivi, devono leggere tanto: è tautologico. Viene da aggiungere, dovrebbero leggere l’ultimo romanzo di Ruska Jorjoliani – che a sua volta ha letto con grande attenzione e con amore alcuni grandi del Novecento italiano – nata in Georgia ma palermitana adottiva, classe 1985, esplosa con un raffinato editore siciliano indipendente e adesso di nuovo alla ribalta con Voland. Non bisognerebbe stupirsi se in futuro, dopo aver scritto un romanzo russo (il suo primo, per Corrimano, La tua presenza è come una città), uno italiano – quello pubblicato qualche mese, in pieno lockdown, ovvero Tre vivi, tre morti (200 pagine, 16 euro) – ne scrivesse uno siciliano. Ruska Jorjoliani (qui il video di un suo consiglio sul nostro canale YouTube) può scrivere quel che vuole, ha lessico elegante, strumenti vari, talento, pazienza, giuste dosi di ironia e amarezza, e applicazione per lasciare il segno ulteriormente, nei prossimi anni. Un lettore dovrebbe fidarsi di chi scrive una frase così:
Forse la felicità è questo piccolo piccolissimo spazio che c’è tra provare e il capire di stare provando quella precisa cosa assieme a quella precisa persona, mai da soli.
Una lettera anonima
La quarantena causata dall’emergenza Coronavirus ha travolto il comparto editoriale, che lentamente si sta riprendendo, e in particolare i titoli finiti nelle fauci delle strade vuote e dei lettori barricati a casa. È tempo di recuperare il tempo perduto, è tempo di leggere Tre vivi, tre morti di Ruska Jorjoliani, che è fra i volumi che hanno subito questa sorte. A cinque anni dal bellissimo esordio, la georgiana di Palermo si supera. Incastrando due vicende apparentemente lontane, lontane nello spazio e nel tempo, col passato che chiede il conto bussando alle porte del presente (come nelll’affresco a cui fa riferimento il titolo del romanzo, macabro appuntamento fra scheletri e viventi, con i primi che presentano il conto…). In particolare è una lettera anonima a sconvolgere la quotidianità di due coniugi nella Firenze degli anni Cinquanta, sposi logori, che per mestiere insegnano e hanno entrambi una storia clandestina (la moglie, Aurora, con Luciano, il marito, Modesto, con Clio). La lettera fa riferimento ad “antichi errori”, a responsabilità che emergeranno e si conclude così:
È per questo che Le dico: prima ancora di essere un assassino, Lei è un imbecille.
Storie di guerra
La seconda vicenda, che sembra lontana, inquadra fra gli anni Trenta e Quaranta il misterioso soldato Guerino Santoni, orfano di madre, figlio di un ex ufficiale della prima guerra mondiale rimasto vedovo. Tiepidamente fascista e poi repubblichino – sulla scia del dispotico zio Nelson – in mezzo la neve della terrificante ritirata italiana dalle steppe sovietiche, dopo la battaglia largamente persa a Nikolaevka, nel gennaio 1943. C’entra la Russia ma anche l’Abruzzo e ci sono un altro paio di personaggi signifivcativi, Dalmazio e don Sebastiano. E poi i fili si ricompongono, fra tante cose non dette, inquietudini e improvvisi cambi di scena. Si torna alla storia sospesa e infelice dei due coniugi, con Aurora incinta (ma del marito o dell’amante?) a spezzare l’inerzia quotidiana, il lettore cullato da una prosa musicale e un finale davanti a un apparecchio televisivo d’epoca. E ciò che sembra oscuro in Tre vivi, tre morti (lo aveva consigliato anche Davide Camarrone in questo video sul nostro canale YouTube) è tutto illuminato, quello che ha confuso sorprenderà.
È possibile acquistare questo volume in libreria o qui