I racconti di “Storie di gente felice” sono dieci ritratti di personaggi che si interrogano sul senso: quello di un dolore, quello di un amore non colto e lasciato scappare, di un incontro, di un punto di vista “altro”. Con la leggerezza dell’ironia e una lieve surrealtà tipiche di Lars Gustafsson
Lars Gustafsson torna in libreria con un’inedita raccolta di racconti: Storie di gente felice (256 pagine, 17 euro), portato in Italia oggi – uscì in Svezia nel 1981 – da Iperborea con la tradizione di Carmen Cima Giorgetti e con un bel testo di postfazione che ripercorre il successo di pubblico dell’autore di Morte di un apicultore, tra i libri più noti di una personalità che ha saputo imporsi nel panorama della letteratura contemporanea svedese per sguardo, intelligenza e ironia.
Un modello di vita su pagina
«La letteratura è così enormemente più facile da trattare della vita. La letteratura è come un modello in scala ridotta» dirà un personaggio nel racconto di apertura della raccolta. Quelle di Gustafsson sono dieci ricerche un po’ inconsapevoli, dieci storie “impossibili”, come dice l’autore, di persone che si interrogano sul senso: quello di un dolore, quello di un amore non colto e lasciato scappare, di un incontro, di un punto di vista “altro”, di luoghi, momenti e casuali incroci capaci di rivelare uno spiraglio di significato oltre la consuetudine. Capita a tutti di domandarsi che senso abbia la vita, il mondo, e di provare una sensazione come di angoscia immobilizzante. E adesso? Cosa si fa? I personaggi di queste storie sono colti in questi momenti, mentre pensano e continuano ad agire, specchiandosi e rispecchiandosi nelle azioni mancate o da fare, nelle emozioni rimaste a volte inscatolate. Sono modelli di vita, appunto: storie che hanno il potere di semplificare nodi complessi e illuminare quel poco che basta a intravedere altro, non smettere di sperare in una sorpresa capace di risvoltare tutto il senso, o la sua mancanza.
Ma se […] il senso non può trovarsi che dentro di noi, in quel buio che è il nostro stesso io, al di là di tutte le trappole morali, allora naturalmente non possiamo che rimanere per sempre sconosciuti a noi stessi. O no?
La vita leggera, tra incanto e sorriso
Si viaggia per il mondo a spasso con questi dieci racconti che spaziano dalla Svezia alla Cina della Repubblica popolare e della rivoluzione culturale, da un lago in Nord Europa alle spiagge degli Stati Uniti, tra paesaggi freddi di neve e deserti di dolore rarefatto. E filtra un po’ di biografia dell’autore nei racconti del Texas, dove Gustafsson – il Lars che compare nella narrazione – fu insegnante all’università. Grandi interrogativi sul senso del tutto fanno così da contraltare a un senso di leggerezza che è insito nello stile e nella scrittura dell’autore, ma che è forse anche una delle chiavi di lettura di queste storie: non dimenticare la leggerezza, il piacere «che esiste solo per chi è capace di ridere e danzare».
Ci sono poi scienza, letteratura, filosofia: l’ingegneria, la fisica, Nietzsche si mescolano insieme tra storie, personaggi, riflessioni. E c’è forse, più di tutto, un equilibrio speciale in questi racconti di Gustafsson che puntando a un’indagine sul senso della vita umana – e sulla felicità – mescolano con un stile unico la leggerezza dell’ironia, quella di una lieve surrealtà, e immagini che diventano poi porte su domande, brecce nei muri del quotidiano capaci di rivelare. Basta per esempio un modellino di ferrovia in Le quattro ferrovie di Iserlohn, un nome su un elenco telefonico in La ragazza con il berretto blu per scoprire vite possibili tra narratori.
Lampi di luce in una realtà cangiante
«Nessuno sa di preciso cosa sia un essere umano» ci ricorda Gustafsson, perché nessuno lo ha mai visto dal di fuori. E così, in cambi di punti di vista che variano da professori, a ragazzini disabili, ad anziani, a uomini qualunque, l’indagine prende vita di storia in storia. Questa raccolta di racconti diventa così una ricerca sulle possibilità umane, come si scrive nella postfazione non a caso intitolata alla salvifica leggerezza del non-essere. Tutta l’opera dell’autore, e nello specifico i dieci racconti di Storie di gente felice, ruotano intorno alla domanda «Che cos’è l’uomo»? La risposta arriva attraverso la narrazione, in storie che fanno della letteratura l’espediente per esplorare quella cerniera tra le possibilità: rare e fulgide visioni di attimi che sanno restare sospesi e per questo colpire i personaggi e il lettore, flash di rivelazione, e forse istanti di felicità apparsi e scomparsi in una realtà cangiante, a volte impossibile. Gustafsson e i suoi personaggi, insomma, cercano un senso in un mondo che non sempre può essere letto per intero. Ecco arrivare in soccorso le cosiddette “epifanie”, quegli attimi di rivelazione, luce che si infila, chiarore sul proprio io, in relazione al mondo e agli altri. È forse questa, la felicità? Naturalmente una risposta non c’è: c’è la lettura, la letteratura come torcia per aprire varchi, e forse, con qualche sorriso, tornare a interrogarsi dando senso alla vita.
Non è solo di notte che sogniamo. Tutte le persone sagge, no, è eccessivo, diciamo alcune persone sagge sanno che esistono sogni che passano davanti agli occhi in perfetto stato di veglia.
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