Antonio Sellerio: “Mamma Elvira, camminiamo sul suo solco”

A dieci anni dalla scomparsa di Elvira Sellerio, signora dell’editoria, il figlio Antonio la ricorda: “Dava l’esempio nel lavoro quotidiano. Interpretava il lavoro da portare avanti a Palermo come un atto di speranza. Se molti autori non ci hanno lasciato si deve al rapporto che mia madre aveva stabilito con loro”

«Non saliva mai in cattedra, mia madre. Mai. Ha insegnato a me e agli altri collaboratori il mestiere di fare l’editore dando l’esempio con il lavoro di ogni giorno. La prima cosa che abbiamo appreso è che bisogna sapere fare tutto, perché non è solo il lavoro intellettuale a far andare avanti una bottega che produce libri». Antonio Sellerio, alto, dinoccolato, sposato, due figli, bocconiano, erede – con la sorella Olivia – di quel singolare regno di carta che da 40 anni occupa un posto privilegiato nel panorama culturale italiano, ricorda sua madre, Elvira (nella foto tratta dal sito Sellerio), a dieci anni dalla scomparsa, avvenuta il 3 agosto del 2010 quando aveva 74 anni. In queste settimane il titolo più comprato e letto in Italia, manco a dirsi, ha il loro marchio di fabbrica, Riccardino, l’ultima indagine del commissario Montalbano che Andrea Camilleri aveva scritto per fare uscire di scena il poliziotto più amato d’Italia: storia scritta per essere pubblicata post mortem. Gli uffici sono sempre quelli. Solo l’indirizzo è cambiato: non più via Siracusa, ma via Enzo ed Elvira Sellerio.

Restare a Palermo

In queste stanze coi divanetti liberty, le pareti tappezzate di libri, l’invasione di plichi e carte e bozze, «la Signora» si muoveva con la sigaretta accesa e gli occhi aguzzi, pronta a scovare un talento fra le decine di manoscritti affastellati lì, sulla panca all’ingresso. Si sbaglia a pensarla come una donna distante e distaccata dalla vita reale, spersa nelle frasi levigate dei suoi autori. «Macché, mia madre in ufficio era capace di occuparsi di ogni cosa. Spedizioni, rapporti coi fornitori, fatture, tenere i contatti con gli autori, le questioni legate ai diritti. Anche i pacchi realizzava con cura – dice il figlio -. Poi, quando arrivai io, l’incombenza toccò a me. Anche perché è giusto che in una squadra ognuno abbia i suoi compiti». Si racconta di una imprenditrice disposta a rimanere a Palermo perché essere geograficamente marginali era ogni giorno una scommessa: realizzare un’impresa culturale che dal Sud profondo irraggiasse le sue scoperte su per lo Stivale, e ancora più in alto, fino in Europa. Nel 1978, L’affaire Moro, lucidissimo e spietato affresco sciasciano sul controverso caso dell’esponente democristiano rapito dalle Brigate rosse, è il primo respiro colto, largo, europeo cui ambivano i libri Sellerio partendo dalla Sicilia. «Lei ha amato moltissimo Palermo – racconta Antonio -. Una serie di traversìe con cui ha fatto i conti (una storia di finanziamenti regionali da cui uscì del tutto indenne, ndr) hanno portato a galla la consapevolezza di non essere amata da tutti, diventando quasi un oggetto di astio. Questo le ha lasciato un segno profondo, senz’altro. Si ritrasse un po’, forse, ma per lei era importante che il suo lavoro si svolgesse qui. Lo interpretava come un atto di speranza. Del resto non si può non vederla così se sulle nostre copertine il nome della nostra città è in bella evidenza: Sellerio editore Palermo». L’editore addirittura va oltre: «A volte per comodità verrebbe più facile produrre al Nord. Ma noi teniamo a mantenere stampa e lavorazione qua, a Palermo, altrimenti snatureremmo la casa editrice».

I libri blu

Elvira Giorgianni, figlia di un prefetto, primogenita di sei fratelli e orfana di madre, decise nel 1969 di investire la liquidazione di impiegata regionale per fondare una casa editrice. Un’avventura che condivise col marito, il talentuoso fotografo Enzo Sellerio («l’uomo più affascinante di Palermo», ebbe modo di dire). E si deve a lui, ad esempio, una delle invenzioni editoriali meglio riuscite, il vero marchio di fabbrica: la linea blu dei volumi de «La memoria» (il titolo della collana si deve invece a Sciascia che, specialmente agli inizi, fu il consigliere più influente e ascoltato). «È vero – rievoca il figlio – l’architettura delle copertine fu disegnata da mio padre. In origine scelse il fondo di colore grigio. Ma poi, dopo le prime prove, si convinse che il blu fosse la tonalità giusta». Si cominciò con un libello di poche pagine, Il procuratore della Giudea, racconto perfetto di Anatole France. «Non dico che fosse il volume più amato da mia madre, sicuramente era quello la cui lettura consigliava più spesso. Ce lo suggerì Sciascia e scrisse anche una bellissima nota. Un libro breve, con una sorprendente evoluzione narrativa e una fortissima carica etica».

Centellinare i suoi consigli

La «Signora», da qual momento in poi comincia a mietere successi. Possiede un fiuto geniale per le storie «giuste», di qualità, che funzionano. E come cacciatrice di talenti comincia con un oscuro professore della provincia ragusana, Gesualdo Bufalino, Dino per gli amici, che da 30 anni nel cassetto tiene un romanzo sorprendente, Diceria dell’untore. Un successo clamoroso. Il catalogo si amplia: Consolo, Lucarelli, Carofiglio, Camilleri ovviamente. E un nugolo di stranieri accuratamente selezionati: Giménez-Bartlett, Vasquez Montalban, Doody. Molti di quei titoli sono o sono stati best seller di caratura internazionale. Alla Sellerio non temono di dire no (altro insegnamento da tenere a mente). «Quello che si dice spesso sul nostro lavoro – spiega Antonio – è che la qualità di un catalogo è determinato non dai libri che si fanno, ma di quelli che non si pubblicano». Come a specificare che un editore non deve mai tradire la sua linea, la sua idea. Non andare appresso a sirene facili, ma a volte percorrere la strada più impervia (ma di qualità), magari meno remunerativa, è una scelta obbligata per mantenere la fisionomia editoriale che non porti fuori strada i lettori. Oggi i volumi che escono da quelle stanze piacerebbero a «Donna Elvira»? Domanda complicata per un figlio. Ma Antonio, che le scelte strategiche le condivide sempre con la sorella Olivia, non si sottrae: «Io e le persone che lavorano con me non abbiamo mai pensato un’impronta diversa all’impresa. Penso che la forza vera e l’impronta decisiva la diano il catalogo e i libri che continuano ad andare sugli scaffali. I tempi sono certamente diversi e naturalmente io non ho alcuna certezza che le scelte compiute oggi sarebbero state condivise da mia madre. Se dovessi esprimere un desiderio, spero di lavorare in continuità con quello che ha fatto lei. Del resto – conclude – ancora centelliniamo i suoi consigli e andiamo pubblicando ad esempio gli autori, come Graham Greene, su cui cominciammo a lavorare insieme».

Il legame con gli autori

Donna curiosa e decisa. Non si sottrasse all’impegno romano quando venne chiamata a fare parte della cosiddetta «Rai dei professori», nominata nel consiglio di amministrazione. Visse quell’esperienza con un enorme entusiasmo. «Lei – spiega il figlio – considerava la Rai un’azienda straordinaria, con persone di grande talento. Fu il periodo in cui dovette fare delle battaglie per le cose in cui credeva». Dieci anni fa, quando Elvira Sellerio morì, a 74 anni, la stragrande parte degli autori non abbandonò la casa editrice. «Il fatto che non se ne siano andati – conclude il figlio Antonio – si deve al rapporto che mia madre aveva stabilito con loro». Gli ultimi 24 mesi sono stati densi di ricorrenze, di successi, di nostalgia. La morte a luglio dell’anno scorso di Camilleri, i 30 anni a novembre della morte di Sciascia, i 40 anni della casa editrice, l’uscita dell’ultimo Montalbano meno di un mese fa, il prossimo 15 novembre i 100 anni dalla nascita di Bufalino. E oggi sono dieci anni che Palermo ha perduto la Signora dell’editoria italiana. La cui memoria è tramandata dalla prosecuzione di un’opera proseguita oggi dai suoi figli e dai collaboratori, impegnati a mantenere alta la bandiera di un’impresa leggendaria.

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