Ponte Morandi, i libri sulla tragedia e per non dimenticare

La letteratura per sondare l’abisso del crollo e delle morti, nel giorno dell’inaugurazione del ponte Genova San Giorgio, che prenderà il posto del ponte Morandi. Le voci degli scrittori – da Bruno Morchio a Riccardo Gazzaniga, da Ilaria Rossetti a Marco Cubeddu, ad Alessandro Ferraro con la sua recente mappa letteraria di Genova – prima, dopo e attorno la tragedia…

«Genova che si riscatta», così scriveva Giorgio Caproni in un passaggio della sua lunga Litania, celebre poesia che canta il capoluogo ligure nelle sue bellezze e contraddizioni: scale, tetti, singhiozzi, bombardamenti, sospiri, vento e luce. Una città che è un tessuto di ferite rimarginate con i suoi carruggi, le sue salite e il suo porto, con la sua Medaglia d’Oro per la Resistenza, e con la resistenza scritta in minuscolo, quella che da anni non si arrende ad alluvioni, esondazioni, crolli e violenze. Oggi, 3 agosto 2020, a quasi due anni dal dramma del Ponte Morandi, sarà inaugurato il nuovo ponte che collegherà i due lembi della Val Polcevera strappati quella terribile mattina dell’agosto 2018, e una parte di questa ennesima ferita sembrerà potersi suturare. Non a caso Renzo Piano, che del nuovo ponte è l’architetto, lo ha definito un rammendo: urbanistico, ma soprattutto sociale, dunque simbolico.

Genova che resiste

Genova, intanto, fedele alla sua vocazione resiste. Lo fa nelle storie, tra le pagine dei libri, nei personaggi e nelle parole che la cantano, la descrivono, la sollevano dal piombo di una realtà spesso durissima cercando di trovare un senso, di comprendere e, così, riuscire a rivivere e ripensare la città stessa. È il compito della letteratura che, maturato il giusto tempo, a distanza di due anni dal crollo sta iniziando a proporre delle riflessioni legate al Ponte Morandi, di volta in volta sfondo, simbolo, scenario, metafora esistenziale.

Il Ponte di Brooklyn, questo era il Ponte Morandi per i genovesi quando ancora era solo il “ponte Polcevera”: una via di accesso e una fuga dalla città, passaggio obbligato per scendere verso il mare, asfalto da buttare alle spalle verso le riviere. Un ponte sospeso che per forme e imponenza ricordava quello, appunto, di oltreoceano, e alla cui epica è oramai sostituita la drammatica nuvola semantica di morte, fatalità, distruzione: di dramma segnante.

All’indomani della tragedia, vivide nella memoria le immagini di quel crollo e delle urla sgomente, non stupisce quindi che proprio da Genova siano partite le prime iniziative che, attraverso la narrativa, cercavano di spiegare e spiegarsi l’accaduto. Del 2018 sono infatti Il ponte di Il canneto editore, antologia di racconti che raccoglie le parole di tanti autori, molti dei quali genovesi e liguri, e dello stesso anno è Quella volta sul ponte, volume (a cui seguì una mostra) realizzato a seguito di un appello di Luca Bizzarri, presidente di Palazzo Ducale, a scrivere i propri ricordi su quello che per i genovesi era un punto di riferimento, uno snodo fondamentale, via di comunicazione con il ponente cittadino.

Dramma concreto e simbolico

Il crollo del Ponte Morandi ha segnato infatti per mesi una voragine sì umana, ma anche molto più concreta: è stato infatti, e resterà, il simbolo di una città spezzata in due, di una regione scollegata. E quanto suona ancora attuale, oggi, questa immagine, dopo analoghi episodi di crolli su autostrade liguri e constatate le difficoltà della mobilità in un territorio schiacciato tra i monti e il mare in una breve di striscia di terra che, come scriveva Giuseppe Conte in Secondo la profezia, è destinata a crollare in mare.

Il Ponte e il suo dramma reale e simbolico stanno oggi entrando nell’immaginario attraverso la rilettura e interpretazione di diversi autori, fornendo spunti narrativi che partono dal quartiere di Certosa, dove tanti abitanti sono stati costretti ad abbandonare le proprie case sulle quali, letteralmente, il ponte era appoggiato. Una zona popolare, lontana dal centro tanto da non sembrare nemmeno più Genova. Lo sanno bene i protagonisti di Dove crollano i sogni (2020), il noir Rizzoli del genovese Bruno Morchio. Blondi e i suoi amici sono una compagnia di ventenni schiacciati dalla povertà del quartiere, coinvolti in giri di spaccio e che, per la brama di sogni, finiranno nei guai proprio a ridosso di quel 14 agosto 2018. Il Morandi, non a caso, è riconoscibile sulla copertina del romanzo, che si svolge pressoché interamente in Val Polcevera.

Un affacciarsi sul nulla

Colpo su colpo di Riccardo Gazzaniga (Rizzoli, 2019), è invece la storia di una ragazzina che imparerà a convivere con la sua omosessualità. Nel romanzo il ponte ha un ruolo chiave, si fa metafora di vite spezzate, del vuoto che si spalanca davanti alla strada di Giada Pastorino, la protagonista che alterna la scuola alla palestra dove pratica savate. Nel romanzo il ponte è appena crollato, gli spostamenti per i genovesi sono ancora problematici e dalle finestre di casa Giada vede il Polcevera, un torrente sempre a secco ma paradossalmente pronto a esondare, dove i segni della tragedia sono visibili da tutti, iscritti nella città. «Nessuno avrebbe pensato che, in quella valle disastrata, la più grande tragedia sarebbe accaduta non dentro il torrente, ma sopra – dice il narratore – In lontananza, appena visibili, c’erano i monconi del ponte Morandi avvolti dalle gigantesche gru che li stavano smontano, pezzo dopo pezzo». Il Ponte entra nella vita di Giada anche come simbolo con il suo affacciarsi sul nulla, il suo gridare alla fragilità della vita, separata per un soffio dalla morte, come quel famoso camion verde fermo sul ciglio della strada spezzata, interrotta nel vuoto. Come tutti, anche la protagonista si interroga sulle vittime e sui loro ultimi istanti, si ritiene fortunata, e tuttavia identifica il proprio percorso di crescita e accettazione di sé con quel precipitare ineluttabile che ha schiacciato il Morandi, uno spettacolo terrificante che non smette di attrarla, e spaventarla.

Un Ponte Morandi metaforico

È un Ponte Morandi metaforico, mai citato esplicitamente come tale ma presente negli occhi dei lettori, quello di Le cose da salvare, di Ilaria Rossetti (Neri Pozza), romanzo (ne abbiamo scritto qui) dove il moncone affacciato sul vuoto della tragedia innesca una riflessione sulle mancanze e sulla necessità di andare oltre. Siamo a Genova anche se la città non viene mai citata, e così, nella realtà parallela della finzione romanzesca, riconosciamo via Porro, via Fillak, con i loro palazzi danneggiati dal crollo e i loro abitanti costretti a evacuare e abbandonare le proprie case, e con esse i ricordi di vite intere. Si accende qui il rovello di Gabriele Maestrale, uno degli inquilini di questi palazzi che, dopo aver assistito attonito, come tutti, al disastro, decide di non abbandonare la propria abitazione, perché sopraffatto dalla necessità di decidere su due piedi quali siano le cose da salvare. Il suo percorso – e il suo dramma – incontrerà quello di Petra, la giovane giornalista protagonista incaricata di intervistarlo. Tra i due nascerà un dialogo che aiuterà entrambi a chiarire la propria visione sulle cose da salvare davanti all’inaspettato crollo delle proprie radicate certezze: l’infanzia, i genitori, il proprio posto nel mondo. Forse, tra i tanti i romanzi sul ponte, Le cose da salvare è quello più distante dalla realtà dei fatti, ma al contempo più intimamente connesso al valore simbolico di quel crollo, alla fragilità umana che quelle vite improvvisamente spezzate e finite nel greto del Polcevera hanno evidenziato a tutti gli impotenti spettatori del disastro.

Gli eroi e le fragilità

Tra le vittime e chi ha assistito al crollo del ponte si inserisce un’umanità speciale, quella dei soccorritori, dei vigili del fuoco, onnipresenti nella tragedia quotidiana che spesso si abbatte su Genova. I pompieri hanno un ruolo di primo piano nelle alluvioni che martoriano la città per esempio, e ben lo si intuisce nel racconto che Marco Cubeddu fa di loro nel suo romanzo Un uomo in fiamme (Giunti, 2019). Non è una storia (ne abbiamo scritto qui) dedicata esplicitamente al Morandi, eppure quella presenza ritorna. Lo fa con l’ambientazione, Busalla, una Genova di periferia che volta le spalle al centro storico per insediarsi nelle vallate spesso sconosciute a chi non è del posto, e altrettanto spesso ancora più distanti dal capoluogo a causa della viabilità, come è accaduto per la Val Polcevera. Nel romanzo il Ponte Morandi viene citato ancora integro, in un immaginario tempo che precede l’agosto 2018, ma assume, oggi, il forte potere di evidenziare le fragilità di una città per la quale i vigili del fuoco diventano eroi.

Ricominciare sempre dopo le perdite

Oltre la ferita che il territorio non dimenticherà e di cui serberà una cicatrice nitida anche dopo l’inaugurazione del nuovo ponte, dedicato al simbolo di Genova San Giorgio, c’è una città che resiste. È quella che non si perde d’animo e ricomincia sempre, quella della bellezza che nasce da una storia importante. L’altra faccia di Genova, quella che non richiama morte e violenza ma suggestione e poesia, è immortalata in tanta lirica durante tutto il Novecento. La città resiste anche così: sulla carta, tra le sue bellezze e suggestioni cantate da chi l’ha vissuta, poeti, scrittori, cantautori. Lo descrive bene in un autentico percorso in città Alessandro Ferraro (l’abbiamo intervistato qui) nella sua guida letteraria Genova di carta (Il Palindromo), che non manca di ricordare le tante perdite genovesi, dalle alluvioni alla scuola Diaz, fino al Morandi. Parallela a quel percorso che da ponente a levante univa la città proprio attraverso il ponte scorre la ferrovia sulla quale il narratore arriva in città. La scoperta viene inaugurata dalla stazione: passo dopo passo Genova si affaccia tra ritagli di palazzi, case a schiera, campanili, funicolari, persiane verdi e panni stesi. Immagini che suggeriscono il senso della città, e che si mescolano a quelle dei telegiornali. Il bianco e il nero: tutte le contraddizioni di una Genova che, divenuta un affascinante «ghiribizzo scritto fra accrocchi di case e strade a scarabocchio», può ritenersi ancora al sicuro proprio nella carta, tra le pagine, protetta dall’attualità tragica che ne offende l’anima, la magia e la luce.

Elaborare e ripartire

Ed è lì che, una volta tagliato il nastro del nuovo ponte, ci potremo affacciare sempre per non dimenticare il dramma collettivo del Morandi che ha distrutto sì un ponte, ma anche e soprattutto vite, sogni e pezzi di città. La ricostruzione e la ripartenza hanno a che fare anche con l’elaborazione simbolica di quanto è accaduto, ed ecco venirci incontro la letteratura, strumento principe per sondare l’abisso della tragedia, ricordare le vite perse in quella mattina di un agosto che sapeva di vacanze, e che è invece diventata lo shock di una città e del mondo intero.

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