Bellini musicista perché seppe amare, il racconto di Ugolini

Il racconto di Lina Maria Ugolini, “Bellini nella musica delle carrozze” traccia il girovagare di Bellini tra una carrozza e l’altra, tra una stagione e l’altra della sua vita. Senza indugiare troppo su alcun elemento biografico, ti offre appena il gusto di qualcosa per poi portarti da un’altra parte, esattamente come fa la poesia

L’incarnato di un testo, in cui un autore decide di riprodurre gli stessi suoni di ciò che racconta, è già il mistico e riuscitissimo tentativo di innalzare a qualcuno un’ode di gratitudine. È la sensazione che si prova leggendo Bellini nella musica delle carrozze (77 pagine, 10 euro) libro, pubblicato da Kalós Edizioni, di Lina Maria Ugolini, prolifica scrittrice e poetessa catanese, autrice di fiabe e numerosi lavori teatrali, musicologa e docente titolare di Poesia per musica e drammaturgia musicale presso il Conservatorio “Antonio Vivaldi” di Alessandria.

Una brevità non casuale

Il testo, certamente unico nel suo genere ma non per questo figlio unico, appare innanzitutto scandalosamente breve! La prima presentazione che se ne ha sta tutta nel peso, o nella leggerezza, che riempie la mano quando lo sfogli per la prima volta. Una brevità che, evidentemente, all’interno di tutta una vastissima letteratura dedicata a Vincenzo Bellini, non può essere pura espressione di casualità. Chi proverebbe infatti a pensare di poter dire, in così poche pagine, qualcosa in più rispetto a tutto ciò che è stato scritto e che si scrive ancora sul grande Cigno Catenese? E allora, questa brevità è senz’altro una scelta voluta, un percorso ricercato proprio tra quei sentieri poetici che sembrano essere stati tracciati per coloro che hanno intenzione, in pochi e meditati passi, di giungere alla conoscenza non attraverso le tante parole di un saggio o di un lungo romanzo biografico, ma tramite le poche parole di quella che definirei volentieri come una “biografia poetica”. La poesia riempie della sua anima immensa spazi piccolissimi, che nessuno credeva potessero contenere una tale ampiezza. Più che una scelta pragmatica, dunque, direi che si tratti di un’espressione pentagrammatica: un cercare di rendere musica la parola, o viceversa.

Alchimia tra libretto e spartito

Il libro della Ugolini, ennesimo figlio letterario scritto per essere divorato (alla fine di questo articolo vi consiglieremo altre sue letture), è dunque una sintesi, un’alchimia tra libretto e spartito. Decidendo di scrivere su Bellini, l’autrice gioca tra espressioni puramente poetiche che potrebbero far da vertebre ad una romanza, e ritmi e cadenze che ricordano, appunto, un contrappunto di strumenti. E tra questi soprattutto i legni, che se nella nostra immaginazione ci ripresentano aerofonie pastorali perfette per descrivere un musicista-poeta, nella fantasia dell’autrice sono soprattutto i legni delle carrozze! Quei cigolii continui, quei perenni sussulti sui sassi di antiche vie cittadine, quella casuale e meravigliosa accordatura di suoni così diversi, se percepiti dalla strada o dal sedile di una carrozza, quando sei il passeggero ed uno psicopompo cocchiere ti porta in un altro mondo!

La carrozza diventa perciò, in questa biografia poetica, l’allegoria di un teatro: da un lato lo spettatore, seduto in platea o sul ciglio di una strada; dall’altro il protagonista, che dal sedile porge lo sguardo oltre il vetro, come oltre una ribalta, ad immaginare futuri canti e nuove melodie, o che si sprofonda nel golfo mistico di una donna sedutagli accanto, e il drappo del finestrino diventa sipario: non vedi più nulla; l’amore si fa mistero e una sinfonia te ne concede la discreta ma passionale rivelazione.

Un eterno viaggio

Lina Maria Ugolini traccia così il suo racconto: descrivendo la vita di Bellini come un eterno viaggio, tra una carrozza e l’altra, tra una stagione e l’altra della sua vita. Senza indugiare troppo su alcun elemento biografico, ti offre appena il gusto di qualcosa per poi portarti da un’altra parte, esattamente come fa la poesia, che non ama gli indugi ma i passaggi veloci, che non trasforma la vita di qualcuno in uno schermo dove ne venga mostrata ogni scena, ma esalta la discrezione della quinta, dietro la quale raggiungi appena la visione di ciò che avviene sul palco di un’esistenza, dovendo però immaginare tutto il resto, e osservando gli attori da una prospettiva a un tempo complice e sghemba. Bellini, per la penna di questa scrittrice, lo si legge così: non si ha mai l’impressione d’aver conosciuto tutto di lui eppure, in ciascuna delle cose che vi si raccontano, provi un tale senso di prossimità e confidenza con lui che, quelle piccole briciole di vita cadute dalla tavola di una tale impalcatura narrativa, ti sfamano invece di farti desiderare tutto il resto del pane che non hai potuto mangiare.

Insomma, a coloro che desiderassero conoscere in modo più che dettagliato la vita di Vincenzo Bellini, non mancherebbero chissà quante pubblicazioni atte a questo scopo; ma per chi volesse sentirne il sapore vero, proprio perché poetico, queste poche pagine sarebbero forse la più vigorosa espressione di confidenza emotiva.

La recondita armonia

Non di meno, proprio da alcune di queste briciole, comprendi che la brevità non esprime necessariamente una carenza, anzi. Alcuni fatti narrati in piccole scene, alcuni brevi dialoghi, ti fanno capire quanto l’autrice – che pure ha scelto pochi e decisi colori – conosca l’intero spettro cromatico del suo Bellini! La parola “amore” è breve, brevissima: la pronunzia colui che sa tutto di chi gli sta di fronte, e non perché ne conosca ogni cosa, ma perché di ogni cosa – anche misteriosa – ha colto il senso. La Ugolini usa così le sue parole, le sue frasi, e certe espressioni davvero preziose: non le scrive per farti capire che tu debba sapere tutto di Bellini, ma perché del mistero di questa vita fatta di amore e di musica tu possa cogliere il significato profondo, soggiacente a tutto. La recondita armonia, appunto, che fa da sfondo ad ogni altro suono. Nel libro non è presente ogni momento della vita del Compositore, ma l’Evento Bellini si coglie in pieno. Proprio questo evento è l’armonia che rappresenta un po’ l’anima di tutto il testo. E se l’immaginazione simbolica difetta di slanci, ecco che a piè di pagina un pentagramma e una carrozza ti ricordano continuamente che sei in viaggio verso un sentimento che è molto più profondo di un semplice e manieristico sentimentalismo: l’impeto e la tempesta, che in Vincenzo Bellini cominciarono ad esprimere i primi guizzi violenti di sentimento, non furono affatto vuoti languori ma vere e proprie pulsioni di un’anima che tendeva continuamente all’Infinito, pur cercandolo nella carne della vita.

Lina Maria Ugolini deve aver colto questo, e sentito il desiderio di trasmettercelo: Bellini fu musicista perché seppe amare, seppe fidarsi del proprio cataclisma interiore, seppe dar voce alle passioni che gli muovevano il cuore. Ed esattamente come lui, che non usava i sentimenti per fare musica, ma metteva in scena la sua musica per dar voce al vero sentimento, la Ugolini non usa parole d’amore per raccontarci la storia di Vincenzo Bellini; piuttosto scrive di Bellini per parlarci di amore!

Il significato di un’anima

E a quel punto ti chiedi in quanti altri modi, e attraverso quali altre circostanze letterarie, ella abbia voluto farlo. “Tu sei mio io sarò tuo…”; “Fuad delle farfalle”; “Jamil e la nuvola”; “Rum e pera” sono solo alcuni dei titoli attraverso cui, su percorsi diversi, si ripercorre un sentiero verso la scoperta dell’amore come sentimento capace di rivelare l’uomo a se stesso.

Questa rivelazione, in Vincenzo Bellini, si è espressa al massimo storico. Se nella sua breve vita l’amore ha trovato tutte le vie possibili per esprimere se stesso e farsi conoscere attraverso note immortali, allo stesso modo questo breve testo potrà darci in tutto il significato di un’anima.

Ritengo, ma è solo un mio pensiero, che queste poche pagine siano state un profondo atto di rispetto ai pochi anni di Vincenzo Bellini. Come a dire: non cercherò spazi maggiori di quelli che il Destino ti ha concesso. Forse animato dal pregiudizio di questa interpretazione, non ho potuto non commuovermi leggendo questo libro, pagina dopo pagina, e riconoscendo il merito e la delicatezza di chi lo ha scritto con un sussurro di voce; come chi, da una buca questa volta posizionata verso noi spettatori, ha voluto imbeccarci gli spunti giusti, suggerendoci che la vera arte è non dimenticare.

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