In “Non sarò mai la brava moglie di nessuno” Nadia Busato romanza la vita di Evelyn McHale, che nel 1947 si suicidò lanciandosi dall’Empire State Building. Una tragedia inspiegabile che chiede per sé solo l’oblio
Dalla tragedia all’epica. Non sarò mai la brava moglie di nessuno (255 pagine, 16 euro) di Nadia Busato, edito da Sem, celebra questo conturbante passaggio attraverso la vicenda di Evelyn McHale, giovane e attraente impiegata che, nel maggio del 1947, decise misteriosamente di togliersi la vita lanciandosi dall’Empire State Building. Una storia sconosciuta ai più, resa però imperitura da un celebre quanto fortuito scatto – pubblicato da Life – che immortalò il cadavere della ragazza appena precipitato in una posa di indefinita dolcezza. Intorno a quest’aurea magica che da subito circondò il cadavere.
Storie diverse e lontane
Nadia Busato, dopo aver attinto a numerose fonti, romanza le circostanze che hanno portato al suicidio di Evelyn. La sua narrazione diventa allora il tronco da cui si gemmano le vicende di tutta una serie di persone entrate, a vario titolo, in contatto con lei. Un filo misterioso e onirico sembra legare storie molto diverse e lontane tra loro. Una tragedia inspiegabile, e proprio per questo difficilmente digeribile.
Nè pietà né compassione
Un messaggio d’addio in cui la ragazza si congeda dal mondo, senza troppe spiegazioni, chiedendo per sè solo l’oblio, il ritorno nel vuoto. Perché «per continuare a vivere, bisogna distrarci dal pensiero della vita». Queste parole, che l’autrice consegna ai lettori, appaiono come l’eredità più marcata di Evelyn McHale, di cui non sapremo mai veramente nulla, di cui ignoreremo le vere cause che l’hanno spinta a lanciarsi dal grattacielo più famoso di New York. Rimane di lei una tenera immagine che lascia interdetti a distanza di molti anni. Qualcosa che non è pietà, né compassione, ma molto di più: rispetto innanzitutto.
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