Bazzi, gli Ahrens uniti contro differenze e pregiudizi

Ascesa e caduta della famiglia ebreo-tedesca Ahrens, che fece fortuna nella Palermo di fine Ottocento e inizio Novecento, nel romanzo “La luce è là” di Agata Bazzi. Una storia affascinante e commovente, un capitolo riscoperto nel libro della Storia della città di Palermo. In principio fu un giovane tedesco dalle idee ardite e dalle imprese industriali audaci, poi una famiglia di stampo matriarcale, che prosperò e si integrò. Fino alle leggi razziali

Per ogni storia ci sono tante verità, e il bello è che sono tutte autentiche

Una saga familiare, un romanzo storico, un diario. Una storia di resistenza, di diversità, identità, ma anche di integrazione, ricchezza e religione. LIK DOR La luce è là (365 pagine, 19 euro) è il titolo del romanzo di esordio, pubblicato da Mondadori, dell’architetto sicula-tedesca (come ama definirsi la stessa) Agata Bazzi, scritto in seguito al ritrovamento del diario del bisnonno, Albert Ahrens che la scrittrice decide di portare alla luce (è proprio il caso di usare questa metafora) in forma di romanzo, lo zibaldone di appunti e riflessioni che Albert tiene per dieci anni, dal 1906 al 1916 e la storia, ancora poco nota, di una delle più importanti famiglie ebree, italo-tedesche che hanno contribuito a rendere “felicissima” la città di Palermo, durante  gli anni in cui l’hanno vissuta. LIK DOR – La luce è là, esattamente come l’incisione riportata sul timpano nella facciata della villa fondata dagli Ahrens, a Palermo, dimenticata per molti anni, e oggi sede della DIA.

Tempo di rivoluzioni

Quella degli Arhens è una famiglia unita, fortemente legata alle proprie radici, forti e mai dimenticate, resistenti come quelle delle sequoie, con i rami rivolti verso l’alto (e l’altro) nella nuova terra scelta per vivere e far crescere i propri frutti. Da Varel Albert si stabilisce a Palermo a cavallo tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del secolo successivo, durante una cerniera temporale di grandi scoperte e rivoluzioni storiche, economiche e culturali: sono gli anni dell’eclettismo della Bella Epoque, dello sfarzo Liberty, dell’invenzione del cinematografo, della macchina da scrivere e del fumetto, ma anche del Terremoto di Messina, della Prima Guerra Mondiale, dell’emanazione delle leggi razziali e della persecuzione degli ebrei.

A raccontarci la storia, nel romanzo, è la voce di Marta, la sesta degli otto figli di Albert e Johanna Ahrens.

Quel piccolo uomo con le gambe storte

Quando Albert sbarca a Palermo nel 1875, è un giovane di belle speranze, carico di sogni e energia, convinto di poter fare fortuna. Arriva nel capoluogo siciliano poco più che vent’enne, è un ragazzo intelligente, ha fiuto per gli affari e una visione lungimirante per le trasformazioni che stanno per avvenire, tuttavia quella scelta di partire a tratti forzata, dopo la prematura morte del padre, era stata l’atto riflesso all’incoraggiamento dalla madre che lo aveva esortato a vivere altrove. Con l’aiuto dello zio Simon, Albert si avventura in questo viaggio. Pochi credono che quel piccolo uomo, basso e con le gambe storte sarebbe riuscito a fare qualcosa di buono nella vita. «Molti anni dopo era questo che Albert raccontava con sorriso compiaciuto. Era come se dicesse “avete visto cosa è riuscito a diventare quel piccolo uomo con le gambe storte?”» .

Uno scandalo che suscita curiosità

Fa scalo a Napoli prima, dove resterà per qualche periodo e successivamente a Palermo, dove si fermerà tutta la vita. In poco tempo fonda la Ahrens & C. una ditta di stoffe e tessuti che ottiene immediatamente un enorme successo. Albert, nella vanagloriosa e aristocratica Palermo della Belle Epoque, parla alle donne. Racconta con elegante maestria delle nuove mode, dei velluti, dice che è necessario accorciare le vesti, mostrare le caviglie e stringere gli abiti sulla vita. Una concezione ardita per l’epoca, soprattutto per le donne siciliane, costipate in una modest fashion, per usare un termine moderno e eufemistico, di visione arcaica e maschilista. Mostrare la pelle, scoprire il corpo in pubblico sia pure di pochi centimetri era un tabù, era disonorevole specie per le donne appartenenti ad una classe sociale meno abbiente. Sono gli anni in cui vigono in Italia, e in Sicilia, le leggi sul delitto d’onore e il matrimonio riparatore. Per la donna non c’è ancora spazio nella società e nella vita pubblica, il suo ruolo è ritagliato su quello di madre e moglie, fedele e castigata; le profezie sulla moda di quello straniero, ebreo, tedesco risultano quindi indecorose, tuttavia sono novità che nel mondo femminile del tempo, tra le donne dell’alta società, suscitano interesse e curiosità. Albert parla alle mogli degli uomini che contano perché quella era forse una strategia per arrivare agli orecchi dei mariti che di quel nome, quello Albert Ahrens, cominciano a sentirne le eco durante le chicchere da salotto

Sulle orme dei Florio

L’obiettivo del giovane è integrarsi nella Palermo che conta, e in poco tempo riesce a espandere i suoi affari, a integrarsi nella ‘Palermo bene’, quella degli affari. Dopo il successo nel campo della moda, Albert si avvicina ad un’altra merce pregiata, quella dei vini. Desidera produrli, esattamente come fa da anni Ignazio Florio. Il primato del settore vitivinicolo in quegli anni infatti, è tenuto da una famiglia di negozianti calabresi che in Sicilia, in meno di un secolo, erano stati protagonisti di una sorprendente ascesa. I Florio avevano iniziato commerciando spezie, poi producendo vino, infine avevano espanso i loro affari con lo zolfo, poi i tessuti, l’industria siderurgica e quella della navigazione: un impero clamoroso. Albert non si lascia intimidire dalle chiacchiere che con reverenza pronunciavano il nome di Ignazio Florio, e decidere di incontrarlo. Il grande imprenditore ne costata le doti e l’audacia del giovane tedesco ma non lo aiuta. Da lì a poco Albert incontrerà anche i Whitaker, gli Ingham, i Caflish, tutti nomi di imprenditori stranieri che a Palermo stanno facendo fortuna.

Gli anni d’oro

Cammina deciso per i corridoi dei palazzi dell’alta società, osserva ascolta le conversazioni, a testa bassa, con umiltà, coltivando le ambizioni, in silenzio. Come Ignazio Florio, Albert aveva capito che era necessario fondersi con la nobiltà locale, avere un ruolo di protagonista nel governo e che «gli imprenditori sopperiscono allo Stato». Inizia a frequentare quindi, i circoli di cultura, il Casino di Dame e Cavalieri che all’epoca era il ritrovo più prestigioso dell’aristocrazia cittadina, a farsi strada. Durante la prima Esposizione Nazionale a Palermo, evento al quale prendono parte anche la regina Margherita e il re Umberto I, Albert è uno dei protagonisti: ha uno spazio personale alla Galleria delle industrie tessili e quelle Enologiche, presenta tessuti importati dall’Inghilterra e dalla Svizzera e espone al pubblico la sua produzione di vini: Corvo di Salaparuta e vino Marsala, premiato in quell’occasione con un diploma d’onore. In seguito viene nominato consigliere del municipio e della Camera di Commercio, Cavaliere e commendatore dell’ordine della corona e socio di molte associazioni. Quelli sono gli anni d’oro per la famiglia Ahrens.

Una donna moderna

Quando decide di prendere moglie, Albert si ricorda di quella ragazza dalla pelle chiara, biondissima e alta più di lui che aveva visto una sera al teatro, durante un incontro combinato. Lei si chiama Johanna Benjamin, donna sensibile, dal carattere granitico e irremovibile che alla proposta di matrimonio dell’indimenticato Albert, risponde alla sua lunga lettera con un telegramma dal contenuto secco e lapidario: “Ja”. Sì. Il matrimonio per procura porta Johanna ad attraversare l’Italia in treno e a stabilirsi in quella città sconosciuta e sinestetica, dove odori e profumi si mischiano alle voci del venditori che incoraggiano all’acquisto; in quella Palermo dal clima incandescente, le strade fiorenti di vita e feconde di contraddizioni, alle quali Albert spera possa abituarsi. Johanna è una donna caparbia, tenace ma lui lo scoprirà col tempo. «Voglio imparare questa città (…). Non voglio stare chiusa come le signore della comunità tedesca». Farsi un’opinione personale era importante, così nelle librerie di corso Vittorio Emanuele va alla ricerca di romanzi, articoli e testi che le mostrino la Sicilia che non vede , quella nascosta, quella della miseria e della fame. Una donna moderna Johanna, composta, dai modi gentili e severa nel volto, forse un corpo estraneo rispetto alle donne di quella città. Darà alla luce otto figli, sei femmine e due maschi (Marta, Margherita, Erwin, Berta, Alice, Robert, Vera, Olga). Solo le donne però sopravviveranno

Una famiglia matriarcale

La loro sarà una famiglia matriarcale. Frequenta le dame della carità, fa volontariato. Si dedica alla casa e alla famiglia con accuratezza e dovizia. Nel 1908 contro la volontà di Albert, parte come volontaria ad aiutare i terremotati di Messina insieme con il figlio Erwin che documenterà i frammenti di quella tragedia attraverso un reportage fotografico. E quando, in quell’occasione, passando in mezzo alle lunghe file dei feriti, un uomo le tende la mano chiedendo aiuto e mormorando ‘principessa’, lei prontamente risponde: «Non sono una principessa». Johanna è una donna emancipata, una matriarca, un punto di riferimento per tutta la famiglia. Una donna libera che insegna ai figli il valore della libertà

Eravamo un gruppo, e quindi riconoscevamo un capo: Johanna. In famiglia, Albert aveva ceduto a lei il bastone del comando. Questa gerarchia familiare era inusuale in Sicilia, dove erano gli uomini in posizione dominante. Del resto, mia madre aveva un’intelligenza acuta e una grande serenità; principi fermi, sentimenti profondi e rapidità di azione. Era più equilibrata del fragile e nervoso Albert, la cui astuzia negli affari vacillava di fronte all’emotività, soprattutto femminile: quando una di noi ragazze sembrava triste o nervosa, lui usciva subito dalla stanza fingendosi indaffarato. Forse non ho mai capito il segreto del fascino di mia madre. La personalità di Albert mi sembrava di comprenderla, quella di Johanna, no.

Marta, la sesta di otto figli che in questa storia è la narratrice, il grillo parlante, è un personaggio misterioso e straordinario. Marta, il cui nome era stato forse un omaggio alla villa di San Lorenzo in cui avevano vissuto gli Ahrens, è affetta da sordità in seguito ad una febbre che le aveva causato la perdita dell’udito. Una donnina esile e acuta,  che aveva maturato  un carattere paziente, forte e deciso. Osserva silenziosa, studia, si informa per conoscere le cose del mondo, legge, scopre i numeri che le parlano un linguaggio familiare: «I numeri mi hanno parlato una lingua muta che da subito mi è risuonata dentro. Mi hanno dato certezza e forza: con i numeri non c’è spazio per sfumature e interpretazioni. Il lavoro mi ha unito a mio padre».  Quasi fosse un alter ego di Emily Dickinson, Marta decide di non sposarsi, di restare tutta la vita in casa con la famiglia. Sceglie di condurre una esistenza ritirata e, come la Dickinson, castigata. Il suo animo tuttavia è animato da segreti fervori: sceglie di fare un lavoro da uomo, anzi quello del padre, si interessa di parapsicologia  e partecipa alle sedute spiritiche che si tengono a villa Ranchibile in cui partecipano medium e scienziati, tra questi anche Eusapia Palladio. E di scrivere. Pubblica due romanzi , pubblicati in Italia e in Germania, dalla tematica pungente. Testi scandalosi di un genere che alle donne non compete: gialli che parlano di stupri e violenze. Come faceva una donna tanto riservata a scrivere di tematiche tanto disturbanti restando in casa e senza conoscere bene le cose del mondo?

Un’isola di cultura tedesca

La villa intesa come casa era femmina. La casa era popolata di gonne e grembiuli e cuffie bianche. Villa Arhens diventa di colpo un punto di ritrovo, per tutti. Rappresenta il successo delle conquiste fatte da Albert, il salotto della buona società palermitana e la culla di una grande famiglia unita. Era «un’isola di cultura tedesca» con norme inflessibili, il rispetto delle tradizioni, il sapore di antiche ricette, prive di sontuosità, e una rigorosa divisione dei compiti: «Seguivamo regole rigide ma non ricordo nessuna sofferenza nel farlo. Era normale, era semplicemente così». Johanna apre la villa al mondo esterno. Ogni giovedì pomeriggio i cancelli di quella villa si spalancano per offrire  cibo e assistenza a donne e bambini. Johanna capisce che quelle iniziative sono utili per integrarsi e allargare la cerchia delle conoscenze utili anche per il lavoro del marito. Lo capiscono anche le figlie che in quella villa organizzano riunioni politiche, Margherita parla di socialismo, Marta di parapsicologia, Berta si dedica alla pittura e alla letteratura. Olga e Vera, le più giovani, sono convinte femministe e dicono che alla donna spetta un ruolo nel mondo del lavoro, che può farne anche uno da uomo, che ha il diritto di frequentare l’università, informarsi e conoscere le lingue.

Il crollo del grande sogno

Con  l’avvento della guerra però il grande sogno degli Ahrens subisce un arresto, e tutto crolla . «I venti di guerra portarono un’altra trasformazione della villa». Il 15 giugno del 1927 la Società Ahrens & C. viene messa in liquidazione, Albert cercò di vendere il capitale immobiliare ma lo Stato non accettò; in seguito la villa fu dichiarata edificio strategico per la difesa della patria e sui tetti di quella casa furono installate  mitragliatrici. Il 15 settembre 1935 Hitler emanò le leggi di Norimberga contro gli ebrei,  l’intesa con Hitrler chiamata Asse Roma-Berlino esprimeva l’avvicinamento politico tra Italia e Germania.

Agata Bazzi con La luce è la ci fa conoscere una storia affascinante e commovente  che aggiunge un grande capitolo di storia, nel libro della Storia di Palermo. Gli Arhens, pragmatici e caparbi, avevano capito che solo restando uniti era possibile superare gli ostacoli, lenire le differenze e colmare i pregiudizi,  trasformare le tragedie in ricordi e nuove opportunità e solo in quel modo sopravvivere.

 

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