La morte del padre non convince Larry, indolente e non credente, a recitare il kaddish per gli undici mesi successivi. Molti anni dopo Larry, divenuto reb Shauli, sarà alle prese con i sensi di colpa e cercherà di rimediare all’errore. “Kaddish.com”, nuovo romanzo di Nathan Englander ragiona – fra ironia e introspezione – sull’essere ebreo oggi, sul rapporto con la ritualità ortodossa, sulla colpa e sul perdono
Kaddish.com (208 pagine, 18,50) nuovo romanzo di Nathan Englander, pubblicato dall’editore Einaudi, ha un protagonista con due vite, due sguardi sul mondo, due patrie (gli Usa e Israele) perfino due nomi: Larry, come si faceva chiamare prima di una profonda crisi spirituale e di un ritorno alle origini, ovvero alla fede ebraica ortodossa, e reb Shauli, che insegna in una yeshiva di Brooklyn. I primi capitoli sono degni di Philip Roth – sebbene lo stesso Englander abbia dichiarato giustamente che l’unico erede di Roth sia Roth – e non solo per qualche performance onanistica di Larry degna di Alex Portnoy, messa in pratica a Memphis, a casa della sorella Dina. Poi, però, il romanzo segue altre strade. In modo originale. E lo spasso e la commedia cedono il passo alla riflessione e all’introspezione, in un mix particolarmente riuscito, che stagliano Nathan Englander ancora più fra i grandi scrittori americani, ben più.
La preghiera e l’espediente
Dopo la morte del padre Larry dovrebbe recitare quotidianamente il kaddish – la preghiera che serve ad elevare l’anima del defunto – per undici mesi. Indolente e non credente com’è, non intende ottemperare al dovere religioso. E trova un espediente che reputa niente male: si imbatte in un sito web (kaddish.com per l’appunto) che, ovviamente a pagamento, affida i defunti a studenti devoti, disposti a recitare le preghiere necessarie. C’è estrema modernità d’ambientazione e di montaggio narrativo, ma i tormenti teologici e i riferimenti ai testi sacri sono quelli della migliore tradizione della narrativa ebraica, di vecchi racconti chassidici ambientati in qualche shtetl.
Conversione e caccia all’uomo
Ritroviamo Larry nelle vesti di Shaul, anzi reb Shuli, a Brooklyn, sposato, con figli, pienamente inserito nella comunità ebraica. E nel corso delle sue giornate dedicate all’insegnamento fa i conti con il rimorso per quanto fatto, per il giovane che era stato, desideroso di reclamare e riappropriarsi del suo diritto, quello di un figlio che deve pregare per il padre morto. Inizia così, per uno dei più riusciti personaggi della produzione di Nathan Englander una specie di caccia all’uomo (avviata grazie alle conoscenze informatiche di un suo studente, Gavriel) che lo condurrà, in Israele, a Gerusalemme, alla ricerca degli ideatori di kaddish.com e di Chemi, lo studente, visto in alcune foto, che aveva preso in carico il kaddish per il padre.
Un padre che deve tornare figlio
Si mescolano sacro e profano, umorismo agrodolce e malinconia, sono scandagliate le interazioni fra gli individui, le comunità religiose di riferimento e la società. In una lingua precisa ed evocativa, magnificamente resa dalla traduzione di Silvia Pareschi, Englander – autore, fra gli altri di Una cena al centro della terra (ne abbiamo scritto qui) e Di cosa parliamo quando parliamo di Anne Frank (ne abbiamo scritto qui) – ragiona sull’essere ebreo oggi, sul rapporto con la ritualità ortodossa, in generale sul senso della religione immersa nel mondo contemporaneo, ma anche sulla prepotenza di certi sensi di colpa, su un padre che vuole, deve, tornare ancora una volta figlio, sulla colpa e sul perdono. Un viaggio spirituale che vale la pena di fare. Tra moti dell’animo e sorrisi, tragedia ed equivoci.
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