“La sposa e lo sposo” di Enrica Orvieto Richetti analizza una tradizione che naturalmente conosce – nelle molteplici differenziazioni geografiche – varianti capaci di raccontarci altrettante storie. Il rito del matrimonio ebraico è presentato come un organismo vivente, capace di ristrutturarsi attraverso i secoli, dove il Dio che benedice le nozze è lo stesso che si ritrae per creare ancora una volta
Come un invito ad una festa di nozze. Così ho percepito l’incontro con questo libro e, qualche giorno dopo, la sua lettura.
È avvenuto in occasione dello scorso Salone Internazionale del Libro, a Torino, quando ancora nessuno avrebbe immaginato l’assenza forzata dell’anno successivo da quei luoghi, a causa del virus. Ero dunque nel pieno entusiasmo (conosciuto da chi ci si è trovato almeno una volta) tutto annidato alla base dello stomaco quando, tra un areale ed un altro, godevo nell’assaporare con quasi tutti i sensi del corpo l’immersione in quell’universo pressoché infinito di libri. Potresti aver letto dal primo giorno di vita fino a quel momento, o per mille anni di fila, ma là dentro ti coglie la sensazione di non aver letto ancora nulla. Hai la piacevolissima conferma di un sogno: l’oggetto del tuo amore sarà sempre avanti a te e ti precederà, e il tuo restare indietro corrisponderà alla certezza che non ne rimarrai mai senza!
Insomma, più o meno quando ci si innamora. E la persona su cui hai posato lo sguardo è ancora tutta da conoscere, e non vedi l’ora che avvenga, e sai che potrebbero volerci mille vite. Perché chi è innamorato non conosce limite.
Il medesimo orizzonte di senso
Mi fermai davanti allo stand della Giuntina. Chi conosce questa casa editrice sa che tipo di pubblicazioni può trovarvi, e non si meraviglia del fatto che due libri presi a caso in mezzo al mucchio, pur trattando argomenti differenti, rimangano abbracciati dal medesimo orizzonte di senso. Solo che, quando questi libri li vedi tutti insieme lì, anziché nello scaffale di una comunissima libreria, ti sembra che un intero Popolo ti parli, nello stesso istante, con tutte le sue infinite voci, con ognuna delle sue parole. Vivi una sorta di extraterritorialità dello spirito: sei lì ma anche altrove, in un altro luogo, in un altro tempo.
E allora ti soffermi, cercando di udire ciascuna di quelle sfumature. Provando a tributare un minimo morale di attenzione ad ognuna di quelle copertine che, facendo capolino tra le altre, sembrano chiamarti per volerti confidare un segreto.
Così presi in mano La sposa e lo sposo (91 pagine, 11 euro), di Enrica Orvieto Richetti. Un libriccino come tanti, con copertina semplice bicolore, un panna e arancione che mi sapeva di pesca sciroppata con gelato alla vaniglia. Sinestesie necessarie: artefici inconsce di molte nostre scelte “consapevoli”.
In effetti, mi sono detto più volte, chissà che una suggestione apparentemente insensata non sia in effetti un motivo più che valido per uno spirito invisibile che guida la coscienza alla scelta di un libro. Ma c’era anche il titolo, che in quei giorni più che mai attirava la mia attenzione. Il tema delle nozze! Oggi così fuori moda, così desueto nella sua pretenziosa sacralità. E chi mai perderebbe più di due minuti del proprio tempo cercando di saperne un po’ di più su questo ormai così arcano istituto?
Beh, cominciai a sfogliare. Dopo le prime pagine avvertii la tipica sensazione di chi sa di cominciare ad operare il furto, oltre il limite legittimo della curiosità. Su 91 pagine ne avevo percorse già troppe, in percentuale, perché potessi mentire a me stesso affermando che non mi interessava. E così lo acquistai. La sera, giunto in albergo, lo riposi nella tasca laterale del trolley, tra un paio di volumetti Adelphi che, in quella circostanza, sembravano autorevoli testimoni di nozze. Calasso approverebbe.
Quando tornai a Catania, finalmente, il libro poté essere mio. Anzi, per non allontanarci troppo dal tema, direi che “lo conobbi”. Mi unii a quella lettura sentendomene parte, come se – appunto – il tutto non fosse stato altro che un invito ad una festa di nozze. Ma capivo adesso che il matrimonio era il mio. E quella copertina era nient’altro che il velo della sposa!
Ogni lettura è uno sposalizio
Ogni lettura è uno sposalizio. Si diventa una cosa sola. L’unione dell’uomo alla parola è qualcosa che, tra queste righe, non può essere solo una metafora poetica. L’esigenza diventa mistica, perché non si capirà mai fino a che punto sia sacro leggere! Fino a che punto, cioè, quella strana voglia che ci prende quando desideriamo far nostro un libro, altro non sia se non il genetico ritorno ad una necessità di origine. L’uomo cerca sempre, in mezzo alle parole, la Parola che lo ha creato.
Il titolo del primo capitolo, che qui non riferisco affinché sia solleticata ogni possibile curiosità, mi fece immediatamente provare un sentimento di stima nei confronti dell’autrice, per la scelta coraggiosa di due parole che non erano lì solo il perimetro di un’idea che si sarebbe poi sviluppata tra un paragrafo e l’altro di quel capitolo, ma una dichiarazione oggi più che mai forte. Come a dire: con buona pace di tutti, noi scegliamo di cominciare così, perché tutto sia chiaro fin dall’inizio.
Ora, probabilmente sono fantasticherie mie, magari tirate su dal fatto che ormai ci si aspetta sempre che ogni testo “si dichiari”. Magari quel titolo altro non è che un titolo. Ma ne converrà la signora Richetti che la parola, una volta consegnata, è soggetta all’interpretazione. In effetti, se così non fosse, che razza di matrimonio sarebbe tra noi ed una lettura? Se tutto ciò che c’è scritto, così com’è scritto, corrispondesse a tutto ciò che c’è da sapere, allora basterebbe una convivenza; non ci sarebbe bisogno di sposare un libro. Diventare una cosa sola con chi si ama è principio ad una conoscenza infinita, altro che punto di arrivo! Non ci si sposa perché ci si conosce (se non giusto un poco), ma per volersi conoscere.
Mondi inesplorati e significati
I capitoli si susseguivano incessanti, mostrandomi mondi fino a quel momento inesplorati. Rivelandomi cose straordinarie che la sintesi di un Occidente sclerotizzato e senza più l’ossigeno del simbolo ha ridotto quasi esclusivamente ad “eventi” dove l’apparire uccide ogni essenza, dove il “segno” muore di crepacuore vedendosi rubare la costola del suo “significato”: il suo fianco, la sua metà! Il libro della Orvieto Richetti, invece, ti riporta ai significati, mediati da una cultura e religiosità millenaria che, se da un lato può essere riconosciuta solo come un preciso “punto di vista”, dall’altro però si afferma oggettivamente come la prova che certe cose, oggi considerate marginali o quasi, fossero un tempo (e per molti ancora oggi sono) di un’importanza radicale.
Un mondo smemorato, che sempre più si è ricavato alibi ritualistici fatti di appariscenza e funzionalità economiche, ha la possibilità di riscoprire la sua infanzia semantica proprio tra quelle pagine, dove il rito è ancora segno, strumento, e non fine all’esaltazione di se stesso. Lì dove, nella sensibilità di una penna attenta e narrativamente scrupolosa, le pagine ti presentano l’Ebraismo come un luogo esistente tra gli spazi e i tempi del mondo, e ti accorgi che il “rito” diviene “mito”, e cioè contenitore sempre fruibile di fondamenti immutabili e strutturanti. Il Popolo chiamato a viaggiare (sia questo viaggio esodo o esilio, diaspora o pellegrinaggio) accompagna e sostiene i propri passi attraverso il mito del gesto unito alla parola, il contributo dell’atto umano che si unisce ad una Mitzvà generante. E in questo mito, che non è mitologia, il Motore Immobile sopravvive a secoli di polvere, continuando a muovere la creazione verso il proprio fine. I suoi movimenti rivivono nei riti, nelle funzioni sacre, nelle liturgie così capaci di manifestare in un’unica epifania tanto il divino quanto l’umano.
Tappe del matrimonio ebraico
Il testo ripercorre dunque le tappe teologiche e liturgiche del matrimonio secondo una tradizione che naturalmente conosce – nelle molteplici differenziazioni geografiche – varianti capaci di raccontarci altrettante storie. Adeguamenti storici di un unico Popolo che, dovendo celebrare lo stesso Mistero ma in luoghi e tempi diversi, si è trovato spesso a doverlo reinterpretare consegnando linguaggi sempre nuovi perché la Parola immutabile potesse parlare ancora.
La Orvieto Richetti ci presenta così il rito come un organismo vivente, capace di ristrutturarsi attraverso i secoli, dove il Dio che benedice le nozze è lo stesso che, in quel momento, si ritrae per creare ancora una volta. Vi è dunque come una Presenza invisibile tra le righe. Il libro parla del matrimonio secondo la tradizione ebraica e, contemporaneamente, questa tradizione annunzia la propria origine, presenta il proprio Sposo.
Un testo essenziale ma, a suo modo, perfettamente esauriente: pensato non per dirti tutto, ma solo ciò che occorre, ciò che è necessario per comprendere quel “tutto” che mille sposalizi non potrebbero contenere pur essendone segni perfetti. Una lettura da un giorno, ma per tutti gli altri giorni.
Su internet non ho trovato foto dell’autrice, a corredare questo breve articolo. E così ho dovuto lavorare d’immaginazione. Ho dovuto pensare alla signora Enrica come ad una persona distinta, di quelle che accogliendoti in casa ti offrono una fetta di torta insieme ad un buon caffè. E che al tuo minimo accenno ti mostrano subito, con tenera compiacenza, l’album con le foto del matrimonio. Foto di tanti anni fa, ingiallite dal tempo, rischiarate dal senso. E ripercorrendole una ad una con l’indice teso, come le pagine di questo libro, come versetti della Torah, la voce della signora si fa calda di emozioni e ricordi, mentre racconta e ti parla di come fu bello il giorno delle sue nozze. E poi, senza neanche farci caso, comincia a parlare di un matrimonio che non è solo il suo, e di uno Sposo che non si è unito solo a lei, ma a tutto il suo Popolo. E la sua commozione diventa la tua, perché quelle lacrime sono l’album più bello, il più capiente scrigno di qualsivoglia memoria.
Buona lettura a tutti, dunque. E siate felici, tu Lettura, e tu Lettore: la Sposa e lo Sposo. Mazàl tov!
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