Driessen e una corrente che conduce a un mondo sconosciuto

Un’indagine sull’essere umano è al centro dei tre racconti di Martin Michael Driessen riuniti sotto il titolo “Fiumi”. Driessen, scrittore minimale, individua nel fiume la parabola indicativa dell’animo umano e il taglio psicologico dei suoi racconti sospende con limpidezza l’interazione interpersonale…

«L’acqua in tutte le sue forme – in quanto mare, lago, fiume, fonte ecc. – è una delle tipizzazioni più ricorrenti dell’inconscio, così come essa è anche la femminilità lunare che è l’aspetto più intimamente connesso con l’acqua», così scriveva Carl Jung riportando all’acqua, nel suo senso più ampio, quel dialogo esclusivo con la nostra parte più profonda. Di fatto l’indagine dell’essere umano è la via narrata dai tre racconti di Martin Michael Driessen, autore olandese che torna in libreria con Fiumi (170 pagine, 15 euro), pubblicati da Del Vecchio editore.

Un’indagine interiore

Un’indagine interiore è centrale nel primo racconto, dal titolo Fleuve sauvage. Il protagonista che ha una dipendenza irresistibile dall’alcol, è in procinto di partire: navigherà l’Aisne, nella Francia settentrionale, ed è un viaggio nel quale non vuole accompagnarlo nessuno, perché a tutti è chiaro che questo è un viaggio in cui abuserà della sua dipendenza. Eppure quest’uomo, che si mette a nudo di fronte a noi, senza remore, sembra voler affrontare questo viaggio con «la sua volontà di ferro» proprio per porre fine a questa dipendenza: «se si fosse ripromesso di non bere più una goccia, avrebbe tenuto fede a quella parola». Da questo tentativo dipende il suo matrimonio, il rapporto con suo figlio, che volentieri gli presta tenda e canoa, ricevuta in regalo per i suoi sedici anni, ma che non vuole accompagnare suo padre lungo la navigazione fluviale; da questo viaggio dipende anche la stabilità del suo lavoro di attore, ancora una volta la parte di Macbeth è andata a qualcun altro e a lui è toccata quella di Banquo. Una resa dei conti? C’è un vero cambio all’orizzonte? Si tratta di un ultimo viaggio in compagnia della vecchia immagine di sé? «Sia dannato chi per primo grida: basta», dice Macbeth e l’uomo guidato dalla corrente del fiume, lascia che l’acqua lambisca la canoa, osserva il paesaggio staccarsi dal traffico cittadino, cambiare il proprio aspetto ed entrare nella natura più selvaggia, come selvaggio diventerà il fiume, come selvaggio sentirà diventare il proprio animo, perché questo «è un ritorno alle origini […] Ecco il senso della vita nella natura», il fatto che sia preparato a leggere quelle verità così nascoste dentro di sè, non è così scontato. I fiumi, cui si rifà il titolo di questa raccolta, sono per Driessen grandi vie di comunicazione.

Un viaggio di formazione

In Viaggio per la Luna, i fiumi Rodach, Meno e il Reno sono grandi vie che consentono di approdare in Olanda, ma Driessen ci fornisce una lente di ingrandimento attraverso la quale guardare meglio le esistenze che pone al centro dei suoi racconti. I fiumi che vengono battuti dai suoi personaggi sono vie che consentono la comunicazione con se stessi. Le acque, con il loro moto perpetuo, segnano il disfacimento, l’azzeramento di un passato faticoso, l’alleggerimento della memoria, e in un secondo tempo, è sempre dall’acqua, per quanto forza distruttrice, che ricominciano le possibilità della vita. Il rinnovamento che segue lo spostamento dei corpi. Così Konrad, protagonista del secondo racconto, si troverà ad affrontare un vero viaggio di formazione e di iniziazione, quasi si trovasse in quella fase di transizione verso la vita adulta che lo sta attendendo, definitivamente. Il viaggio sul Reno di Konrad, inizia da una prima volta, «per la prima volta il quattordicenne Konrad avrebbe potuto dare una mano a fluitare i tronchi. Indossava la giacca del fratello maggiore, annegato l’estate precedente». La forza dell’acqua trasmette a Konrad l’energia per prendere dimestichezza con la sua vera natura e nel corso del lungo viaggio sul Reno, che Konrad farà con altri manovali al servizio della famiglia Durlacher; il grande fiume, l’isolamento, la promiscuità con gli altri naviganti, l’incertezza del proprio futuro, il sogno di una storia d’amore, metteranno Konrad di fronte ad una navigazione che riconduce ancora una volta alle profondità dell’animo umano, concedendo al giovane poche divagazioni, costringendolo ad assumersi responsabilità non richieste. Konrad potrà ritrovare le proprie sembianze in quell’immagine riflessa con cui al momento non riesce a parlare? Il fiume per sua natura può cambiare il proprio corso, può cambiare sembianze, traiettoria, distanziare mondi avversi come avviene nel terzo canto dell’Inferno della Divina Commedia, in cui Caronte traghetta sul fiume Acheronte, da una sponda all’altra, le anime verso l’Ade. Così Driessen, scrittore minimale, che osserva da vicino la realtà che lo circonda, individua nel fiume la parabola indicativa dell’animo umano, il taglio psicologico dei suoi racconti sospende con limpidezza l’interazione interpersonale, apparentemente la base di una storia, per privilegiare quel rapporto a due, per individuare, quindi, la storia che ci portiamo dentro, la storia che possa narrare al lettore il tribolato bagaglio umano con cui fare pace sembra impossibile, ma che pregiudica il rapporto con l’altro e fa emergere antiche paure e timori nell’affrontare con sfrontatezza pieghe avverse e prove ineludibili.

Due famiglie in guerra

Pierre e Adèle, al centro del terzo racconto, sono cresciuti all’ombra di un fiume, due famiglie, i Corbé e i Chrétien, che non fanno altro che farsi la guerra da anni, angherie secolari lasciate in eredità. «La terra alla destra del torrente apparteneva ai Chrétien, quella alla sinistra ai Corbé: era così da sempre. Le due famiglie si odiavano, e anche il loro odio risaliva alla notte dei tempi. I Corbé erano ugonotti, i Chrétien cattolici. […] Nessun Corbé voleva un vitello da un toro cattolico, nessun Chrétien tollerava che un becco eretico montasse una sua capra». Eppure il fiume silente sembra guardare a queste esistenze consumate dall’odio, in attesa che le scelte fatte, imposte, soffocate, prendano forma e ognuno di loro, guardando dentro se stessi, trovi la chiave con cui far svoltare la propria vita. Così Pierre e Adèle si ritrovano dopo anni ad osservarsi da lontano, nonostante un mediatore interpellato dalle parti l’astio fra le parti non è cessato e i due sono incapaci di vedere in quel fiume che separa le loro terre, l’energia proficua per dare un futuro ai propri figli: «Lei e Pierre Corbé non si scambiavano una parola dal giorno in cui avevano bisticciato lungo il torrente da bambini. A volte lei loro vedeva in lontananza: un uomo tarchiato, con i capelli scuri, che sbrigava le sue faccende e pensava agli affari suoi con una modestia intransigente, dalla quale emanava una specie di forza».

Una scrittura essenziale

La voce dell’autore è «un fiume sinuoso e pacifico che conduce chi lo solca fra paesaggi mutevolissimi e verso esiti imprevisti; ora crudi, ora luminosi, ora dolceamari», scrive il traduttore dell’opera, Stefano Musilli. Una scrittura essenziale, taciturna e limpidissima in cui l’esser umano risponde delle proprie colpe solo a se stesso, lasciandosi sfiorare da quelle acque originarie in cui la vita ebbe il primo scatto d’amore e alle quali pensava anche Jung. In definitiva, Driessen concede ai propri racconti di guardare a esistenze destinate ad una deriva interiore, ad un’attesa di un cambio repentino di corrente, ma una corrente personalissima che conduce ad un mondo sconosciuto e che implica conoscere, prima di tutto, se stessi.

FONTI

www.temenosjunghiano.com in cui citato il passaggio iniziale, tratto a sua volta da: C.G.Jung (1955-1956), “Mysterium coniunctionis”, in Opere, vol XIV, t.2, Torino, Boringhieri, 1990, p. 285.

È possibile acquistare questo volume in libreria o qui

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *