Il nuovo romanzo breve di Dacia Maraini d’ambientazione settecentesca, “Trio”, è ambientato in Sicilia. L’amicizia autentica fra due donne innamorate dello stesso uomo e non solo. In poche pagine si toccano i grandi temi dell’esistenza umana, da un punto di vista prettamente femminile. Un impegno da sempre
Tra le più grandi scrittrici italiane, Dacia Maraini è tornata in libreria con un romanzo breve, Trio. Storia di due amiche, un uomo e la peste a Messina, pubblicato da Rizzoli (pagine 116, euro 16). Ambientato nella Sicilia di Marianna Ucrìa del 1743, narra di un’indissolubile amicizia tra due donne, Agata e Annuzza, nata quando, ancora bambine, hanno imparato l’arte del ricamo in convento. Mentre l’isola è flagellata dalla peste, le due amiche iniziano una fitta corrispondenza, tra i ricordi nostalgici dell’infanzia, lo struggimento per lo stesso uomo, Girolamo, di cui entrambe sono innamorate e l’elogio del sentimento di amicizia che le lega profondamente.
ho ripensato a quel racconto, a quella peste lontana ma vicina per tempo di memoria.
Un’antica quarantena
Nelle prime pagine del libro, rivolgendosi direttamente al lettore, Maraini (l’abbiamo intervistata qui) spiega come è nato il breve romanzo epistolare, a metà degli anni Ottanta, mentre faceva ricerche storiche per la stesura del capolavoro La lunga vita di Marianna Ucrìa. Si è imbattuta nella cronaca della peste di Messina del 1743, causata dall’arrivo di una tartana greca carica di marinai ammalati che furono messi in quarantena, «una parola oggi a noi molto familiare, che deriva proprio da questa pratica di segregare per quaranta giorni le imbarcazioni e i loro equipaggi come misura di prevenzione delle malattie». Una cronaca, un parta di storia messa da parte e riemersa quando a Milano «la gente moriva di una terribile e atroce polmonite» e si diffondeva la parola «pandemia».
Girolamo lo sai, è incerto tra me e te. La moglie da una parte, la migliore amica della moglie dall’altra. Sa che ci scriviamo e che conosciamo i suoi sentimenti, ma sembra non credere alla sincerità della nostra amicizia. Per lui due donne che amano lo stesso uomo non possono che pensare al veleno e al coltello. Come spiegargli che l’amicizia, quella vera, supera la gelosia e fiorisce anche sulle pietre con la forza di una bella e robusta piantina, magari stortarella ma con radici lunghissime? Quando si ama, si desidera il bene dell’amato, non è così? Io desidero il suo bene, ma anche il tuo.
Echi di Cicerone
Leggendo Trio mi è venuto in mente Cicerone e il suo riconoscere il fondamento dell’amicizia nel principio «idem velle idem nolle», cioè «volere le stesse cose e non volere le stesse cose». Agata e Annuzza vogliono lo stesso uomo; allo stesso tempo, non vogliono la stessa cosa, ovvero che l’amore per Girolamo vinca sulla loro amicizia. Ecco, allora, che quel sentimento che le lega diventa una strada, un percorso in cui si fanno scelte comuni. Un’amicizia che, in quanto basata sulla bontà, è vera ed autentica: l’unica in grado di volere il bene dell’altra.
Un elogio dell’amicizia che ricorda in qualche modo il dialogo di Cicerone Laelius de amicitia, più noto come De amicitia (Sull’amicizia), scritto nel 44 a.C. e dedicato all’amico Attico. Un bene sommo, un dono incommensurabile che, nella visione di Dacia Maraini, acquista ancora più valore quando unisce donne. Quella tra Agata e Annuzza più forte dell’amore perché è eterna, al contrario dell’altro sentimento, fragile e destinato a morire. «Sarà la nostra amicizia nella sua gioiosa sacralità a trattenermi sulla soglia del dolore e della gelosia», si legge. La solidarietà diventa l’anello di congiunzione tra due spiriti diversi.
In realtà, ora che ci penso, tutto era proibito a noi bambine. Madre e padre erano lì a spiarci e controllarci. Ma con la connivenza di auguste Pérignon, ce la squagliavamo e facevamo quello che volevamo, che poi era giocare a palla e leggere libri
La condizione femminile
Sebbene la sua attività sia intensa e multiforme, l’autrice pone al centro della sua scrittura la condizione femminile, affrontandola sotto punti di vista che sono sempre diversi, unici: dall’autobiografia al teatro sperimentale, dai romanzi di ambientazione contemporanea a quelli ambientati nel Settecento. Scrivere, quindi, è dar voce alle donne, al loro bisogno insopprimibile di emanciparsi, di diventare libere e forti. Ciò le è valso l’epiteto di “scrittrice realista”, come la definì Moravia. Un impegno per rivendicare i diritti delle donne, soprattutto nel mondo della letteratura e della cultura. Anche nel suo ultimo breve romanzo, non mancano spunti per riflettere sul rapporto che, da sempre, le donne intrattengono con la letteratura, un mondo spesso poco accessibile per il sesso femminile. Nelle lettere che si scambiano, le due amiche parlano di libri di autori francesi e spagnoli, dell’amore per la lettura (“mi è subito piaciuto il tuo amore per i libri, che condivido”, scrive Agata ad Annuzza), dei ricordi d’infanzia legati a tale amore (“Ti ricordi come ci coricavamo sotto il tiglio, sull’erba fresca a leggere Molière?”), dei romanzi proibiti a cui non potevano assolutamente accedere. Qui si annida il germe della disobbedienza femminile, tema molto caro alla Maraini (basti ricordare uno dei suoi più recenti libri, “Chiara di Assisi. Elogio della disobbedienza”). Un tentativo di ribellarsi alle convenzioni di un’epoca declinata al maschile che vuole la donna incapace di pensare con la propria testa.
Dacia Maraini ci regala un libro intenso e delicato: in 100 pagine sono racchiusi i più grandi temi che toccano l’esistenza umana, dall’amore all’amicizia, da un punto di vista prettamente femminile. Ancora una volta, ci dimostra quanto forti sanno essere le donne.
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