In “Sette opere di misericordia” torna il talento di Piera Ventre. Protagonista una famiglia napoletana. Una storia che entra dentro, conquista e disvela quei “buchi neri” dell’esistenza che non sempre sono distruttori, spesso hanno il potere di creare nuove stelle attraverso la concentrazione gravitazionale di masse di energia quale l’amore
A destra, un uomo si sporge dalla finestra di una cella e succhia il latte dal seno di una giovane donna. Dietro di lei, un sacerdote illumina con una torcia il trasporto di un cadavere. Al centro, un cavaliere dona parte del suo mantello ad un povero nudo e seduto a terra. Sulla sinistra, un uomo indica la via ad un pellegrino. Dietro di loro poi, un uomo coperto da una tunica beve dell’acqua dalla mandibola di un asino. Infine, in alto, la Madonna e il Bambino osservano la scena, sorretti dalle grandi ali piumate di due angeli e avvolti da un ampio telo bianco. È ciò che si osserva nel dipinto “Sette opere di misericordia” di Caravaggio, risalente al 1607, che rappresenta i precetti cristiani in un’unica scena. Al dipinto, che si trova presso il Pio Monte di Misericordia di Napoli, è ispirato non solo il titolo, ma anche il contenuto del nuovo libro di Piera Ventre, Sette opere di misericordia (415 pagine, 19 euro), pubblicato dalla casa editrice Neri Pozza.
Umanità e senso di disperazione
Nel cuore e nelle viscere della città del Vesuvio, l’autrice “reinterpreta” le opere di misericordia, ovvero le azioni di carità che ogni buon cristiano deve compiere, con una narrazione serrata che ha il particolare pregio non solo di racchiudere in una visione d’insieme diversi personaggi i cui destini sembrano intrecciarsi indissolubilmente, ma anche di tratteggiarne con profonda sensibilità l’umanità e il senso di disperazione che si annida nella vita degli uomini.
Protagonista è la famiglia Imparato la cui casa si affaccia sul cimitero della città perché Cristoforo, padre di Rita e Nicola e marito di Luisa, fa il custode di quel cimitero. Una protesi all’occhio, ovvero una sfera di vetro a ricoprire un buco lasciato da una scheggia di granata, gli ha permesso di diventare camposantiere, sebbene la vita di prima fosse molto più soddisfacente. Impiegato in una tipografia, era riuscito ad avere persino un paio di stanzucce a Materdei, un quartiere al centro della città. Ma poi, fallita la tipografia, l’esistenza sua, della moglie e dei figli, è cambiata e di certo non in meglio. Da quel momento, nei fossi scavati per tumulare i morti ha seppellito anche i dispiaceri, le delusioni, le frustrazioni. Ad animare la vita quotidiana arrivano Rosaria, una ragazza amica di Rita che, rimasta incinta, trova asilo presso la famiglia Imparato, e Nino, il giovane dal nome corto, il figlio del compare di nozze di Cristoforo e Luisa, ospitato in casa prima di trasferirsi in Germania.
Alfredino…
In quella estate del 1981, in ciascuno dei personaggi che si delineano lungo il racconto la misericordia s’intreccia saldamente con il castigo. Non a caso, forse, ogni capitolo del romanzo corrisponde ad una delle sette opere di misericordia raffigurate sulla tela di Caravaggio: “Dar da mangiare agli affamati”, “Dar da bere agli assetati”, “Vestire gli ignudi”, “Ospitare i pellegrini”, “Curare gli infermi”, “Visitare i carcerati” e l’ultimo, “Seppellire i morti”, il più toccante e struggente di tutti che racconta la quotidianità della famiglia Imparato stravolta da una notizia, realmente accaduta in quel lontano giugno 1981: la vicenda di Alfredino Rampi, di appena sei anni, caduto nel pozzo artesiano di Vermicino in seguito alla quale perse la vita dopo estenuanti tentativi di tirarlo fuori. Un tragico incidente, una tragedia per cui la Ventre sente l’impellente necessità di ripercorrere l’impotenza e la disperazione che ha attanagliato l’intera Italia in quelle lunghe ore di attesa, regalandoci pagine emozionanti e dense di umanità che non possono che restare indelebili nell’animo del lettore. La sofferenza vissuta in quei giorni “rivive” nell’apprensione di Cristoforo per Alfredino, nelle lacrime di Luisa e nell’inquietudine di Nicola che non si stacca dal televisore perché aspetta il momento in cui il suo coetaneo verrà tirato fuori.
… e Nicola
Sofferenze che si sommano ad altre sofferenze, alla misericordia che deriva da due parole latine, miserere, che significa avere pietà, e cor/cordis, che significa cuore. Un sentimento che ci fa provare compassione dinanzi all’altrui infelicità e, chi legge, non può che provarlo per la miseria che si respira in questa storia, per la fragilità delle fasce più deboli e di una parte di società rimasta ai margini. Non può che non provarlo per Nicola, un bimbo che sembra malfermo sulle proprie gambe, che inciampa e si fa male e tende le braccia verso i genitori per avere conforto. Se Piera Ventre dimostra tutta la sua bravura nel tracciare i caratteri e la personalità dei protagonisti di Sette opere di misericordia, è tratteggiando Nicola, uno dei personaggi più potenti e riusciti, che dà tutta se stessa: particolarmente sensibile, anche lui con un occhio “pazzerello” che lo costringe a portare una benda sull’occhio “buono”, amante della luna che osserva con il suo telescopio, è l’unico che sembra aver capito il mondo seppur non possa vantare da questo punto di vista una reciprocità; è cresciuto in fretta, chiuso nel bozzolo della sua sensibilità. Come non volergli bene?
E se guardava verso la finestra non era certo per guardare l’asino volare: lui cercava la luna perché, in alcuni giorni, se ne poteva vedere uno spicchio persino di mattina, soprattutto nelle fasi di crescenza e per gli angoli di incidenza dei raggi solari
I misteri dell’animo umano
In questo straordinario affresco di umanità, le opere di misericordia emergono tutte: c’è chi si spinge a soccorrere chi sta male, chi accoglie, chi muove le gambe per andare incontro a chi ha bisogno di sostegno. Misericordia, il “sentimento più esigente”, che insegna anche a perdonare chi sbaglia perché proviene dal profondo, «ma che non si limita a un sentire. Ci fa agire».
Un romanzo potente. Una scrittura densa, ricca, che mostra il talento di Piera Ventre nel padroneggiare sapientemente la lingua italiana e nel tratteggiare con sensibilità e profondità i personaggi, in un vortice di sensazioni ed emozioni che non lasciano indifferenti. Una storia che entra dentro, conquista e disvela i misteri dell’animo umano, quei “buchi neri” dell’esistenza che non sempre sono distruttori, spesso hanno il potere di creare nuove stelle attraverso la concentrazione gravitazionale di masse di energia quale l’amore.
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