“Io sono il mare”, debutto di Caterina Mazzucato sa di salmastro e blu, dove un racconto terrestre e drammatico si svolge nell’arco narrativo segnalato da un’immersione sott’acqua. Un sub alla ricerca del cadavere di una ragazza e di una via per uscire dai propri mostri interiori ‘
Può un romanzo durare il tempo di un’immersione in mare e restituire, insieme, il senso di un’intera storia umana e la vertigine di un’indagine che guarda al passato ancestrale della vita sul pianeta, originata proprio in acqua? È quanto riesce a fare, con una formula narrativa molto particolare e un intarsio prezioso di storie marine Caterina Mazzucato, che esordisce per Il Saggiatore con il suo romanzo Io sono il mare (240 pagine, 19 euro).
Pianeta d’acqua
Una ragazzina adolescente è morta cadendo dalla scogliera e precipitando in acqua: nessuno ha trovato il corpo, il fatto ha destato scalpore in paese e, temendo che presto scivoli via dalle memorie, il protagonista di questo romanzo decide di immergersi per ritrovarlo. Un’operazione di salvataggio estremo che, tuttavia, marca un passaggio all’allegoria che in fondo questa storia sottintende. L’operazione di recupero del corpo è infatti una trama che si divide in tre fasi: discesa, fondo, rinascita, e che più che mirata a uno scopo pratico diventerà una via per uscire dai propri mostri interiori, un modo per toccare il dolore più estremo – la morte – e ritrovare nuovo spazio in superficie.
Insieme al protagonista, esperto sub e appassionato di biologia marina, ci tuffiamo dal gommone e iniziamo una discesa nel blu, nel pianeta d’acqua. È come fare ingresso in un mondo opposto a quello terrestre, dove molte cose si capovolgono e, per esempio, è necessario ascoltare il rumore del proprio respiro e gettare un filo di arianna per ritrovarsi. Dentro questo pianeta che ha tutte le gradazioni del blu ed è infinito e silenzioso, ci troviamo a tu per tu con la voce narrante che, costretta dalla lentezza dei movimenti e da quel mondo “alieno e cangiante” che si stringe intorno, ripercorre le tappe di una storia d’amore finita con una doppia perdita.
Dentro un codice personale blu come il mare, fatto di avventure, conchiglie, animali e altre allegorie, il sub elabora il suo personale lutto cercando un cadavere che non conosce. Il riscatto è una ricerca che si apre a più livelli, da quello materiale a quello metaforico che include la ricerca del sé attraverso l’acqua, i relitti affondati, le cose da riportare in superficie, gli incubi sottomarini dai quali non farsi mordere. Una discesa dolorosa, che riapre antiche ferite e tuttavia è un passaggio obbligato.
Il fondale dell’anima
«Ho lasciato tutto per stare il più possibile dentro al mare» svelerà il protagonista che, dopo la lenta discesa e il saldo controllo del proprio corpo e delle attrezzature subacquee, approda sul fondo a cinquanta metri. L’abisso: quello del mare, mondo sconosciuto e ricco di vite che ci sono spesso estranee e che raccontano dell’evoluzione, ma anche quello dell’anima, il cuore dove pulsa il dolore non risolto. È lì che nuotano le amarezze, i rancori irrisolti, ed è lì che ogni vulnerabilità si fa autentico pericolo di vita. Non c’è scampo nei meandri del mare, e il protagonista lo sa.
Mentre approda alla parte più dolorosa della sua storia d’amore ripercorsa come in un film, dall’inizio felice, dalla passione al desiderio di famiglia e di futuro, fino al finale tragico di perdita e impossibilità di accettare e arrendersi davanti alla fine, il sub si troverà di fronte alla morte stessa, e dovrà tenere i nervi saldi, non farsi spaventare, ritrovare la via d’uscita. È forse la parte del romanzo più misteriosa e pregna di un fascino macabro che tuttavia, interpretato in chiave biologica – tutto è vita e mistero della vita, in mare – potrà essere reinterpretato come ciclo naturale: mare che accoglie, mare che spaventa, vita che a volte è meglio lasciar andare, vita da riportare a galla.
Un viaggio lungo un’immersione
Io sono il mare di Caterina Mazzucato è un libro che sa di salmastro e blu, dove un racconto terrestre e drammatico si svolge nell’arco narrativo segnalato da un’immersione sott’acqua. È tutto dentro al mare: il protagonista che scende, ripercorre, cerca e risale, ma anche le creature, le mitologie e le storie con cui intreccia il filo dei ricordi nella processione all’indietro che ci restituisce la sua storia.
Ci sono così episodi marinareschi che evocano vecchi palombari, epiche saghe di faristi, e poi il rituale feroce della mattanza nella tonnara, e ancora la magia quasi esoterica e senza tempo dell’intessitrice di bisso, il filamento della pinna nobilis, un animale marino oggi protetto. Tanta è la biologia dentro questo romanzo dove a fianco al protagonista nuotano pesci di ogni tipo, animali marini che rappresentano talvolta gioielli evoluzionistici e macchine di vita sofisticate, dove ondeggiano le praterie di piante marine, le posidonie, che non sono alghe e sono strisciate in mare come fecero i progenitori dei cetacei, oggi trasformati in animali malinconici che tornano alla superficie per respirare. È un mondo di fascino senza tempo: negli abissi le regole della terra non valgono più, e così gli spazi e i tempi, ed è solo un inganno umano vedere piangere una tartaruga, o intuire bagliori nelle fosforescenze e luminescenze emesse dagli animali per fare luce.
Dalle prime cellule che il pianeta ha saputo accogliere all’uomo: il mistero della vita racchiuso in un’immersione che si addentra nelle grotte sottomarine e interiori proprio per fare luce sui fallimenti umani e sul mare stesso. Fino a che le due dimensioni finiranno per coincidere, finché l’acqua salata non scorrerà nelle vene facendo dire “io sono il mare”. Un romanzo, quello di Caterina Mazzucato, di profondo fascino, e un meraviglioso e insieme inquietante viaggio nelle profondità dell’uomo e del mare.