“Duce truce” di Alberto Vacca è una cartina di tornasole in chiave umoristica del risentimento e dell’intolleranza per Mussolini e il regime fascista accumulata nel corso degli anni e progressivamente sempre da più ampie fasce della popolazione. Un volume spassoso ma anche un importante documento storico. Alcuni passi in un audio che vi proponiamo
Leggere può anche essere, deve anche essere puro spasso e divertimento. Che questo poi scaturisca da un volume, di difficile catalogazione e già abbastanza datato, da Castelvecchi del 2011, di Alberto Vacca, attento studioso del periodo fascista, dal titolo Duce Truce (titolo già tutto un programma), sottotitolo Insulti, barzellette, caricature: l’opposizione popolare al fascismo nei rapporti segreti dei Prefetti e che parla di drammatici eventi quali quelli del ventennio, è una specie di nemesi letteraria che mette fra parentesi uno dei periodi più bui della nostra storia, la quale viene incorniciata e metabolizzata in questo caso con una liberatoria risata.
Le denunce grottesche
La fenomenologia del riso che Pirandello riscontra nel “sentimento d’avvertimento del contrario”, può benissimo essere applicata al volume di Vacca che lungi dall’apparire schematico, ripetitivo, per la sua stessa struttura, si tratta di documenti storici ripescati dall’Archivio di Stato e inerenti alle denunce presentate dai Prefetti durante gli anni del Fascismo, mostra proprio il contrasto fra il grottesco di tali denunce esposte con il linguaggio burocratico, affettato e straniante del Regime e la spregiudicatezza e impulsività carica di risentimento e odio verso lo stesso da parte di comuni cittadini, bambini e anziani compresi.
Sul ridere leggendo gli esempi potrebbero essere innumerevoli. Mi sento di citare a scopo meramente esemplificativo gli stranianti bozzetti di Daniil Charms, le Tragedie in due battute di Achille Campanile, Flaiano tutto, gli aforismi di Kraus, i limerick di Edward Lear e perché no, mettiamoci anche qualche bel romanzo di David Sedaris. Tutto ciò è catarchico, liberatorio appunto.
Nel caso di questo spassoso volume, ma anche importante documento storico, gli effetti stranianti si hanno spesso con la comicità involontaria dell’implacabile furia del fascismo contro i suoi critici, una vera e propria guerra civile combattuta dagli organi del Regime contro gente comune e contro la di loro dissacratoria opera di resistenza e demolizione per mezzo del dileggio, insulti, barzellette, sfregi, parodie.
Il comico in questo caso non è frutto della debordante inventiva dei grandi umoristi, ma nella reazione e insofferenza che travalica i timori della repressione e della punizione, da parte di operai, casalinghe, braccianti, prostitute, studenti, verso un regime oppressivo e fautore di ingiustizie e povertà, eppure l’effetto anche se in modo involontario è lo stesso.
Il catalogo è questo
Il libro è diviso in sezioni a seconda del tipo di offese e ingiurie arrecate al Duce e al Regime, con conseguenti rapporti dei Prefetti e relativa denuncia e provvedimento. Vi sarà quindi una sezione relativa alle frasi offensive contro il Duce, una relativa alle fantasie omicide e aggressive verso di lui, una di maledizioni e imprecazioni, una relativa agli insulti alla sua immagine, un’altra con gli episodi di sfregio alla sua effigie, e un vasto compendio di barzellette, battute e parodie.
Di seguito dei breve assaggi pescati a caso fra le varie tipologie, per capirne il tenore:
“Quando il Duce si affaccerà al balcone per pronunciare al popolo decisioni sarebbe meglio che il balcone crollasse”
Quando ti decidi, Duce a fare il viaggio che non ha ritorno? Sui muri di una stazione ferroviaria che avrebbe visto il passaggio di Mussolini
Sarebbe ora che… mettessero una bomba da centomila tonnellate su quel testone così andrebbe in fumo e tutto sarebbe finito.
Se sapessi che non mi vedrebbe nessuno prenderei un chiodo da cantiere e glielo pianterei nella testa e così si starebbe bene tutti
Mi mangerei il cuore di Mussolini in mezzo al pane perché mi fa pagare la tassa sul celibato, che è ingiusta
Viva l’Italia, Viva Roma ma non comandata da quella brutta persona che merita essere mangiata dalle formiche e dalle zanzare, l’ha fatta la borsa grossa il birbaccione
Andè alla malora, voialtre e Mussolini e el quadro che gavè appiccicato al muro
Vada alla latrina e si faccia fotografare anche il buco del culo (parlando della presenza iconografica asfissiante del Duce ovunque)
Quando Mussolini si accinge a parlare per fare il discorso, vorrei che gli si spezzasse la lingua e diventasse muto
Il duce ha una faccia da fagioli e da patate
Abbasso il pagliaccio di Palazzo Venezia (un’istantanea che ha anche un bel ritmo)
Il Duce non potrà mai vincere la guerra perché in testa ha solo della segatura
Cosa vuoi andare a fare in Abissina a prendere il Negus che il Negus l’abbiamo qui in Italia?
Alla fine dei conti il Duce non è che un caporale dei bersaglieri e vuole comandare il mondo
Napoleone aveva gli speroni d’oro e lui non li ha nemmeno di carta
Mussolini voleva fare dell’Italia una grande cosa e ne ha fatto una grande cacata
Se il Duce fosse nato cento anni or sono sarebbe stato meglio… perché a quest’ora sarebbe già morto.
Ci vorrebbe che la vedova di Franco scrivesse a Donna Rachele Mussolini che suo marito è morto al funerale di Hitler
Un tale… decideva di recarsi a Roma per uccidere il Duce, ma, giunto nella Capitale… gli agenti di Ps avrebbero risposto: Ebbene mettetevi in coda
Benito veglia, Vittorio dorme e l’Italia ha fame
Giovinezza, Giovinezza, è una merdezza; Mussolini è una schifezza
Munito di barattolo che aveva riempito di sterco ed orina e di un pennello imbrattò tutti gli stampi riproducenti l’effigie di S.E. il capo del Governo (Sulla lapidarietà delle denunce dei Prefetti)
Mentre dal Film LUCE veniva riprodotto un discorso di S.E. il Capo del Governo, si udiva un rumore sconcio emesso dalla bocca (sul non chiamar le cose con il proprio nome, in questo caso la denuncia raccolta a seguito di una pernacchia udita nella sala cinema dove veniva proiettato un cinegiornale il Duce che parlava.
Afferrava il quadro del Duce lanciandolo sulla pubblica via
Asportava con una lametta di rasoio “Gillett”, gli occhi da una effigie del Duce (sembra che le mutilazioni alla sua immagine fossero molto in voga)
“Celerissime” indagini e dissacrazione del mito
Questi sono solo alcuni dei titoli dei paragrafi, all’interno dei quali vengono sviscerati i dettagli delle “celerissime” indagini per le “offese al Duce” a seguito delle segnalazioni ricevute dai Prefetti, spesso ricevute da altri semplici cittadini, o altre volte da camicie nere, o da semplici simpatizzanti del Regime, i delatori, la micidiale macchina di controllo del Regime. Tutti potevano essere ascoltati e denunciati, in una piazza, fra gli avventori di un bar, in un’osteria, in un clima dove sembra che tutti spiassero tutti. Nella dissacrazione del mito del Duce si registra che il più alto numero di offese fu registrato proprio nelle osterie e nelle trattorie a testimonianza dell’avversione popolare, tramite la ridicolizzazione, l’irrisione e il disprezzo, partendo dai tratti fisici, enfatizzando la sua calvizie e la pinguedine, per passare alle sue qualità morali e alle sue stesse capacità di politico e condottiero.
A queste seguono i grotteschi interrogatori conditi dal linguaggio burocratico degli organi di controllo, le risibili deposizioni di testimoni, le varie accuse e reati contestati, fra le quali quella peculiare e iconica del ventennio di “disfattismo politico”, e i relativi provvedimenti suggeriti dai Prefetti al Ministero dell’Interno, cioè al Duce stesso, dall’arresto al confino, dall’ammonizione alla diffida.
Al fatto in esame e all’accusa segue l’interrogatorio con possibile ritrattazione dell’accusato che a sua discolpa può accampare le scuse più bislacche o simulare nel momento dell’evento stati di alterazione mentale o ubriachezza, con le testimonianze dei delatori che in alcuni casi possono apparire dubbiosi su come gli eventi da loro stessi denunciati si siano realmente svolti, in pratica ritrattando anche loro, il che aumenta ancora l’effetto comico.
In alcuni casi questi verbali hanno una forma telegrafica e l’effetto è ancora più straniante come nel caso riferito di un tozzo di pane tirato in una trattoria verso un quadro che raffigura il Duce ove la trascrizione del verbale prefettizio recita: Inviato PS sul posto per maggiori accertamenti et identificazione responsabili. Riservomi.
Infine la sentenza e i provvedimenti, che in alcuni (rari) casi sfociano in un nulla di fatto e in un atto di clemenza.
Il turpiloquio non sarà mai un genere letterario, benché le parolacce, il gusto del mordace, lo sberleffo, l’invettiva, siano da sempre le migliori armi delle quali la satira si serve per riportare sulla terra il potere, abbattendolo con una risata. In questo caso la contestualizzazione di tali insulti, barzellette e offese, in un testo che ha per oggetto il drammatico periodo storico in questione ha sicuramente un effetto deflagrante. Sono poco più di trecento pagine che corrono via con leggerezza e con il sorriso sulle labbra, pur trattandosi di un documento molto interessante su un drammatico periodo storico, documento che può essere studiato anche da un punto di vista linguistico e antropologico, frutto di una certosina ricerca da parte dell’autore su una ricchissima fonte documentale come testimoniato dall’ampia bibliografia, una cartina di tornasole in chiave umoristica del risentimento e dell’intolleranza accumulata nel corso degli anni e progressivamente sempre da più ampie fasce della popolazione, fino alla catastrofe della guerra, verso un personaggio storico e un odioso regime fondato sulla sopraffazione, la violenza e la cancellazione di qualsiasi voce di dissenso. Un disprezzo che pure il Regime tenterà fino all’ultimo di soffocare, pure negli anni della guerra, con quelle prassi e cose burocratiche atte a tenere l’ordine, anche quando ormai nessuno vi riuscirà, perché poco dopo arriveranno gli americani, gli inglesi, e tanti altri, il popolo italiano resistente soprattutto e i partigiani, quando finalmente il Regime sarà al suo collasso e tutta quell’ironia e quella rabbia repressa potrà esplodere in canti e urla di liberazione.
Dalla prefazione di Vito Tartamella, giornalista scientifico, scrittore e docente universitario, già autore di un interessante volume sul turpiloquio dal titolo Parolacce, verso il quale l’autore di Duce Truce confesserà il suo debito nella stesura di questo prezioso e godibilissimo volume, possiamo prendere un estratto che è forse la più illuminante frase per ogni tempo e valida quindi non solo quale epitaffio per questo volume. È una frase di Michail Bachtin per il quale: “Il riso – e le pernacchie, le caricature, le parolacce – “abbassando” i potenti, riportano l’equilibrio nella comunità”.
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In questo audio su Youtube vi proponiamo alcuni brani del libro, rielaborati da Simone Bachechi, e interpretati dal fiorentino Enrico Stiaccini. Stiaccini ha da sempre avuto una spontanea e naturale disposizione per il teatro e la recitazione. Si è cimentato in diverse produzioni di vario genere (prosa, teatro vernacolo, operette e concerti) nel teatro fiorentino a partire dagli anni 1990 e tuttora, seppure in maniera saltuaria, continua a svolgere una qualche attività sia come attore che come cantante. Bibliofilo, appassionato dell’arte del dire e del pensare produce anche dei brevi video sul suo canale di YouTube per mero diletto e come arricchimento della fantasia.