Haruf, due solitudini e una giusta causa per non arrendersi

Ne “Le nostre anime di notte” Kent Haruf descrive l’incontro di due anime che nulla chiedono se non scaldarsi vicendevolmente prima di morire. I lettori tornano a Holt e scoprono un uomo e una donna che riescono a riappropriarsi della vita, a ritrovare in una confidenza dolce, casta, quella quotidianità notturna che assume le sembianze della felicità

Una delicata storia d’amore. E di compagnia. Ma non solo questo. No, probabilmente no. Ne Le nostre anime di notte (171 pagine, 17 euro) di Kent Haruf, edito da NN editore nella traduzione di Fabio Cremonesi, a veleggiare in ogni pagina è la solitudine. O meglio, le solitudini, quelle di Addie Moore e Louis Waters, due anziani rimasti vedovi i quali, soli in una vita da cui non sembrano aspettarsi più nulla, ad un certo punto si incastrano per riempire i rispettivi vuoti.

Sfidando le convenzioni

Un bel giorno, infatti, sfidando le convenzioni sociali e il freddo interminabile delle notti di Holt, decidono di avvicinarsi e di condividere la propria intimità per tenersi la mano, parlarsi, ricominciare ad emozionarsi. Pare impossibile, tutto è contro di loro, persino i familiari, ciononostante ci riescono. Riescono a riappropriarsi ognuno della sua esistenza e a ritrovare in una confidenza dolce, casta, affettuosa quel calore perso, quella quotidianità notturna che assume le sembianze della felicità.

Scaldarsi prima di morire

Con la sua consueta sofficità, Kent Haruf descrive l’incontro di due anime che nulla chiedono se non scaldarsi vicendevolmente prima di morire. Come sempre i libri di Haruf paiono progettati e scritti per addolcire le sensazioni del lettore: anche in questa storia pennellate morbide e leggere descriveranno lo spirito degli uomini che, nonostante gli anni, cercano sempre un proprio riscatto, un motivo per andare avanti, una giusta causa per non arrendersi mai.

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