“Wuhan. Diari da una città chiusa” è il libro con cui la scrittrice Fang Fang racconta l’assedio del Coronavirus alla metropoli cinese. Un diario attualissimo di timori e speranze, un messaggio globale, una lezione all’arroganza dell’umanità…
Wuhan come Hiroshima, luoghi-simbolo della tragedia. Una testimonia gli orrori della Seconda Guerra Mondiale e del “secolo breve”, l’altra raccoglie le lacrime della “Prima Paura Mondiale” in questa strana alba del nuovo millennio. A raccontare l’Assedio del Covid nella metropoli cinese è stata la scrittrice Fang Fang che giornalmente ha affidato a Internet timori, notizie, suggestioni, speranze in pagine raccolte adesso nel libro Wuhan. Diari da una città chiusa (400 pagine, 15,90 euro), edito da Rizzoli nella traduzione di Caterina Chiappa. La sua voce nasce in Asia, ma quelle parole potrebbero tranquillamente giungere da qualsiasi angolo del pianeta che soffoca. Il Coronavirus è globale.
La rabbia, le colpe
Ha avuto coraggio, Fang Fang. Non è facile rendere pubblica l’ira dei cittadini in un Paese sotto censura. Lei, molto nota in patria ma pochissimo in Italia (nel 2001 Garzanti aveva pubblicato “Il sole del crepuscolo”, poi più nulla), ha sfidato il regime: «Comportamenti abituali – ha scritto – come divulgare le buone notizie e nascondere le cattive, proibire alle persone di dire la verità, impedire al popolo di comprendere la realtà degli eventi ed esprimere disprezzo per la vita umana hanno condotto a rappresaglie di massa contro la nostra società … Tutto questo, a sua volta, ha costretto Wuhan a una quarantena di settantasei giorni, con conseguenze che hanno danneggiato un grande numero di persone. Dobbiamo a tutti i costi continuare a lottare, finché tutti non si saranno presi le proprie responsabilità». Sbagliato, comunque, confinare la questione alla sola Cina: «Il nuovo coronavirus non ha dato una lezione alla Cina, l’ha data a tutto il mondo; ha educato l’umanità. La lezione è: il genere umano non può più permettersi di essere arrogante; non possiamo più credere di essere il centro del mondo, non possiamo pensare di essere invincibili e non possiamo più sottovalutare la potenza distruttiva delle cose più infime come lo è un virus. L’unico modo per combatterlo e liberarci dalla sua morsa è farlo tutti insieme».
Sveglia!
La minaccia riguarda tutti. L’appello dell’artista anche: «Questa epidemia è il risultato di vari fattori. Il virus non è l’unico nemico. Noi stessi siamo nostri nemici in questa battaglia, o perlomeno siamo complici del crimine… Nonostante nel 2003 tutti noi abbiamo vissuto l’epidemia di SARS, a quanto pare abbiamo dimenticato in fretta la lezione che avremmo dovuto trarne; ora che siamo nel 2020, ce ne dimenticheremo di nuovo? Il male è sempre in agguato, se non restiamo vigili ci catturerà di nuovo e ci torturerà finché finalmente ci sveglieremo. La vera domanda è: Vogliamo davvero svegliarci?». I nemici di ieri si sono ritrovati sulla stessa trincea: «Oggi pomeriggio ho visto la foto di alcune donazioni pro venienti dal Giappone. Sui pacchi erano stampati due versi tratti da un’antica poesia cinese: “Pur se una montagna ci separa, condividiamo le stesse nuvole e la stessa pioggia / La luna che brilla appartiene al mio villaggio e al tuo“. Ero commossa».
Lezioni da Wuhan
Fang Fang parla anche a noi: «In questo momento Wuhan si trova nel bel mezzo di una catastrofe. Vi chiedete cos’è una catastrofe? Di certo non consiste nell’obbligo di indossare una mascherina, né nel dover stare in quarantena a casa o nel dover mostrare un permesso ufficiale per accedere a determinate aree. Una catastrofe è quando un ospedale nel giro di due giorni riempie un intero fascicolo di certificati di morte, mentre di solito impiega alcuni mesi. Una catastrofe è quando il carro funebre che trasporta i cadaveri al forno crematorio, invece di caricare una singola bara carica un mucchio di corpi chiusi nei sacchi. Una catastrofe non è quando uno dei tuoi famigliari muore, ma quando un’intera famiglia viene spazzata via nel giro di alcuni giorni o settimane. Una catastrofe è quando, in una fredda giornata di pioggia, trascini il tuo corpo malato da un ospedale all’altro, in cerca di un posto che ti possa offrire un letto, ma non ne trovi neanche uno». E infine: «Va detto che il grado di civiltà di un Paese non si misura dall’altezza dei suoi grattacieli o dalla velocità delle sue macchine, né importa quanto siano evolute le sue armi o quanto sia potente il suo esercito, né tantomeno quanto sia avanzata la sua tecnologia o quali successi abbia ottenuto in campo artistico, e non dipende nemmeno da quanto sono sfarzose le riunioni di governo o dalla spettacolarità dei fuochi d’artificio, né dal numero di persone ricche che girano il mondo per turismo. C’è un solo modo per misurarlo, ed è come vengono trattati i più deboli e vulnerabili della società».
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