Sciascia e l’amata Parigi, dove si respira aria di libertà

In “Parigi”, volumetto a tiratura limitata, alcune foto scattate da Ferdinando Scianna, accompagnano quattro articoli di Leonardo Sciascia sulla città che considerava una seconda patria: lo affascinavano l’illuminismo, l’atmosfera e il melting pot di culture. Ma inevitabilmente anche in Francia osservava tracce siciliane…

Parigi, o cara. Finestra sul mondo e teatro della memoria, tra «aria di libertà» e librerie leggendarie. Mai stata una città qualunque per Leonardo Sciascia. Innamorato della capitale francese, del «triangolo che sta tra la rue de Bourgogne, il Louvre e il Lussemburgo», vi soggiornava a caccia di emozioni letterarie, imbevuto di cultura transalpina, della passione per gli illuministi ma non solo, amatissimo a quelle latitudini, negli anni Settanta e Ottanta, e dopo la sua scomparsa. Sentimenti ricambiati che affioravano nelle sue opere (l’omaggio più smaccato in Candido, ovvero un sogno fatto in Sicilia, romanzo del 1977 che a Parigi si conclude) e che sono stati oggetto nei decenni di saggi, convegni, mostre. Non è un caso che tra le iniziative per il trentennale della sua scomparsa, lo scorso novembre, si sia celebrata una tre giorni parigina, all’Istituto Italiano di Cultura il 21 e 22 novembre, e il 23 alla Sorbona sul tema “Sciascia francese: la percezione dello scrittore nella cultura d’oltralpe”.

Roba da collezionisti

L’inesausta magia parigina che lo ammaliava è resa dallo stesso Sciascia anche in scritti d’occasione e articoli. Quattro di questi, risalenti agli anni Cinquanta e Sessanta, tornano disponibili in un unico volume grazie alle edizioni Henry Beyle, con base a Milano ma anima siciliana, perché il proprietario Vincenzo Campo è nato nell’Isola. Il volumetto è in linea con la linea di Henry Beyle, che stampa… pochi libri di piccolo formato per pochi. Di Parigi (84 pagine, 30 o 35 euro) – curato da Paolo Squillacioti e contenente nove foto del bagherese Ferdinando Scianna, amico fraterno di Sciascia – oltre all’edizione standard è in commercio una versione esclusiva, che costa 475 euro: roba da collezionisti, appena cinquanta esemplari, numerati da 1 a 50, con una fotografia originale di Ferdinando Scianna, stampata su carta cotone e firmata dall’artista.

Quella volta con Consolo a Barbès…

In un volume di qualche anno fa, che raccoglieva gli atti di una giornata di studi tenutasi a Parigi il 9 novembre 2009 (Sciascia e Parigi. Lo scrittore nella città, a cura di Giorgio Longo, Passim editore) Vincenzo Consolo, a proposito dell’amico e maestro Sciascia e del suo rapporto con la Francia e con la ville lumiere, raccontava: «Una volta camminando, credo a Barbès, con Sciascia abbiamo incrociato una schiera di arabi e Sciascia mi disse “guarda che belle facce di siciliani…”, anche se sapeva benissimo che si trattava di arabi; lui aveva un grande amore per le matrici arabe della Sicilia, e ritrovarle a Parigi… credo lo affascinasse. La Francia ha avuto da sempre la multi-cultura… credo che Leonardo fosse affascinato da questo; perché appunto conoscendo la storia siciliana, sapeva cos’era stata Palermo sotto i normanni, come ci racconta l’Amari; varie lingue, culture, religioni che convivevano insieme. Per lui era dunque l’ideale della reciproca conoscenza, dell’arricchimento reciproco, credo fossero tutte queste cose che lo affascinavano…».

La Francia attraverso la lente siciliana

Un filo rosso che si nota anche nella più recente pubblicazione, Parigi. Quella che emerge da queste pagine preziose (articoli pubblicati, in origine, dal quotidiano palermitano L’Ora e dal giornale genovese Il Lavoro) è una Francia, oltre che una città, osservata e raccontata attraverso la lente della Sicilia, inevitabilmente. I turisti o professionisti siciliani in cui si imbatte nella capitale, per esempio, sono «in tutto eguali alle macchiette e ai caratteri con cui attori e giornalisti interpretano l’uomo italiano. Gridano, gesticolano, invocano gli spaghetti, parlano di donne…». Un pellegrinaggio nella patria di Victor Hugo (in città di avarizia, sostiene, nascono geni, uomini generosi, come Hugo. «Siciliani, noi pensiamo il Verga a Catania») gli richiama alla mente la dimensione dell’entroterra siciliano: «Non fosse per le insegne e le scritte, potremmo credere di essere ad Enna. Leggiamo “Café Victor Hugo”, un caffè piccolo e vecchio, da piccola città siciliana». (Questo articolo è stato pubblicato sul Giornale di Sicilia)

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