In “Imprevedibili sprazzi di paternità”, breve e intimissima raccolta di racconti autobiografici, Michael Chabon riflette, attraverso il rapporto con i figli, sulle donne, sul politically correct, su ciò che chiamiamo o intendiamo come “normalità”. E dimostra che la paternità non è un ostacolo nella strada della scrittura
Mette da parte le grandi architetture romanzesche con cui ha scrutato l’America del passato e del presente. Via i mastodontici capolavori, gli intrecci fluviali, i personaggi memorabili, i dilemmi morali. Una pausa di riflessione che si è tradotta in un testo salutare, privatissimo. Michael Chabon riparte dall’intimità con Imprevedibili sprazzi di paternità (128 pagine, 17 euro), pubblicato come sempre da Rizzoli, tradotto da Francesco Graziosi. All’intimità della materia raccontata Chabon accosta la purezza dello sguardo che ha sempre caratterizzato la sua scrittura, un marchio di fabbrica.
Il mistero della famiglia
Confessa di aver vissuto Chabon, riflette sull’essere padre. Ricorda di quando, era imminente la pubblicazione del suo romanzo d’esordio, un più illustre collega gli spiegava come i figli fossero il contrario della scrittura, richiedendo «stabilità, costanza, abitudinarietà e, soprattutto, impegno». Niente a che vedere con l’irresponsabilità e la libertà da impegni necessarie a uno scrittore di professione, che deve produrre «tot parole al giorno». Chabon racconta una storia che va in altre direzioni, una paternità vissuta pienamente e non incompatibile con l’attività di scrittore, la stesura dei libri che è andata avanti spedita, fra riconoscimenti, difficoltà e soddisfazioni. «I figli non sono ladri di tempo», garantisce nelle prime pagine Chabon, che aggiunge: «Una volta scritti, i miei libri, diversamente dai miei figli, non contengono più meraviglie, non vi risiede più alcun mistero». E nei racconti che inanella, oltre a farsi sorprendere dai piccoli eredi, non fa che indagare il mistero della famiglia, non smette mai.
Nasci in una famiglia e quelli sono i tuoi, che ti conoscono e ti amano e, se sei fortunato, ogni tanto riescono perfino a capirti. E tanto dovrebbe bastare. Ma non basta mai.
Le crepe e la luce
Dalla settimana parigina della moda uomo, vissuta per accompagnare Abe – il figlio all’epoca tredicenne appassionato di sfilate e stilisti, anticonformista nel vestirsi fin dalla più tenera età, eccentrico e schernito – alle letture della buona notte (Mark Twain) per i figlioletti più piccoli, dal cuore più profondo del Paese a Berkley, dove la famiglia Chabon vive, ci si interroga, divagando un po’, su normalità e politically correct, sul ruolo delle donne nel mondo e nelle vite degli uomini, su piccole e grandi crepe, che talvolta servono a fare entrare un po’ di luce. Serve un grande spirito d’osservazione, per comprendere i figli, è necessario stare in ascolto, può capitare di inciampare, anzi proprio sbagliare (ad esempio davanti a un orribile taglio di capelli della figlia…). Tutte tappe imprescindibili.
Un album di… lezioni
Non è certo un manuale, quello che avrete in mano se deciderete di leggerlo; e lo sapete se lo avete già letto. Ma è un album di memorie da cui qualche lezione si ricava: coltivare sogni ed empatia, provare a esprimersi con autenticità, essere se stessi e accogliere le diversità, non raccontare fandonie, non imporre i propri desideri, ma lasciare libertà agli altri, al diavolo convenzioni e dottrine. Il padre che è in Chabon apprende dai suoi figli più di quanto possa insegnare loro: anche seduto sul divano, guardando una partita di baseball con la figlia, che ama lo sport quanto le buone letture. E – tra ricordi e presente – medita e impara anche da figlio, ovvero dall’anziano padre, ex medico, coltissimo e dotato di memoria fenomenale. In questi pezzi pop, brillanti, c’è un grande scrittore. Non quello dei suoi romanzi imprescindibili, ma un altro grande scrittore.
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