Premio Salerno Libro d’Europa, tre talenti in corsa

Il Premio Salerno Libro d’Europa sarà assegnato da una giuria popolare a uno dei tre finalisti Under 40. In lizza autori dagli stili narrativi molto differenti – Marion Messina con “Falsa partenza”, Ilaria Rosetti con “Le cose da salvare” e Pajtimi Statovci con “Le transizioni” – ma con storie accomuncate dalla fuga dalle rispettive radici dei protagonisti e dal ritorno a casa dopo il duro scontro con la realtà

Nonostante la pandemia e le restrizioni dovute alle misure di sicurezza sanitaria, lo staff del Festival Salerno Letteratura ce la sta mettendo tutta, promuovendo il premio Salerno Libro d’Europa (qui tutte le informazioni), concepito con l’intento di creare un ambiente culturalmente favorevole agli scrittori europei under 40. I finalisti selezionati dal comitato del Premio sono tre: Falsa partenza di Marion Messina, tradotto da Anna Maria Lorusso per La Nave di Teseo, Le cose da salvare di Ilaria Rossetti per Neri Pozza, Le transizioni di Pajtimi Statovci tradotto da Nicola Rainò per Sellerio. A decretare il vincitore è chiamata una giuria popolare creata sulla base di libere candidature di lettrici e lettori. Anche a me è toccato questo onore e voglio raccontare le impressioni sulla triade.

Non si cresce senza metabolizzare i limiti

Oltre all’ottimo livello narrativo, dalla lettura di queste opere sono emersi alcuni temi chiave ricorrenti che interpretano in maniera piena il clima sociale attuale (o almeno pre-pandemia). Le tre opere presentano tratti comuni ai romanzi di formazione: le protagoniste e i protagonisti hanno 30 anni o meno, sono in fuga dalle loro realtà per anelito di realizzazione, voglia di cambiare vita, rifiuto delle proprie radici, per poi ritornare a casa dopo il duro scontro con la realtà.

In un romanzo seguiamo la protagonista a partire dal suo rientro nella città di origini, per gli altri due seguiamo i protagonisti dall’allontanamento al ritorno. L’idea comune è che non si cresce senza aver metabolizzato i propri limiti, limiti troppo spesso dati dall’ambiente da cui proveniamo. Il condizionamento sociale è importante in tutti i romanzi, gli stili narrativi molto differenti. In Messina la scrittura è rutilante, veloce, travolgente. Rossetti svela la poesia nascosta nella prosaicità quotidiana. Statovci si affida al flusso di coscienza per la descrizione della violenza e dell’orrore.

Gli alienanti meandri umani

Ancora, i romanzi hanno in comune la dimensione alienante delle città, la difficoltà a trovare la propria identità nei meandri urbani. La città rappresenta allo stesso tempo la meta agognata dalla gioventù e il mostro da cui fuggire per salvare la propria individualità. Questa nuova generazione di scrittori sembra raccontare con consapevolezza di una realtà che non funziona, di regole che devono essere riscritte, di modelli sociali che devono mutare.

Senza spoiler sul voto che darò, provo a scrivere le mie impressioni, a raccontarvi perché a mio parere sono meritevoli della candidatura.

Falsa Partenza di Marion Messina

Falsa Partenza di Marion Messina, giovane scrittrice francese, è un romanzo di formazione che ne ribalta lo schema classico. Se siamo abituati a romanzi di formazione in cui la fine coincide con un punto di arrivo, il romanzo di Messina è forse più simile ad uno schema erase-rewind, cancella-riparti. Aurélie è una studentessa lavoratrice di 18 anni che incontra sulla sua strada Alejandro, giovane studente colombiano che insegue il sogno di diventare scrittore nel vecchio continente.

Parigi? Gabbia senza romanticismo

Siamo nella Francia dei giorni nostri, nella periferia di Grenoble, l’ambiente è quello studentesco incrociato con il sottoproletariato contemporaneo. La working class tradizionale è l’alveo di provenienza della protagonista, un ambiente in via di estinzione grazie alla sostituzione del sistema-lavoro stabile con il sistema-lavoro fluido. Abolite garanzie e certezze, i giovani si trovano proiettati in un sistema produzione-consumo che (ri)porta il lavoratore ad essere oggetto, non soggetto dell’agire. La storia del libro segue la storia della relazione tra Aurélie e Alejandro. È però nel passaggio da Grenoble a Parigi che sta, a mio avviso, la nota distintiva del libro. Messina riesce a scardinare qualunque idea romantica della capitale francese, ribaltando del tutto la visione classica, proiettando il lettore in un mondo fatto di pendolari che trascorrono ore nei trasporti pubblici giorno dopo giorno, che vivono in sobborghi squallidi o in appartamenti fatiscenti, zombie che affogano nell’alcool il fine settimana. Parigi, simbolo di libertà, riscatto, possibilità, diventa una gabbia in cui tutto costa troppo per essere goduto, in cui il tempo appartiene al tuo datore di lavoro/padrone non a te, in cui è più facile scomparire a tutti che vivere.

La proiezione europea del libro è data proprio dall’immagine del contesto. La Grenoble di Aurélie è una qualunque città di provincia del continente, Parigi è una qualunque delle capitali. La città perde il fascino romantico peculiare della sua storia e diventa una dimensione atta allo sfruttamento, all’alienazione delle persone e dei loro corpi. L’alienazione diventa proprio il punto principale cui i protagonisti (sia principali che secondari) cercano di fuggire. Il riverbero personale del contesto sociale fa di questo romanzo di esordio un testo vicino al realismo francese di fine Ottocento con ritmi narrativi da realismo isterico contemporaneo. Il tema femminista che attraversa tutto il libro – la ricerca di autonomia della protagonista che si scontra con la volontà maschile di ingabbiarla in ruoli e funzioni – diventa la svolta di autodeterminazione di Aurélie e la sua emancipazione.

Le cose da salvare di Ilaria Rossetti

Anche Le cose da salvare di Ilaria Rossetti (ne abbiamo anche scritto qui) è un esordio letterario, il primo libro che leggo sulla tragedia del Ponte Morandi e di Genova. Il piano narrativo del romanzo è duplice, la storia personale della voce narrante – Petra Capoani – diventa voce terza nel narrare le vicende di Gabriele Maestrale, unico inquilino di un palazzo nella zona rossa che dopo il crollo si è rifiutato di abbandonare la sua casa. Petra e Gabriele sono due persone spezzate da eventi tragici, per una la morte della madre, per l’altro la fine della propria dimensione vitale. La chiave di lettura è data proprio dall’elaborazione del lutto. Se il lutto di Petra è privato e soggettivo, la perdita di Gabriele è un lutto condiviso, comune, ma affrontato ed elaborato in maniera diversa. Davanti alla tragedia del Morandi, chi è scappato, ha guardato avanti, ma chi ha scelto di restare si è guardato indietro indeciso su cosa salvare dalle macerie.

La tragedia e la poesia

Quali sono le cose da salvare da un lutto, da una tragedia, di una vita intera? Intorno a questa domanda le due voci del romanzo costruiscono il loro dialogo diretto e indiretto. Cosa salvereste voi lasciando la vostra casa? Gioielli, libri, il maglione preferito, la pentola che sola vi fa cucinare bene l’arrosto o la torta, la coperta di mamma che vi scalda davanti alla tv, il gioco preferito da bambini, la zuppiera di nonna, la borsa regalata da papà, il cuscino che vi fa dormire comodi, il computer dove avete tutto il vostro lavoro, il caricabatterie del cellulare altrimenti sareste irreperibili, la crema per le mani screpolate, l’album di vecchie foto di famiglia, la tazza di zia, il libro riletto mille volte, il souvenir di un viaggio unico. Gli abitanti delle case travolti dalla tragedia hanno avuto solo pochi istanti, forse poche ore per scegliere cosa salvare. E hanno salvato, proprio come faremmo noi, solo piccole cose perché le grandi, quelle importanti non potremmo portarle vie: la prima colazione insieme, il conforto provato sotto quel tetto almeno una volta, la porta che si apre e l’amore torna a casa per cena, il sollievo di chiudere con la porta tutto il mondo fuori, il primo sorriso di un figlio la mattina appena svegli, una cena tra amici. Scegliere cosa salvare è un modo di elaborare quel lutto. Ricordando gli eventi scegliamo cosa mettere nel nostro bagaglio storico; ricordando una persona, selezioniamo cosa conservare di lei.

La narrazione di Rossetti è poetica. I personaggi non riescono ad esprimere con le parole i propri sentimenti, lo fanno attraverso piccoli o grandi gesti. Gabriele accoglie nella propria solitudine la vita di due migranti senza presente e senza futuro esattamente come è lui, con il passato a costituire l’unica ricchezza e un ponte di comunione tra chi ha perso tutto. La dimensione europea del libro esiste nella storia della voce narrante che torna a casa dopo un lungo periodo a Londra (il percorso inverso letto nel libro di Messina). Qui la donna si ritrova e ritrova il filo della propria vita scoprendo il senso delle cose perdute. La scelta delle cose da salvare di Gabriele diventa l’essenza di un tempo di egoismi, Gabriele salva le “persone”. La sua volontaria reclusione, il suo isolamento sono stati uno specchio dell’isolamento in pandemia, una soluzione riflessiva al confinamento forzato di un tempo doloroso di separazione e perdita.

Le transizioni di Pajtim Statovci

Difficile recensire Le transizioni di Pajtim Statovci (ne abbiamo scritto anche qui), romanzo che ha raccolto critiche dal “molto positivo” al “capolavoro” un po’ ovunque nel nostro paese e non solo. Il miracolo è la scrittura dell’autore nella lingua di adozione, Statovci di origini albanesi, scrive in finlandese. Anche in questo caso ritroviamo una narrazione in prima persona e un romanzo che potremmo definire di formazione con finale au rebours. Il racconto parte dall’infanzia. Bujar è in gita nei luoghi storici dell’Albania con l’adorato padre, un uomo orgoglioso della propria patria, custode di storie, narrazioni e tradizioni (proprio il racconto delle storie e dei miti albanesi sono un libro nel libro).

La fuga e l’ambiguità

La morte del padre coincide con il crollo del regime comunista di Hoxha, questo comporta una destabilizzazione che riguarda la sua famiglia come la sua patria. Bujar si rifugia nel rapporto di amore e amicizia con Agim, due randagi che vagano per Tirana in attesa dell’occasione per fuggire. L’emigrazione segna per Bujar una rottura con il proprio passato, rottura dalla quale la sua psiche non riesce a rimediare se non con un continuo transfer, una continua mutevolezza di forma che è cambiamento sessuale. Bujar non ha identità e non ha genere, è uomo o donna a seconda delle situazioni, vive una mutevolezza necessaria alla sopravvivenza della sua anima quasi a rafforzare la mutevolezza di un essere che rifiuta le proprie radici. Ad esasperare l’ambiguità di Bujan vi è l’ambiente nel quale si trova a vivere, si lascia trasportare dalla barchetta verso le coste italiane, come da una guida turistica scegliendo la Finlandia. Bujan capita nei luoghi, ogni luogo è uguale ad un altro perché rifiuta il ritorno nella sua terra, rifiuta di fare i conti con il passato di abbandono.

La tecnica narrativa in prima persona è sostenuta dalla analessi, continui sbalzi nel passato per ricostruire la vita del protagonista e le ragioni che determinano i suoi comportamenti. Il linguaggio è duro, l’autore non fa sconti nel raccontare la violenza dei comportamenti soprattutto a sottolineare l’inversione dei ruoli. Anche in questo libro si ritrovano forti i riferimenti alla vita nelle metropoli, all’alienazione delle grandi città dove ci si può concedere di essere chiunque perché in realtà non si è nessuno. A Roma Bujan si perde proprio come a New York o Madrid, i rapporti umani sono crudi e finalizzati allo sfruttamento altrui. L’utilitarismo sembra guidare le persone in contesti urbani alienanti.

 

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