“Il lungo inverno di Dan Kaspersen” è il primo romanzo del norvegese Levi Henriksen: una storia di grande tensione psicologica, che non perde di vista l’ironia, ambientata fra i paesaggi nordici; protagonista un ex galeotto che fa i conti con il suicidio del fratello, con un’aggressione per cui è sospettato, e forse con un amore…
Un libro e un personaggio per duri che non hanno perso la tenerezza. Rispetto al primo libro dello scrittore e musicista Levi Henriksen pubblicato in Italia da Iperborea, Norvegian Blues, occorre fare un passo indietro con Il lungo inverno di Dan Kaspersen (340 pagine, 17,50 euro), che è il debutto di Henriksen, scritto oltre quindici anni fa, adesso tradotto per la stessa casa editrice da Andrea Berardini. Il silenzioso paesaggio innevato di Skogli, cittadina norvegese vicino al confine con la Svezia, e le temperature ben al di sotto dello zero in cui si muove Dan, il protagonista, è quasi una costante, ma non attutisce la potenza dei personaggi e la portata delle loro azioni. Il plot getta subito il lettore in situazioni concitate: Kaspersen esce di galera dopo due anni, non va subito dal fratello Jakob e resterà a lungo con un senso di colpa addosso (frutto anche della sua educazione religiosa pentecostale), perché il fratello si toglie la vita, apparentemente senza alcuna spiegazione. Se Dan era il figliol prodigo e irrequieto, Jakob era quello rimasto a casa, a prendersi cura degli affari di famiglia.
Luci nell’oscurità
La nuova tragedia scuote ulteriormente Dan, i cui genitori erano morti da tempo in un incidente d’auto («non aveva perso la fede, nemmeno dopo la morte dei suoi, ma non ne aveva abbastanza per sostenere gli altri»): vaga a caccia di ricordi, ascolta i Ramones e qualche musicista locale, si fa tante domande, figlie anche dell’educazione religiosa ricevuta dal padre, un pastore pentecostale. Nell’oscurità, però, ci sono due luci. Nelle difficoltà, come già nel libro precedente di Levi Henriksen, c’è spazio comunque per una dose d’ironia (basti pensare solo al vitale e buffo zio Rein che vive in ospizio, l’unico che, tra un’imprecazione e l’altra, ispiri fiducia a Dan) instillata proprio per fare da contraltare all’oscurità di fondo, e per un incontro con una donna, Mona Steinmyra, amica di Jakob, che può rappresentare il riscatto e non guarda troppo al passato dell’uomo: la sua apparizione lo distoglie dalla volontà, sorretta più che altro dalla disperazione, di cedere la fattoria di famiglia e andar via e sparire di nuovo, ma l’incontro con Mona manderà all’aria tutti i suoi piani.
L’aggressione e i sospetti
In realtà, a complicare qualsiasi tipo di piano e la sua vita (che «non era fatta d’altro che di deviazioni»), si mette di mezzo anche la giustizia rappresentata dall’ispettore Rasmussen, che ritiene il protagonista colpevole di aver aggredito un uomo in qualche modo riconducibile alla vicenda della sua condanna e detenzione: era stato sorpreso con un carico di droga e il suo complice e amico d’infanzia, Kristian Thrane, l’aveva sfangata, scaricando tutte le colpe su di lui e tornando alla sua vita di figlio di papà. Il nonno di Kristian è ridotto in fin di vita e Rasmussen tiene d’occhio proprio Dan… Il romanzo è un mix felice che accosta le indagini sull’aggressione all’anziano, i tormenti interiori e lo spaesamento di Dan e un sentimento che forse nasce, con Mona. Ci sono spaccati, in queste pagine di Henriksen, da noir, scorci romantici, tensione psicologica, spazio per continui ostacoli e prove, ma anche una presa di coscienza che tiene conto, nel suo orizzonte, della speranza: «La certezza che il tempo non è qualcosa che se ne va, ma qualcosa che continua a tornare». Nulla di scontato in quel che accade, il romanzo – fra paesaggi nordici, bei dialoghi e figure ben sfaccettate – sorprende il lettore fino alla fine.
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